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"Le lettere di Pinocchio", esce il libro postumo di Marco Palmisano

Una rilettura in chiave religiosa e umana del capolavoro collodiano

"Le lettere di Pinocchio", esce il libro postumo di Palmisano con introduzione di Pier Francesco Bernacchi

Esce "Le lettere di Pinocchio", il libro postumo di Marco Palmisano, manager della comunicazione e presidente del Club Santa Chiara, con introduzione del presidente della Fondazione Nazionale Collodi, Pier Francesco Bernacchi. Una rilettura in chiave religiosa e umana del capolavoro collodiano.

Rileggere “da grandi” la storia di Pinocchio può regalare intuizioni letterarie inaspettate, come questa di Marco Palmisano che attraverso l’alter ego del famoso burattino esplora il rapporto padre-figlio.

La finzione del ritrovamento di un epistolario tra Mastro Geppetto e Pinocchio serve all’autore sia per rileggere il capolavoro collodiano in chiave autobiografica sia per affrontare temi sociali e spirituali dell’uomo di oggi: dalle famiglie allargate e i morti di Covid, alla devozione alla Madonna e il valore del perdono.

Con il beneplacito anche del presidente della Fondazione nazionale Carlo Collodi, le Lettere di Pinocchio offrono una rilettura in chiave religiosa e umana de "Le avventure di Pinocchio" che non era ancora stata affrontata in maniera così originale.

 

BIO

Marco PALMISANO (1957-2022) è stato un brillante manager della comunicazione, prima a Mediaset e poi come presidente del Club Santa Chiara, la prima associazione nazionale che da quasi trent’anni raccoglie dirigenti, imprenditori, giornalisti e singoli operatori dei diversi settori del mondo dei media. Tra i suoi libri di successo "Un angelo mi ha salvato" (2008), romanzo autobiografico nel quale racconta la grave storia di dolore e di malasanità che lo colpisce nel 2001, fino a fargli quasi perdere la vista. È morto mentre la pubblicazione di questo libro era in preparazione.

 

Affaritaliani.it pubblica in anteprima introduzione, premessa e primo capitolo

copertina lettere pinocchio
 

INTRODUZIONE

L’idea del ritrovamento di un epistolario ignoto che viene dato alle stampe per farlo conoscere ai lettori ha una lunga tradizione nella letteratura. Questa volta si tratta delle lettere scritte da Pinocchio e da suo padre Giuseppe, detto Geppetto. Soltanto dopo le prime pagine il lettore si rende conto che quelle lettere sono qualcosa d’altro e di più. Il Pinocchio e il Geppetto che qui scrivono sono forse omonimi dei due personaggi letterari perché narrano vicende lontane da quelle scritte da Carlo Collodi nel suo racconto Le avventure di Pinocchio. Del romanzo del burattino si conserva, oltre ai nomi dei protagonisti, un aspetto fondamentale: qui (ri)troviamo – e viene approfondito dall’autore – il forte legame che il padre e il figlio manifestano anche nel libro di Collodi.

Un profondo attaccamento e un affetto reciproci che reggono l’intera vita. Perché la Fata dai capelli turchini Edizioni Messaggero Padova 10 non è la madre di Pinocchio. Pinocchio è tutto generato dallo stesso babbo Geppetto che è quindi padre e madre allo stesso tempo. E così Pinocchio si rivela, ancora una volta, come il personaggio della letteratura italiana nel quale artisti, autori e lettori si identificano. Un alter ego attraverso il quale esprimere i propri pensieri intimi. La «bambinata» è in realtà un classico della letteratura, capace da sempre di parlare a generazioni diverse. E tutt’ora lo fa. Il bel libro di Palmisano è anche una lettura piacevole e avvincente, che viene pubblicata nell’anno del centoquarantesimo anniversario della prima apparizione del celebre personaggio, il 7 luglio 1881 sul periodico «Il giornale per i ragazzi» con il titolo La storia di un burattino. Buona lettura. Pier Francesco Bernacchi Presidente Fondazione Nazionale Carlo Collodi Edizioni Messaggero Padova Edizioni Messaggero Padova Edizioni Messaggero Padova 13

 

PREMESSA

Non posso, né peraltro avrei intenzione di raccontare, come mi capitò in mano la seguente straordinaria corrispondenza che ugualmente, ora, offro volentieri al grande pubblico. Si sa, certe cose si possono dire mentre altre è meglio tacerle, quel che conta è saper distinguere tra le due possibilità e, soprattutto, saper ricavare il meglio dalla scelta fatta, sia per sé che magari anche per gli altri. Iniziamo però con il dire che prima della scoperta delle 12 lettere pubblicate per la prima volta in questo libro esistevano, ed esistono tutt’ora, due generi di interpretazioni che da sempre hanno accompagnato la lettura e le analisi riguardanti il grande romanzo di Carlo Lorenzini – vero nome di Carlo Collodi – autore de Le avventure di Pinocchio.

Si tratta di due vere e proprie distinte scuole di pensiero; la prima ha sempre ritenuto che la Edizioni Messaggero Padova 14 storia del burattino di Collodi sia solo una mera e fantastica invenzione frutto della fervida fantasia dell’autore, il quale pensava semplicemente di realizzare una bella favola per giovani e bambini; la seconda ritiene invece che si tratti di un romanzo a carattere pedagogico morale, pensato dal Lorenzini alias Collodi, appositamente per l’educazione degli adulti a cui, si sa, non garba affatto essere ripresi e criticati direttamente, per cui è meglio far finta di rivolgersi ai ragazzi più giovani. Tra le due scuole di pensiero così sommariamente descritte, negli anni, si è poi anche arrivati a toccare degli estremi che hanno rasentato il ridicolo, oppure, di converso, che confermano la grandezza dell’opera, nella quale, cioè, ciascuno ci vede o ci può vedere quel che vuole e che la sua mente è libera di ipotizzare.

E anche in questo sta il suo bello. Per cui nel corso degli anni si è passati da commentatori che nelle avventure del povero burattino vedevano adombrati gli schemi del più rigido oscurantismo pedagogico con la sua dottrina autoritaria, moralistica e repressiva, fino ad altri, invece, che ne ravvedevano gli spunti di una vena libertaria, con tratti da rivoluzione socia- Edizioni Messaggero Padova 15 le, improntata ai canoni storici del materialismo dialettico, contro il potere precostituito della vecchia società borghese. Oppure altri ancora, che ci hanno visto addirittura la poetica di un romanzo anarchico, poi represso. E in mezzo a tutto ciò, se non ci fosse da ridere, verso la metà del Novecento ci si è poi messa anche la psicanalisi con interpretazioni lacaniane circa la figura del padre... e non diciamo di altro.

In tutta questa vicenda la questione è legata a quel gran cancro dell’ideologia che, a tutti i costi, dal razionalismo in poi, vuole sempre ingabbiare in un sistema di pensiero chiuso ciò che invece se ne vuol restare libero all’aria aperta, animato solo da autentica poesia e magia letteraria, poco interessata ai dibattiti circa lo scopo e le finalità recondite del proprio esistere. Per amor di completezza si deve peraltro dire che Le avventure di Pinocchio negli anni Ottanta divennero anche il caso di un primo e assai riuscito commento teologico a firma del grande cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna e penna assai sagace. Nel suo peraltro assai corposo Contro Maestro Ciliegia, edito da Jaca Book nel lontano 1977, l’arguto presule si lancia in un articolato e Edizioni Messaggero Padova 16 ben argomentato elogio a tutto tondo dell’opera collodiana, battezzandola senza tema come l’opera letteraria più universale dell’ortodossia cattolica.

Ogni contenuto e personaggio del libro sono così ricondotti ai temi più cari del cristianesimo, Pinocchio che diventa ragazzo e vive la sua conversione, la Fatina che sembra una Madonna, il grillo parlante la coscienza, e così via a partire dal principio, nel quale all’esordio di ogni vicenda successiva c’è un unico Creatore, si badi bene, solo un unico padre, Geppetto, che dal nulla crea il nostro burattino, che poi diventerà ragazzo grazie all’esercizio pieno della sua libertà. E non c’è proprio nulla da dire, il percorso interpretativo del cardinale risulta davvero assai intrigante. Dal canto nostro argomentiamo dicendo solo che quella di Collodi è di base un’opera letteraria autenticamente umana e che, per questa sua semplice cifra, è riconosciuta dagli uomini e dalle donne di tutti i paesi del mondo come un messaggio universale di vita e di amore, valido per chiunque, di qualunque ideologia e a qualsiasi latitudine, sesso o civiltà appartenga. E forse è per questo motivo che risulta davvero cattolica, cioè universale, per tutti.

Ciò nonostante, voi tutti che sicuramente avete letto Le avventure di Pinocchio vi starete già scervellando su quale sia l’interpretazione più autentica circa lo scopo e il significato profondo del libro e, nel caso non foste ancora giunti a una risposta immediata, l’occasione potrebbe esser buona – a mio avviso – per dare una rinfrescatina alla grande opera di Collodi, attraverso una sua semplice rilettura. Io l’ho fatto alla tenera età di sessant’anni e ne ho trovato grande giovamento. Se accetterete il consiglio di accingervi alla rilettura della grande opera (anche se immagino che non abbiate modo di ritrovare subito il testo che probabilmente giace sepolto e impolverato sotto le centinaia di libri della vostra bella libreria) dovrete prima accogliere il suggerimento di leggere queste brevi quanto importantissime lettere di Pinocchio, in modo da farvi voi stessi un’idea di cosa l’autore del burattino più famoso al mondo avesse veramente intenzione di dire, fare e raccontare, e, soprattutto a chi volesse parlare e che cosa intendesse realmente dire; il che non è roba da poco conto.

Infine, i lettori sono anche pregati di non farsi influenzare da quello che è il mio modesto Edizioni Messaggero Padova 18 punto di vista circa la questione sollevata e che peraltro mi sembra giusto che io possa esporre in due righe; e cioè che a mio avviso Lorenzini, alias Collodi, non voleva per nulla moraleggiare o rivoluzionare contro niente e nessuno, il suo intento era libero e puro; solo che... Eh sì, solo che... dopo decenni di ricerche, di approfondimenti, di migliaia di convegni e di seminari di studio in tutto il mondo..., ora, dopo oltre centoquarant’anni (Pinocchio è stato scritto nel 1881), si arriva proprio a scoprire che il primo movens, la scintilla, di Collodi non è per nulla educativa.

Succede solo che gli capitano casualmente in mano queste lettere autografe di Pinocchio, provenienti da una fonte anonima che ne richiede un compenso. Lui, da grande scrittore quale era, dopo averle lette tutte d’un fiato, pensò bene di non pagare compenso alcuno a chicchessia, di tenerle con malcelata attenzione e, con la scusa di studiarle per bene, di trasformarle nel grande romanzo che noi tutti conosciamo. Nasce così, per puro gioco del fato, l’idea e l’intera stesura del libro delle avventure del famoso burattino, avendo a base proprio codeste lettere. Nulla più, nulla meno. Edizioni Messaggero Padova 19 Infatti, ben motivato e indirizzato da queste missive, il grande autore toscano seppe sapientemente trasformare il materiale ricevuto in un racconto carico di suggestività emotiva, stravolgendone la forma e il metodo narrativo e anche aggiungendo molti particolari inediti, ma il tutto sicuramente in linea con i contenuti delle dodici lettere che aveva ricevuto per caso dalla sorte.

Proprio così fece Collodi e così ebbe inizio il suo grande successo editoriale planetario. Quindi onore e lode a lui. Punto e a capo. Per quanto mi riguarda dovrei anche aggiungere che non è stato necessario fare sforzo alcuno nello stabilire la cronologia e la datazione delle lettere per documentarne l’autenticità; sicuramente la provenienza è molto incerta e dubbia, ma la cronologia no, è esattamente quella. Questo è anche il motivo per il quale vi presento queste lettere senza alcun filtro o interpretazione, ma solo così, come mi sono fortunosamente giunte, semplicemente una dietro l’altra, con il loro contenuto originale e con in calce la loro datazione autentica.

A queste nove lettere autografe di Pinocchio Edizioni Messaggero Padova 20 si aggiungono poi incredibilmente anche le tre risposte che il padre Geppetto inviò al figliolo. Di fronte a così tanta fortuna, sfacciata direi, nell’avere avuto in dono dal destino di ritrovare così incredibilmente le dodici lettere che sono la base delle fortune editoriali di Collodi, altro non ho potuto fare che rivolgermi anch’io all’editore maggiore e chiederne uguale pubblicazione, a vantaggio suo e di tutti i lettori. D’altra parte già un antico autore diceva: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8)... Anche se, nel mio caso, devo confessare che me le sono fatte pagare profumatamente, ma solo per finanziare le attività delle nostre Fondazioni. Non mi resta quindi che augurarvi buona lettura. Ma prima sarebbe bello sapere cosa ne pensa di queste lettere il caro amico Roberto Benigni, che non ci voleva credere, ma che poi, dopo averle lette... L’autore/ritrovatore