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Nomadland racconta i nuovi poveri del sogno americano infranto

Dietro al film da Oscar c'è Nomadland, il libro di Jessica Bruder che parla di America e nuovi poveri, i borghesi che non si possono più permettere una casa

Nomadland, un racconto d'inchiesta

Ogni giorno in America, il Paese più ricco del mondo, sempre più persone si trovano a dover scegliere tra pagare l'affitto e mettere il cibo in tavola. Di fronte a questo dilemma impossibile, molti decidono di abbandonare la vita sedentaria per mettersi in viaggio. In un mondo in cui basta un ricovero in ospedale al momento sbagliato per mandare in fumo i risparmi di una vita, in cui la previdenza sociale è praticamente inesistente e il peso dei debiti spinge molti alla disperazione, donne e uomini in età da pensione hanno iniziato a migrare da un lato all'altro del Paese attraverso i mezzi di trasporto più vari, tra un lavoro precario e l'altro.

Tra loro Linda May: una nonna di 64 anni, dai capelli grigi, che vive viaggiando su un 28 piedi. Nomadland, nato dall'inchiesta Dopo la pensione ci accompagna in un viaggio attraverso la vita, i sogni e le speranze di questi nomadi del terzo millennio, per scoprire che, squarciato il velo illusorio del Sogno Americano, al di là è forse possibile scorgere una nuova realtà, più umana, più solidale, più bella.

Da questo libro è stato tratto il film Nomadland, Leone d'Oro a Venezia 2020 e premio Oscar 2021 come Miglior film, Miglior regia (Chloé Zhao) e Migliore attrice (Frances McDormand, che arriva così al suo terzo Oscar). Tre Oscar su sei nomination, con un tot di record per la regista Chloé Zhao: è la prima donna cinese e la seconda donna, dopo Kathryn Bigelow con The Hurt Locker del 2010, a essere incoronata miglior regista. 

L’autrice

Jessica Bruder

È una giornalista che si occupa di sottoculture e questioni sociali. Per scrivere Nomadland ha vissuto per mesi in un camper, documentando la vita degli americani itineranti che hanno abbandonato la loro casa per vivere la strada a tempo pieno, unica via per non essere travolti da un’economia sempre più precaria, nella completa assenza di un welfare state. Il progetto ha richiesto tre anni e più di quindicimila miglia di guida - da costa a costa, dal Messico al confine canadese.

Jessica Bruder
 

Editore: Clichy

Collana: Rive Gauche

Traduttore: Giada Diano

Data di pubblicazione: giugno 2020

Pagine: 320

Formato: brossura

EAN: 9788867996780

ISBN: 8867996789

Nomadland, un racconto d'inchiesta: Jessica Bruder per Edizioni Clichy

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Nomadland

Ambulanti, vagabondi, lavoratori stagionali e anime inquiete ci sono sempre stati. Ma adesso, nel secondo millennio, un nuovo tipo di tribù errante sta emergendo. Persone che non avevano mai immaginato di diventare nomadi si mettono in viaggio. Abbandonano case e appartamenti tradizionali per vivere in quelli che alcuni chiamano «immobili su ruote» - furgoni, camper di seconda mano, scuolabus, pick-up camperizzati, roulotte da viaggio, e semplici vecchie sedan. Si allontanano dalle scelte impossibili che quello che un tempo era il ceto medio si trova a dover fare. Decisioni tipo: meglio mangiare o andare dal dentista? Pagare il mutuo o la bolletta dell’elettricità? Pagare una rata dell’automobile o comprare le medicine? Coprire l’affitto o i prestiti studenteschi? Comprare vestiti caldi o benzina per andare al lavoro?

Per molti la risposta sembrava radicale all’inizio. Non puoi darti un aumento, ma che ne dici di tagliare le spese più cospicue? Barattare delle solide quattro mura per una vita su ruote?

Qualcuno li chiama «senzatetto». I nuovi nomadi rifiutano quest’etichetta. Dotati sia di un riparo che di un mezzo di trasporto, hanno adottato un termine diverso. Si definiscono, molto semplicemente, «senza casa». Da lontano, molti di loro potrebbero essere scambiati per spensierati camperisti in pensione. Nelle occasioni in cui si concedono di andare al cinema o di cenare al ristorante, si mischiano alla folla. Per mentalità e aspetto, sono per lo più borghesi. Fanno il bucato nelle lavanderie a gettoni e s’i- scrivono in palestra per usare le docce.

Molti si sono messi in strada dopo che i loro risparmi sono stati distrutti dalla Grande Recessione. Per riempire stomaco e serbatoio, faticano lunghe ore in lavori fisicamente pesanti. In un’epoca di stipendi piatti e costi degli alloggi in aumento, si sono liberati dalle catene di affitti e mutui per riuscire a cavarsela. Stanno sopravvivendo all’America.

Ma per loro - come per chiunque - sopravvivere non basta. Quindi, quello che è cominciato come un tentativo disperato, è diventato un grido di guerra per qualcosa di più grande. Essere umani significa agognare qualcosa in più della mera sussistenza. Abbiamo bisogno di speranza, tanto quanto ne abbiamo di cibo e riparo. E c’è speranza sulla strada. È un effetto collaterale dello slancio in avanti. Un senso di possibilità, vasto quanto il Paese stesso.

Una convinzione radicata nel profondo che qualcosa di meglio arriverà. È solo più avanti, nella prossima città, la prossima opportunità di lavoro, il prossimo incontro fortuito con uno sconosciuto. Guarda caso, anche alcuni di questi sconosciuti sono nomadi. Quando s’incontrano - online, o sul posto di lavoro, o accampandosi senza allacci alle utenze - cominciano a formarsi delle tribù. C’è un’intesa comune, un senso di affinità. Quando il furgone di qualcuno si guasta, gli altri fanno una colletta. C’è un sentimento contagioso: qualcosa di grande sta per succedere.

Il Paese sta cambiando in fretta, le vecchie strutture si stanno sgretolando, e loro sono l’epicentro di qualcosa di nuovo. Attorno a un fuoco da bivacco condiviso, nel cuore della notte, può sembrare un barlume di utopia. Mentre scrivo, è autunno. L’inverno è alle porte. A breve inizierà il consueto periodo morto per i lavoratori stagionali. I nomadi sgombereranno gli accampamenti e faranno ritorno alla loro vera casa - la strada - viaggiando come cellule ematiche attraverso le vene di questo Paese.

Partiranno alla ricerca di amici e famiglia, o semplicemente di un luogo caldo. Qualcuno viaggerà da un capo all’altro del continente. Tutti conteranno i chilometri, che si distendono come diapositive di una filmina dell’America. Fast-food e centri commerciali. Campi dormienti sotto il ghiaccio. Concessionarie di automobili, chiese enormi, e tavole calde aperte tutta la notte. Pianure scialbe. Allevamenti di animali da macello, fabbriche senza vita, terreni lottizzati, ipermercati. Picchi coperti di neve.

La strada si sbobina attraverso il giorno e dentro la notte, finché non sopraggiunge la stanchezza. Con gli occhi arrossati, trovano dei posti in cui accostare e si riposano. Nei parcheggi dei Walmart. In tranquille stradine di periferia. Nelle aree di servizio, cullati dalla ninnananna dei motori in folle. Poi alle prime ore del giorno - prima che chiunque se ne accorga - ritornano sulla strada. Continuando a guidare, sono forti di questa consapevolezza: l’ultimo luogo libero d’America è un parcheggio.

Nomadland