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“Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre”: il fascino oscuro della letteratura catalana
La già nota scrittrice Irene Solà è tornata in libreria con un nuovo romanzo ricco di folclore, maledizioni, realismo magico, leggende e la prorompente forza delle donne
Irene Solà, giovane autrice catalana nata nel 1990 ma già conosciuta dal grande pubblico grazie al suo precedente romanzo Io canto e la montagna balla, ci consegna con Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre un’opera molto particolare, pubblicata in Italia da Mondadori qualche mese fa dopo il successo ricevuto in patria con Anagrama. Questa nuova storia, influenzata dal gotico contemporaneo e ispirata al folklore catalano, è stata subito accolta con immenso entusiasmo per la sua capacità di intrecciare passato, mito e attualità: si tratta, infatti, di un racconto originale e a suo modo affascinante che invita il lettore a confrontarsi con gli aspetti più oscuri della condizione umana, laddove il soprannaturale e il quotidiano si fondono in un tessuto narrativo evocativo, alquanto destabilizzante.
La vicenda è ambientata interamente in un casolare sui Pirenei, il Mas Clavell, abitato da una famiglia segnata da un’ancestrale maledizione: la Solà scrive il libro sostanzialmente al femminile, in quanto l’intera visione del mondo, degli eventi e della vita è sempre narrata dal punto di vista delle donne, lasciando gli uomini un passo indietro.
Tutto ha inizio con Joana, la matriarca che, pur di ottenere un marito, stringe un patto con il diavolo. Se inizialmente l’accordo sembra volgere a suo favore, presto emergono le conseguenze nefaste a cui non aveva pensato: a ogni discendente di Joana manca qualcosa di essenziale. Margarida possiede un cuore incompleto, Bernadeta è priva di ciglia ma dotata di una veggenza inquietante, Blanca è nata senza lingua, altri figli muoiono in breve tempo perché sono privi degli organi fondamentali per sopravvivere. Questi dettagli corporei non sono solo difetti fisici, ma simboli di un’esistenza segnata dall’incompletezza e dalla condanna.
Non è un caso se il romanzo si apre sulla scena dell’agonia vissuta da Bernadeta poco prima di morire, vegliata dalle altre donne (alcune vive, altre spiriti che abitano la casa come ricordi vividi e inquieti). La narrazione si svolge in un solo giorno, ma si snoda su una trama che attraversa secoli, mostrando la persistenza del passato nel presente.
Lo stile di Irene Solà è molto originale: può piacere molto oppure no. Denso, ricco di immagini potenti e descrizioni sensoriali che trasformano ogni scena in un’esperienza viscerale, non disdegna a tratti espressioni molto forti che potrebbero turbare i lettori più sensibili: «Disse che, se Joana avesse voluto, glielo avrebbe detto. Disse che, se avesse chiesto soltanto una cosa, sarebbe stato meglio andarci da sola, di primo mattino. Che avrebbe dovuto uccidere un gatto. Né troppo piccolo né troppo grande. Di taglia media. E infilargli una fava in ogni occhio, una fava in bocca e una fava nel buco del culo. E che lo doveva seppellire, e sopra il mucchietto di terra doveva disegnare una croce, e sopra la croce doveva pisciarci. Allora il demonio sarebbe arrivato e gli avrebbe potuto chiedere quello che gli doveva chiedere». Ed è così che Joana, quasi inconsapevolmente, dà avvio alla maledizione che tormenterà la famiglia per le generazioni a venire.
La casa stessa, con le sue stanze che sembrano bocche dentate, diventa un organismo vivo, partecipe del destino delle sue abitanti; la natura circostante, arida e selvaggia, è altrettanto centrale, specchio del legame tra queste donne e un territorio che sembra nutrire e punire al contempo. Lo stile dell’autrice mescola il lirismo di Virginia Woolf alla crudezza del gotico, evocando autori come Mercè Rodoreda e Mariana Enriquez.
Le tematiche sono molteplici e complesse: la Solà esplora con un occhio inedito il ruolo della memoria, la maternità, il rapporto con il corpo e il desiderio; vi è poi la relazione con l’occulto, in particolare con il diavolo, che qui si presenta come un toro scostante e mutevole. Questo essere che terrorizza e al contempo ammalia identifica non solo il male, ma l'insieme di compromessi che spesso siamo costretti a fare, definendoli ipocritamente scelte umane. Il tempo è fluido e Solà lo manipola con maestria, permettendo salti narrativi che legano le generazioni in un’unica, avvolgente trama.
L’autrice catalana, che con il suo romanzo d’esordio ha vinto il Premio Documenta nel 2017, ha dichiarato di voler esplorare la soggettività di ogni personaggio, oltre al modo in cui le storie familiari si costruiscono attraverso frammenti di memoria e contraddizioni. In un’intervista ha spiegato: “Il patto con il diavolo è metafora delle eredità invisibili che ci portiamo dietro. Idee, credenze, modi di pensare che ci sono stati tramandati e che plasmano chi siamo.” Questo legame tra memoria e identità rende il romanzo un’esperienza in grado di catturare completamente il lettore, conducendolo verso un’esplorazione dei limiti tra ciò che ereditiamo e ciò che scegliamo di essere.
Leggere Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre è allora come varcare la soglia di un mondo in cui le tenebre non sono solo da temere, ma anche da contemplare, in un dialogo incessante tra luce e ombra, vita e morte, realtà e sogno.