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Malattie rare
Malattia di Gaucher, Torquati: “L’Italia si apra alle terapie domiciliari”

Si è svolto il 1 ottobre l’International Gaucher Day, iniziativa internazionale di sensibilizzazione nei confronti della malattia di Gaucher, ancora troppo poco conosciuta.

Si tratta di una patologia genetica rara (attualmente nel mondo ci sono circa 300/350 pazienti in vita), che colpisce sia i maschi sia le femmine. Prende il nome da Philippe Gaucher, lo studente di medicina francese che per primo la descrisse nel 1882.

Essendo una malattia genetica, viene trasmessa dai genitori ai figli, ma la sua manifestazione può avvenire in momenti e in modalità diverse da persona a persona. Su alcune ha un effetto lieve e potrebbe non essere nemmeno notata fino all’età adulta. Altre iniziano invece  ad avere problemi poco dopo la nascita.

I pazienti con malattia di Gaucher spesso presentano addome gonfio, a causa dell’ingrossamento della milza (splenomegalia). Altri sintomi comuni sono: dolori alle ossa e alle articolazioni, sensazione di affaticamento, tendenza al sanguinamento e/o alla formazione di lividi. La malattia di Gaucher può inoltre colpire anche il fegato, i polmoni e il cervello.

Non c’è una cura per la malattia di Gaucher, ma esistono farmaci e trattamenti che possono contribuire a migliorare i segni e i sintomi della malattia. A provocarla è una carenza dell’enzima denominato β-glucosidasi acida, che serve a scomporre la glucosilceramide (o GL-1), attraverso le cellule dette macrofagi. Quando l’organismo non produce una quantità sufficiente di questo enzima, la GL-1 si accumula in specifiche parti dei macrofagi, chiamate lisosomi. Ciò determina un ingrossamento delle cosiddette ‘Cellule di Gaucher’, che possono localizzarsi in diversi organi del corpo.

Per comprendere meglio l’impatto che questa malattia ha sulla vita dei pazienti, affaritaliani.it ha intervistato Fernanda Torquati, presidente dell’Associazione Italiana Gaucher Onlus (http://www.gaucheritalia.org/).

“Il primo problema consiste nel trauma a carico dei genitori”, ci spiega. “Siccome la malattia si trasmette da due portatori inconsapevoli, a causa di un genere recessivo, la malattia del figlio scatena sempre un forte senso di colpa da parte della madre e del padre, che improvvisamente scoprono di avergli trasmesso una malattia così grave. Poi, molto dipende dalla forma della malattia”.

Quali forme esistono?

“Distinguiamo tre tipi di malattia di Gaucher. Quella di tipo 1 è una tipologia non neurologica, che potenzialmente potrebbe essere letale, ma che comunque si può trattare, allungando la vita del paziente. Quella di tipo 2 è di tipo subacuto e il suo esito è sempre infausto. I bambini che ne soffrono sono fortunati se muoiono entro i primi 5/7 mesi di vita, ma c’è anche chi arriva fino ai due anni, il che è terribile. Quella di tipo 3 è una forma mista tra le prime due e le cui caratteristiche dipendono molto dalle mutazioni genetiche. Ad esempio, abbiamo una paziente di tipo 3 che è riuscita a condurre una vita abbastanza normale, essendo asintomatica, e si è anche laureata. Altri invece ne vengono duramente colpiti e muoiono nell’infanzia”.

Come possiamo spiegare in termini non scientifici le caratteristiche di questa malattia?

“La carenza dell’enzima non consente all’organismo di liberarsi delle sostanze negative, che quindi vengono accumulate nel corpo. E’ come se una massaia, dopo aver pulito casa, invece che buttare via la polvere la mettesse sotto il tappeto. Nel nostro organismo, questo porta non ‘solo’ all’ingrossamento del fegato e della milza, ma spesso coinvolge anche il midollo osseo, problemi cardiopolmonari, una maggiore probabilità di sviluppare tumori del sangue e anche il Morbo di Parkinson, che tuttavia è più frequente nei portatori sani”

Da un punto di vista psicologico, dev’essere uno shock tremendo non solo per i genitori, ma anche per i pazienti stessi…

“Sì, lo è, sebbene con forti variabili legate all’età, in quanto la prima manifestazione di questa malattia può avvenire in qualsiasi momento, anche se la disfunzione è già presenta al momento del concepimento. Nel caso dei bambini, prevale la fiducia nel genitore onnipotente che alla fine risolverà tutto, anche se purtroppo si tratta di un’illusione. Nel caso di un adulto, che scopre di avere questa malattia nel pieno del suo percorso formativo o lavorativo, può essere davvero un trauma. E’ come se questi pazienti avessero dentro di loro una bomba ad orologeria, ma senza sapere ne quando esploderà, ne con quale forza”

Qual è l’importanza delle terapie domiciliari per questi pazienti?

“Le terapie domiciliari sono essenziali, perché cambiano completamente la loro vita. Per molti, accedere a una terapia domiciliare significa rinascere. Questo perché i malati hanno necessità di seguire per tutta vita un percorso che li porta ogni 14 giorni in ospedale per fare le infusioni, ma chi lavora come fa? Se chiedono i permessi, li esauriscono presto e poi capita che venga loro un raffreddore (che per questi pazienti è più complicato da risolvere e dura circa 15 giorni) e siano costretti a fare ricorso ai giorni di malattia e/o di ferie, perché non hanno altra scelta. In teoria, questi pazienti dovrebbero fare 26 infusioni in un anno, anche se poi, per vari motivi organizzativi, non seguono mai tutto il ciclo di terapia. Questo comporta anche un evidente svantaggio sociale, perché è molto difficile trovare lavoro quando si dice che per due volte al mese si sarà costretti ad assentarsi, oltretutto per tutta la vita”

Come si accede alla terapia domiciliare?

“Purtroppo l’Italia è l’unico Paese nel quale l’autoinfusione è vietata, sebbene nel resto d’Europa essa si pratichi ormai da trent’anni. Le altre nazioni incoraggiano questa pratica, che sia fatta direttamente dal paziente o da un caregiver in famiglia, anche perché c’è un evidente risparmio. Da noi invece si lamenta la mancanza di soldi e poi non si segue questa strada. Solo due Regioni, Veneto e Lazio, hanno fatto delibere sulla terapia domiciliare, mentre le altre al massimo la consentono. In Toscana, ad esempio, questa possibilità c’era e proprio mio figlio è stato il primo ad autoinfondersi. Poi questa possibilità è stata tolta, anche per gli emofiliaci, e ci sono volute forti proteste perché la Regione tornasse sui propri passi, ma solo per gli emofiliaci. Per noi e i pazienti della malattia di Fabry no.

Per fortuna a fornire le terapie domiciliari pensa l’industria privata, che si occupa dei malati 24 ore su 24, 7 giorni su 7. È il paziente a scegliere il momento per lui più idoneo per sottoporsi alla terapia, anche nei festivi e anche in vacanza: in alcuni casi, si viene seguiti anche all’estero. Questo, evidentemente, cambia completamente la qualità della vita. Nel servizio pubblico, se tutto va bene, al massimo si riesce ad erogare la terapia dalle 8.00 alle 14.00”

La necessità della terapia domiciliare sarà al centro anche del vostro prossimo convegno?

“Sì, il prossimo 24 ottobre a Roma ci sarà un evento al quale stiamo lavorando insieme alle associazioni dei pazienti della Malattia di Fabry, della Glicoginosi e della Mucopolisaccaridosi. Per tutte queste malattie, le terapie domiciliari rappresentano uno strumento fondamentale e lo scopo del nostro convegno sarà proprio sensibilizzare le istituzioni nei confronti di questa necessità. Chi deve seguire una terapia che durerà per tutta la vita ha il diritto di riceverla a casa propria, anche se questo non vuol dire abbandonare i centri di riferimento, che invece vanno frequentati assiduamente per tutti i controlli del caso”

Quali sono le altre attività che svolgete come associazione?

“Siamo pochi, ma ci impegniamo al massimo per sostenere i pazienti e i loro genitori. Ogni anno organizziamo un convegno con la presenza dei maggiori esperti internazionali, per fare il punto sulla malattia e aggiornare la platea sulle nuove scoperte. Questi momenti sono molto preziosi anche per consentire alle famiglie di fare gruppo tra di loro e infatti sono occasioni decisamente molto apprezzate. Facciamo tutto ciò che possiamo per dare supporto alle famiglie e a volte il nostro sostegno è anche di tipo economico. Ad esempio, un centro di riferimento ci ha chiesto di intervenire per un bambino straniero che ha dovuto subire un intervento al cervello e che, non avendo la cittadinanza, avrebbe dovuto pagare per le cure ricevute. Ce ne siamo occupati noi”.

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