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“Corsera come il Lambrusco in lattina. Il modello Cairo può attirare lettori"
Parla il giornalista Ugo Savoia
"Molti anni fa il signor Giacobazzi di Modena scandalizzò l’enologia italiana perché esportò il Lambrusco in lattina. Ne fece un business, gli americani lo bevevano come fosse Coca Cola. Molti lo accusarono, ma lui disse: se tra 40 anni gli americani avranno imparato ad apprezzare vini di qualità come il Barolo e il Brunello di Montalcino sarà merito mio. E se il modello Cairo servisse a riavvicinare le masse dei lettori a un prodotto considerato superato come la carta stampata?”.
Così Ugo Savoia, fino all’ottobre 2014 alla guida della redazione di Milano del Corriere della Sera (dal 2002 al 2010 è stato direttore del Corriere del Veneto e nel 2000 ha contribuito alla nascita di Corriere.it come responsabile della redazione web), interviene su Affaritaliani.it nel dibattito scatenato dopo l’intervista a Massimo Giletti pubblicata dal quotidiano di via Solferino. Da un lato chi ha gridato allo “scandalo marchetta”, dall’altro l’amministratore delegato Urbano Cairo che l’ha definito “un regalo al giornale” in un’intervista al direttore di Affaritaliani.it Angelo Maria Perrino.
Ugo Savoia, lei che ne pensa?
“La notizia c’è: un big della tv, dopo vari programmi di successo, lascia la Rai per passare alla concorrenza, una scelta che sta sollevando tra l’altro molte polemiche. Poi che il Corriere della Sera stia sotto la stessa bandiera di La7 ci sta, non mi scandalizzo certo. A colpire, però, è soprattutto la foto. Un po’ troppo autocelebrativa per il mondo dell’editoria, più da star dello sport".
Urbano Cairo ha dichiarato di non intromettersi mai nelle scelte della redazione.
“Da osservatori esterni è impossibile capire come vadano le cose. Però, come in tutti i giornali, è il concetto stesso di intervento a essere messo in discussione. E’ proprio necessaria una telefonata diretta e preventiva? Un giornalista dovrebbe essere autonomo nelle decisioni e ufficialmente si può sempre dire che l’editore non interviene. Ma nei fatti la declinazione è diversa, perché cambiano gli scenari: se esistono considerazioni laterali di interessi più o meno dichiarati… capita che ci si chieda cosa fare prima di pubblicare una notizia. E spesso non lo si fa con l’intenzione di lisciare il pelo, ma semplicemente per non avere problemi a posteriori. Nel caso di Giletti, è chiaro che fare un colpo di questo genere per un editore è come vincere un trofeo ed è palese che l’interesse sia quello di divulgarlo".
Uno scontro tra due culture, il Corriere come istituzione e il Corriere come prodotto?
“Non facciamo le verginelle. Un prodotto editoriale, pur nel rispetto di chi legge, è anche un prodotto da vendere. Può essere il più bello del mondo, ma se non lo compra nessuno è inutile. C’è una necessità commerciale oggettiva. Ma c’è anche la nobiltà dell’informazione. Bisogna capire qual è il punto oltre il quale non ci si può spingere, la linea d’ombra da non superare. Abbiamo visto come la sola informazione nobile porti a uno sgretolamento della vendita delle copie e quanto sia difficile tenere in piedi una barca come Rcs”.
Come vede il modello Cairo?
“E’ presto per dare giudizi, sarebbe come giudicare una partita a dieci minuti dal fischio d’inizio. Sicuramente un modello si intuisce. Cairo viene dal mondo dei settimanali, c’è grande attenzione ai fatti di cronaca, alle storie, ai personaggi. Poi se questo sia un modello definitivo o una strada per arrivare in un luogo non lo so. Potrebbe essere un momento di assestamento in attesa che i conti si risollevino, per ripartire poi con la tradizione del giornale. Sicuramente quella delle storie è una mitologia inseguita da anni nei giornali, in contrapposizione alle tonnellate di noiosa politica. Va bene, ma ricordiamo che un giornale è sempre un mix. Non dimentichiamo le notizie. Quello che succede nel mondo non è noioso”.
Meno inchieste, più storie: quanto i tagli alle redazioni hanno influito in questo senso?
“La crisi dell’editoria ha colpito tutti e non si è considerato con la dovuta profondità che fare informazione costa. Mandare in giro per il mondo i giornalisti a fare inchieste è dispendioso: i grandi giornali, anche all’estero, ancora lo fanno, ma in misura sempre più ridotta. Raccontare della signora che salva il gattino tra le lacrime è molto più semplice. Ma è questa l’informazione che vogliamo? E qui mi rivolgo a tutti i lettori. Siamo noi che dobbiamo sostenere un giornalismo di qualità, abbiamo una responsabilità precisa. Per fare un altro esempio, se sono un sostenitore dei negozi di quartiere, la spesa poi non devo farla al supermercato, anche se più comodo ed economico. Lo stesso vale per i giornali: se ritengo che alcune testate meritino di esistere, sta a me sostenerle tutti i giorni. E’ necessaria una forma di complicità anche da parte del lettore”.