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Dire, 15 giornalisti vanno a casa: “Basta soldi pubblici a chi licenzia"
L’assemblea dell’agenzia Dire proclama due giorni di sciopero
Agenzia Dire, licenziati 15 giornalisti: due giorni di sciopero. Avs: “Basta dare soldi pubblici"
Due giorni di sciopero proclamati dall’assemblea dell’agenzia Dire, a seguito della grave decisione dell’azienda di procedere al licenziamento di 15 giornalisti. “Nonostante quasi due anni di pesanti decurtazioni degli stipendi dovuti al ricorso agli ammortizzatori sociali, infatti, si è arrivati alla firma di un verbale di mancato accordo fra azienda, associazioni di stampa e comitato di redazione in riferimento alla procedura di licenziamento collettivo avviata dalla proprietà a fine settembre e giudicata fin da subito irricevibile e immotivata dall’assemblea dei redattori e dalle associazioni di categoria” si legge sul sito dell’agenzia.
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“Le giornaliste e i giornalisti della Dire ritengono incomprensibile la volontà dell’azienda di voler procedere con un piano di licenziamenti poco prima che si completi la riforma delle agenzie stampa messa in campo dal dipartimento dell’Editoria di Palazzo Chigi. Tale riforma, che comprenderà anche i bandi verticali che si svolgeranno nella prima parte del 2024, porterà nuove risorse pubbliche all’azienda che, invece di tutelare i posti di lavoro, sceglie di massimizzare i risparmi tagliando il numero dei giornalisti, prevedendo così il licenziamento di 15 colleghi, e contrastando lo spirito stesso della riforma. Un errore che rischia di condizionare il futuro dell’agenzia Dire che, da 35 anni, rappresenta una delle più importanti voci nel panorama dell’informazione primaria in Italia.
Durante la fase sindacale, ricordiamo, la società si è mostrata indisponibile al ritiro del piano di licenziamenti respingendo di fatto qualsiasi tentativo di trovare soluzioni di lungo respiro, a tutela dei lavoratori, che potessero allontanare il piano di ristrutturazione. Durante le due riunioni del tavolo ministeriale – tenutesi il 28 novembre e oggi 13 dicembre – il Comitato di redazione, la Fnsi e le associazioni di stampa, con senso di responsabilità, hanno tentato un dialogo su basi concrete e serie. E lo hanno fatto avanzando per primi una soluzione, vista l’assenza di scenari alternativi considerati dall’azienda. Alla possibile strada degli esodi volontari di un certo numero di giornalisti e di part time volontari, portata da CdR e sindacati, però, l’azienda ha risposto con scarso interesse, mettendo a disposizione incentivi assai esigui e irricevibili. Questo ha fatto tramontare sul nascere ogni realistica opportunità di accordo.
L’assemblea considera l’atteggiamento dell’azienda estremamente grave, specie se inquadrato nella lunga e persistente crisi dell’agenzia Dire iniziata a settembre 2021 con l’arresto dell’ex editore e l’avvio di una stagione, durata quasi due anni, di pesanti ammortizzatori sociali con la decurtazione di fatto di quasi il 30% degli stipendi, oltre a sacrifici sul piano operativo enormi per mantenere quantità e qualità dei notiziari”.
Editoria, Avs: "Dire? Basta soldi pubblici a chi licenzia"
"Basta finanziamenti pubblici a chi licenzia. Il licenziamento collettivo nei confronti di giornaliste e giornalisti dell'agenzia di stampa Dire e' ignobile, immotivato e ingiustificato. La colpa di questa situazione e' solo ed esclusivamente dell'azienda. Dopo due anni di contratti di solidarieta', in cui giornaliste e giornalisti hanno sacrificato una parte del proprio stipendio per la salvaguardia del posto di lavoro, ora la doccia fredda dei licenziamenti. Siamo al fianco delle redattrici e dei redattori che, a ridosso delle feste natalizie, si trovano in questa difficile situazione. Non possono essere sempre i lavoratori a pagare ma, soprattutto, non si capisce come un'agenzia che prende contributi pubblici scarichi sui lavoratori le proprie inadempienze. E' necessario fare di tutto per salvaguardare l'occupazione di questi professionisti dell'informazione e rilanciare l'agenzia di stampa". Lo afferma il capogruppo dell'Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro.