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"Inchieste a rischio": un flash mob europeo per la libertà d'informazione
Un flash-mob ideato dall'Associazione Dig per tutelare la libertà di investigazione dei giornalisti europei e quindi il diritto all'informazione dei cittadini d'Europa. Su iniziativa e direzione creativa dell'Associazione DIG, uno dei più grandi giornalisti investigativi francesi, Paul Moreira, e i ragazzi della scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso hanno inscenato un flash-mob per denunciare la possibilità che sia approvata una direttiva che potrebbe limitare le inchieste sulle grandi multinazionali.
Dal 4 al 6 settembre scorso si è svolto il festival dei DIG Award, successore del premio Ilaria Alpi, che ha celebrato il giornalismo d'inchiesta italiano ed europeo nelle “Giornate del giornalismo di Riccione”. Al termine dell'assegnazione dei premi, sul palco del Palazzo del Turismo di Piazzale Ceccarini, la conduttrice Sabrina Nobile ha invitato sul palco Paul Moreira, premiato durante la serata per la video-inchiesta “Transgenic wars” con il “Premio Coop – Cibo, consumi e ambiente”- Moreira ha spiegato i motivi di una petizione, lanciata poco tempo fa da Elise Lucet, Chief Editor e Presentatrice su France 2 di Cash Investigation, su change.org ha raccolto sino ad ora circa 460.000 adesioni. In pratica, la direttiva tenta di impedire alle “gole profonde” all'interno di aziende di qualsiasi tipo di denunciare reati di cui sono testimoni e di conseguenza, anche ai giornalisti è preclusa la possibilità di occuparsi di tali vicende senza rischi giudiziari per sé stessi e per le testate di appartenenza.
A quel punto, dopo la spiegazione di Moreira, i giovani giornalisti della Fondazione Lelio Basso hanno messo in scena un flash-mob per indicare alcune inchieste di rilevanza nazionale ed europea del passato recente che probabilmente non sarebbero mai terminate con pesanti condanne.
"Con l'applicazione di questa iniziativa - afferma Matteo Scanni (nella foto in basso), presidente Associazione DIG - grandi inchieste come Enimont, Parmalat, il crac Cirio o LuxLeaks sarebbero state a rischio. Invitiamo tutti i cittadini e i colleghi giornalisti a sostenere questa petizione che da oggi come Associazione DIG promuoveremo: in gioco c'è la libertà d'azione dei giornalisti d'inchiesta e il diritto ad essere informati dei cittadini”.
Video Credits: Fps Media
LA DIRETTIVA
Il 16 giugno la Commissione Affari Legali del Parlamento Europeo ha votato la prima versione della Direttiva sulla protezione dei segreti commerciali. Ora si attendono gli esiti del "trialogo" tra Consiglio, Commissione e Parlamento per la versione definitiva. Nel frattempo alcune ONG e Organizzazioni di Giornalisti europee hanno palesato la loro perplessità circa l'effettivo scopo della Direttiva e sugli effetti sulla libertà di informazione. L'obiettivo che secondo Costance Le Grip, parlamentare europea del gruppo popolare che ha proposto la Direttiva, è alla base della proposta è la tutela del segreto commerciale.
Si legge nella relazione che accompagna la bozza che quelle informazioni che non possono divenire "diritti di proprietà intellettuale (DPI)" mantengono comunque un grande valore economico: tali informazioni sono i segreti commerciali. Per tutelare le imprese in caso di furto, acquisizione illecita e diffusione di questo know-how immateriale, secondo i proponenti, è necessario, da un lato, armonizzare le legislazioni nazionali e, dall'altro, rendere correnti tra gli Stati Membri i mezzi di ricorso in sede civile per le imprese che ritengono violato un segreto commerciale.
Nel concreto, riprendendo l'accordo TRIPs del 1994, viene fornita una definizione molto generica di segreto commerciale (articolo 2, comma 1, par 1 e 2): come anche l'Italia ha fatto all'interno della legislazione nazionale, vengono definite segreti commerciali quelle informazioni che non sono "facilmente accessibili" nella loro precisa configurazione o combinazione dei loro elementi e che "hanno valore commerciale in quanto segrete". Si tratta di una formulazione tautologica che ampio margine lascia all'interpretazione degli organi giudicanti. L'illiceità della divulgazione (articolo 3) - questo uno dei nodi critici evidenziato da molte organizzazioni - è tale quando un soggetto "era a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuti esserlo, del fatto che il segreto commerciale è stato ottenuto da un altro soggetto che lo stava utilizzando o divulgando illecitamente".
Come si può evincere da questa parziale riproposizione dell'articolo 3, si richiede, ad esempio ad un giornalista, di sapere in anticipo che un segreto commerciale sia stato acquisito illecitamente. Infine, un altro articolo controverso è l'ottavo e in particolare il comma 2 che permette, su richiesta motivata, di adottare misure specifiche necessarie a salvaguardare "la riservatezza di ciascun segreto commerciale o presunto segreto commerciale utilizzato o menzionato nel corso dei procedimenti giudiziari". Considerata la genericità di cosa possa costituire un segreto commerciale, le imprese potrebbero considerare quasi ogni processo aziendale interno un know-how che non può essere diffuso e lo stesso potrebbero fare i giudici chiamati ad accettare o rifiutare le motivazioni addotte. Nonostante gli emendamenti votati in Commissione Affari Legali, Corporate Europe segnala come giornalisti e whistleblower (le famose talpe) possano rivelare segreti commerciali i caso di attività illegali in genere, frodi e condotte scorrette e solo dopo aver dimostrato di avere agito nell'interesse pubblico. Tuttavia, è a discrezione del giudice tale valutazione e quindi la liberta di informazione né verrebbe in qualche modo limitata. E questo nonostante sia, per un verso, garantito che l'abuso di contenzioso - ossia la possibilità di rivalersi contro chi utilizza lo strumento giudiziario per intimidire o per ritardare l'accesso al contenuto del mercato - possa essere sanzionato (articolo 6) e, per altro verso, esplicitata "la tutela dell'interesse pubblico" tra le condizioni di applicazione delle sanzioni (articolo 12). Infine anche la pubblicazione delle decisioni devono mantenere la riservatezza dei segreti commerciali. Anche qui, se la definizione rimane quella precedentemente richiamata, il rischio di pregiudicare un diritto del pubblico (e del soccombente) ad essere informato sulle decisioni dei giudici potrebbe divenire realtà.