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Siae e il trucco di Google. Bonforti (Patamu): “Adesso hanno paura”

La Siae paga Google per rubare visibilità a Patamu e Soundreef. "Hanno paura e non sanno gestire la comunicazione. Servono scuse e trasparenza"

La Siae è un gigante nato per proteggere il diritto d'autore. Anzi, è più di un gigante: fino a poco fa era  un monopolista. Poi sono comparse le prime crepe. Patamu e Soundreef sono due piattaforme che si propongono come alternative. È iniziata così la diaspora di alcuni artisti, con Fedez e Gigi D'Alessio (in direzione Soundreef) a rappresentare i casi più noti.

La Siae allora è corsa ai ripari, in modo (quantomeno) maldestro. Ha pagato Google per avere visibilità. Cercando “Patamu” e “Soundreef”, il primo risultato era il sito della Siae. Un trucchetto che rappresenta (quantomeno) una scarsa conoscenza del mezzo. Basta un occhio attento per notare che quella visibilità non è guadagnata ma comprata. E così è stato. Tutto è nato da Adriano Bonforti, fondatore di Patamu.

L'INTERVISTA

Ci spieghi com'è andata?

Innanzitutto ci tengo a fare una precisazione: siamo stati noi a fare la scoperta ed a dare per primi la notizia, la sera del 21 Giugno (come è facilmente verificabile) scrivendo un articolo di denuncia sul nostro blog, un post su facebook che ha iniziato subito ad andare in virale, e tramite alcuni tweet dal nostro account @patamu_ita. Il fatto che poi lo “scoop” sia stato ripreso omettendo la fonte originale dà purtroppo una misura di quanto le informazioni siano manipolabili o quantomeno inaccurate anche sulle principali testate online.

È ad esempio incredibile che nonostante Patamu (con oltre 10.000 artisti iscritti, il 15% della SIAE) sia attualmente l’unica startup a fare competizione dalla SIAE dall’Italia, e nonostante le nostre azioni di protesta (tra cui una petizione su change.org firmata da 28.000 artisti, un esposto all’Antitrust per violazione del libero mercato, e la scelta di fare intermediazione dall’Italia sfidando per la prima volta in assoluto il monopolio SIAE dall’Italia), alcune importanti testate abbiano omesso di citare Patamu negli ultimi mesi, pur parlando molto dell’argomento. Questo dimostra quanto sia fragile ed a rischio la libertà di informazione se ci sono poteri economici forti in campo.

Tornando alla questione, non contestiamo in particolare l’uso dei nomi dei competitor come keywords, ma il fatto che la SIAE si sia letteralmente presentata come Patamu, creando su Google un link al suo sito, con titolo “Patamu – SIAE.it” come si può evincere dal nostro screenshot originale. In pratica la SIAE ha presentato Patamu (e Soundreef) come progetti interni o connessi alla SIAE, generando confusione negli utenti che cercavano uno specifico servizio. Se la SIAE è davvero la casa di vetro che dice di essere diventata, dovrebbe scusarsi pubblicamente per quanto avvenuto e spiegare come possa essere successo.

Come spieghi queata mossa della Siae?

Ci sono varie interpretazioni. La prima è che la SIAE abbia paura di perdere terreno e stia reagendo ricorrendo consapevolmente anche a mezzi deontologicamente non appropriati. È interessante che la SIAE abbia timore anche di Patamu, una startup indipendente che non ha dietro appoggi istituzionali o grandi investitori, ma solo la forza dei propri iscritti.

La seconda è che la SIAE non sia in grado di gestire propriamente neanche le politiche di comunicazione. Anche ipotizzando che si sia trattato di una svista, una cosa del genere non è tollerabile da parte chi ha una posizione dominante sul mercato, e dunque maggiori responsabilità.

Tra l’altro, trattandosi di un ente pubblico che gestisce i diritti d’autore degli artisti, sarebbe importante che la SIAE dichiarasse pubblicamente con quali risorse sta promuovendo e pagando queste campagne pubblicitarie sui social, e quanto stia spendendo. Ci sono inoltre domande ancora più importanti che poniamo da anni ed a cui, nonostante si siano fatte anche interrogazioni parlamentari, la SIAE non ha mai risposto: questo potrebbe essere un primo passo per avere anche quelle risposte.

E ora?

Patamu è un marchio registrato. Abbiamo immediatamente avviato la pratica di reclamo presso Google poiché SIAE si presentava come Patamu, e l’annuncio in questione è stato modificato dopo alcune ore. La SIAE è un ente pubblico e non può sottrarsi da elementari pratiche di trasparenza: dovrebbe scusarsi pubblicamente per quanto accaduto, indicando anche quanto stia spendendo per la propria campagna mediatica e da dove provengano le risorse anche per correttezza verso i propri iscritti. Da parte nostra, se necessario, valuteremo quali ulteriori iniziative intraprendere per tutelarci. 

@paolofiore