Medicina
Il welfare che funziona: sostegno gratuito nella lotta a COVID-19 e solitudine
Già 30.000 richieste al numero verde 800.833.833, dove tutti i giorni dalle 8.00 alle 24.00 si trova un aiuto psicologico per superare la crisi-Coronavirus
affaritaliani.it è andata dietro le quinte del numero verde 800.833.833, i cui psicologi hanno ricevuto 30.000 richieste da tutta Italia solo nella prima settimana di attivazione del servizio
Quando si parla di sanità e welfare, spesso lo si fa per evidenziarne i punti critici. L'emergenza-Coronavirus, purtroppo, ne ha portati alla luce molteplici, anche nei sistemi regionali che venivano considerati più efficienti.
Ma di fronte alla pandemia, per fortuna, sono emersi anche valori positivi da non trascurare: la solidarietà, in primo luogo, e la capacità professionale e organizzativa di servizi come il numero verde 800.833.833, attivo tutti i giorni dalle 8.00 alle 24.00 da partire dallo scorso 27 aprile, con lo scopo per dare assistenza psicologica gratuita a chi si trova in difficoltà in questo cruciale passaggio storico.
Un servizio offerto dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile a tutti coloro che ne abbiano bisogno: dagli anziani chiusi in casa, agli operatori sanitari in prima linea, passando a chi combatte con la malattie e a chi invece a causa dell'impatto economico della pandemia ha perso il posto di lavoro.
Nella crisi sanitaria, sempre più italiani si sono avvicinati al mondo della psicologia, come dimostrato dal recente sondaggio dell'Istituto Piepoli del quale vi abbiamo dato notizia.
Tuttavia, era difficile prevedere l'enorme riscontro ottenuto dal numero verde: nella prima settimana di operatività il numero verde 800.833.833 ha ricevuto circa 30.000 chiamate da tutta Italia!
Maria Assunta Giannini, psicologa e psicoterapeuta, dirigente del Ministero e responsabile tecnico-scientifico del progetto, ha spiegato all'ANSA: "Questi volumi molto alti, mostrano che è stato intercettato un aumento importante del bisogno di sostegno, che va di pari passo a un aumento di ansia, paura e solitudine causati dall'emergenza coronavirus e dal conseguente lockdown".
"In generale - sottolinea Giannini - i sentimenti principali che ci comunicano, e che chiedono di essere aiutati a padroneggiare, sono ansia, depressione, senso di impotenza. Chiamano madri preoccupate per figli giovani, magari problematici o con dipendenze. Così come donne che chiedono aiuto per episodi di violenza in famiglia, e in questo caso le mettiamo in comunicazione con il 1522. Non mancano situazioni psicopatologiche più serie, che richiedono l'intervento dei servizi territoriali e un aiuto farmacologico. In alcuni casi è stato richiesto il supporto del numero verde anche per emergenze, come minacce di suicidio, e si è intervenuti in sinergia con le forze dell'ordine per scongiurare il rischio".
“Non bisogna vergognarsi di chiamare per chiedere aiuto: saremo poi noi a valutare il bisogno"
Ma come funziona questo servizio? Quali sono le potenzialità e gli strumenti che mette in campo?
Per scoprirlo, affaritaliani.it ha incontrato alcuni degli operatori che sono in prima linea nella sua gestione, mettendone in luce non solo il notevole valore professionale, ma anche gli aspetti umani – difficoltà comprese – di un servizio offerto per il bene della comunità, a titolo completamente gratuito.
Cominciamo con il Dott. Enrico Varrani, coordinatore del progetto “CON TEnere l'Emergenza” linea di supporto psicologico e socio didatta di IIPG (Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo).
L'IIPG è presente a livello nazionale con tre dimensioni: la Scuola di Psicoterapia (per gli psicologi che vogliono diventare psicoterapeuti individuali o di gruppo), il Centro Clinico e di Formazione ed il Centro di Ricerca Gruppi. Il progetto “CON TEnere l'Emergenza”, lanciato lo scorso marzo, aveva una dimensione locale ed ha fornito sostegno “oltreche a persone bisognose d’ascolto, anche a pazienti psichiatrici, che a causa del lockdown erano in difficoltà per il mancato contatto con i medici che normalmente li seguivano”.
“Con l'intensificarsi della pandemia e delle relative problematiche, si è arrivati a fine aprile a stipulare una convenzione nazionale con il ministero della Salute che coinvolge anche noi membri della federazione SIEFPP, che riunisce le principali scuole di psicoterapia psicoanalitica d'Italia”, spiega Varrani.
“E' stato quindi istituito il numero verde 800.833.833 per qualunque persona che in questa difficile situazione sentisse il bisogno di un aiuto di tipo professionale. A loro disposizione ci sono psicoterapeuti e psicoanalisti che hanno dato la disponibilità per consulti gratuiti che possono arrivare fino a quattro per ogni paziente. Questo perché l'intervento è inteso come emergenziale, mentre chi ha bisogni più ampi viene indirizzato a professionisti delle strutture pubbliche o, se richiesto, delle strutture private”.
Qual è il modello operativo del servizio?
“Il numero verde è il primo livello. In questa fase viene fatto un filtro alle richieste da parte di psicologi dell'emergenza, che hanno una preparazione specifica. Se questi valutano che il bisogno del soggetto può essere gestito attraverso i colloqui (invece che, ad esempio, chiamando un'ambulanza o altro), lo indirizzano al secondo livello, formato dai circa 2.000 psicologi che hanno dato la loro disponibilità. In genere le assegnazioni sono su base territoriale. Al professionista viene dato il numero della persona che ha chiesto aiuto ed è lui a contattarla: questo cambia molto rispetto alla normale pratica terapeutica, perché chi si trova in difficoltà vede che qualcuno gli tende una mano. Nel secondo livello, si comincia ad analizzare il bisogno”.
Quali sono i bisogni più frequenti che vengono riportati?
“Se all'inizio prevalevano le problematiche psichiatriche, oggi i temi che ci vengono posti sono più vicini a quelli delle persone comuni: abbiamo tutti più o meno le stesse difficoltà, essendo chiusi in casa. La prima donna che ho dovuto contattare lavorava in una scuola privata, ma a causa della pandemia ha forse aumentato le paure di perdere il posto di lavoro. Costretta a stare a casa, si è trovata di fronte a una serie di fantasmi, tra cui il ricordo della morte della madre, e questa situazione ha riportato a galla una serie di fragilità che già in passato l'avevano portata a pensare di aver bisogno di un supporto psicologico, anche se poi aveva sempre rinviato la richiesta d'aiuto per mancanza di tempo”.
“Le falle che questa situazione ha creato nella sua situazione psicologica hanno fatto crescere sempre di più un'angoscia che l'ha spinta a rivolgersi al numero verde. Inizialmente la signora era stupita dal fatto che ci fossero persone disposte ad ascoltare le ansie che da qualche anno la tormentavano. Avvicinarla non è stato facile: era come si vergognasse di farci perdere del tempo che poteva essere dedicato, secondo lei, a persone che avevano problematiche più gravi, quindi ho dovuto farle capire che lei era come tutte le altre persone a cui si rivolge il servizio, che era altrettanto degna di essere aiutata. Questo genere di problematiche è molto diffuso. Basti dire che solo nel giorno dell'annuncio del servizio sono arrivate ben 8.000 telefonate, poi il ritmo è un po' calato”.
Cosa si può suggerire a chi sta male in questo periodo così incerto?
“Il primo consiglio che mi sento di dare è di non vergognarsi a chiamare il numero verde 800.833.833: saremo poi noi a valutare il bisogno. Poi bisogna tenere conto del fatto che i 2.000 psicoanalisti e psicoterapeuti ai quali ci si può rivolgere, gratuitamente, sono professionisti molto preparati. Non sono dei semplici medici o psicologi, ma sono passati attraverso esperienze formative serie, molto lunghe e approfondite. Sanno cosa sia l'animo umano, soprattutto in una situazione come questa: se già in una persona normale essa produce paure, figuriamoci in chi ha difficoltà come stati depressivi o ansiosi o altre patologie”.
“Paradossalmente, i più preparati ad affrontare questa fase sono i pazienti ipocondriaci, ovvero quelli che anche nella normalità hanno sempre paura di contrarre malattie e sono pronte a leggere nel proprio corpo malattie che nella realtà organica non esistono. Con questa situazione, nella quale l'angoscia ipocondriaca la proviamo un po' tutti, loro si sentono confortati e non più così diversi dagli altri.”.
Vi chiamano più uomini o donne? E di quale età?
“Leggermente più donne, ma la differenza è minima. La fascia d'età prevalente va dai 30 ai 60 anni, indicativamente. Ciò è spiegabile con il fatto che chi è più anziano è meno pratico nell'usare WhatsApp e Skype. Il sostegno si può fare anche al telefono, ma guardarsi in faccia è importante”.
Anche se alcune esperienze di terapia a distanza sono antecedenti, sembra proprio che l'isolamento sociale abbia modificato un aspetto della terapia che pareva immutabile: ovvero il classico setting con il terapeuta e il paziente seduti uno di fronte all'altro, nella riservatezza di una stanza...
“Abbiamo dovuto cambiare, per necessità. Ci sono colleghi che hanno preferito sospendere le terapie duali o di gruppo e altri che invece si adattano, con tutte le difficoltà del caso: nei video collegamenti cerchiamo anche di garantire riservatezza, evitando che figli o moglie entrino all'improvviso nella stanza dove ci stiamo collegando col paziente. ”
Gli operatori sanitari sono in prima linea nella lotta al Covid-19: come si può aiutarli sul piano psicologico?
“Nella fase-1 siamo entrati in contatto con pochi di loro, perché erano troppo presi dall'emergenza. Bisognava fare e non parlare. Col tempo hanno iniziato ad arrivare, sia singolarmente che in gruppo, perché è necessario parlare dei problemi con i quali si rapportano giornalmente. Poi si tratterà di raccogliere i pezzi delle persone che in questo periodo hanno dato tanto e che magari non ce la faranno più, anche pensando ai problemi lavorativi e sociali che questa situazione comporterà”.
Sul tema degli operatori sanitari abbiamo parlato anche con il Dott. Luigi Valera, direttore della scuola di Milano:
“Gli operatori sanitari coinvolti nella battaglia contro il Covid hanno visto troppi colleghi ammalarsi e troppe persone morire in un arco di tempo troppo breve", spiega Valera. "La loro mente non ha fatto in tempo a metabolizzare le perdite e quindi c'è stato un ingorgo. Un problema importante è che queste persone fanno fatica a parlarne in casa, perché vogliono proteggere la propria famiglia dal dolore legato alla propria scelta professionale. E i loro familiari, allo stesso modo, evitano di parlarne nel tentativo di proteggere affettivamente chi lavora negli ospedali. L'intento è buono, ma non funziona: alla fine ognuno piange in camera propria. Si crea una 'congiura del silenzio', che peggiora le cose. Bisogna parlare apertamente. Il familiare a cui tu non parli, sente che in qualche modo non gli dai fiducia e quindi gli nascondi qualcosa”.
La stessa cosa vale per i bambini? Fanno bene i genitori che, per proteggerli dall'angoscia, omettono di raccontare cosa sta succedendo nel mondo?
“Per i bambini vale la stessa cosa: se li escludi della comunicazione, loro se ne accorgono. E in mancanza di risposte da parte dei genitori se ne danno da soli. E, quasi sempre, sono risposte più pesanti ed angosciose rispetto alla realtà. Certo, nel parlare con i bambini bisogna trovare il linguaggio adatto rispetto all'età, che può essere anche il gioco, la storia o il disegno, ma si deve discutere con loro di quello che sta succedendo. Credo che ogni genitore debba trovare la modalità più adatta”.
Tornando allo stress degli operatori sanitari, quanto incidono le caratteristiche specifiche del Coronavirus?
“Molto, perché vedono gente che muore in maniera tragica: per mancanza di respiro, che è la cosa peggiore. Per le malattie croniche avanzate ci sono ormai strumenti idonei per la sedazione, quindi rispetto a trent'anni fa non si muore più in situazione di grave sofferenza fisica. I farmaci consentono di prevenire l'agonia. Invece per il Coronavirus non si è fatto in tempo a trovare le cure palliative e quindi la gente muore disperata e impazzendo per la mancanza d'aria. E oltretutto muore da sola. La solitudine urla vendetta. Quando la gente viene prelevata in casa dall'ambulanza, ci sono sguardi e pianti strazianti perché la sensazione è che non ci si rivedrà mai più, senza che ci sia stato un processo di separazione. Normalmente nella malattia subentra il processo del 'lutto anticipatorio': nel quale, pur non dicendoselo apertamente, sia il paziente che i familiari in qualche modo si preparano al distacco. Mancando questa fase, il trauma non viene ammortizzato e quindi colpisce il doppio”.
Quanto pesa sul piano psicologico l'impossibilità di salutare i propri cari con un funerale, che solo nella fase-2 comincia ad essere parzialmente consentito?
“Molto. L'eleborazione del lutto è un altro tema critico. La mente, per poter digerire una morte, ha bisogno di un percorso che generalmente va dai tre mesi a un anno. In questo tempo si passa da sensazioni come spaesamento, rabbia, contrattazione e soprattutto senso di colpa. La mancanza del rito del funerale rende tutto più difficile: i riti sono stati inventati proprio per simboleggiare il passaggio da una condizione alla successiva. Senza poter fare un funerale, è un lutto 'decapitato', la cui elaborazione sarà più lunga, complessa e particolarmente appesantita dal senso di colpa”.
Come si può aiutare una persona che vive esperienze così laceranti?
“La tipologia prevalente di problemi presentati al nostro servizio sono la solitudine e l'isolamento, quindi ci chiamano anziani e ammalati. Chi già prima era in una situazione di fragilità, in questa situazione vede aumentare esponenzialmente il proprio problema. È fondamentale l'accoglienza, priva di pregiudizio e soprattutto con capacità di ascoltare. Lo scopo dello psicologo è partire dalla rabbia che porta a chiederci “perchè proprio a me?” (domanda che non ha risposta) e, attraverso il dialogo, trasformare questa emozione in pensieri. Lo psicologo impresta la propria mente, che non è coinvolta, a chi sta dall'altra parte e il cui pensiero è bloccato dalla rabbia che prova. Si comincia quindi facendo in modo che la persona si presenti, per arrivare a capire il perché della rabbia o della disperazione, per cercare di darle un senso. Siamo un po' i fisioterapisti della mente: facciamo muovere una testa bloccata, attraverso delle domande”.
Sul piano psicologico, quali possono essere le insidie della Fase-2?
“La gente tenderebe subito a uscire, perchè non ne puo' più. Anche in questo bisogna aiutarla a pensare: è giusta la speranza, bisogna lavorare in questa direzione, ma con un senso di autoresponsabilità. Se vuoi bene agli altri, devi proteggerli da te stesso. La mascherina devi metterla per non infettare gli altri, perché non sai se sei un asintomatico contagioso. È un segno d'amore e di responsabilità verso gli altri”.
Come inciderà la pandemia sui rapporti sociali? Verrà esasperata la paura dell'altro che già caratterizzava questa fase storica?
“Sì, il rischio è che si esasperi, esaltando il fanatismo e la dimensione dell'uno contro l'altro. Prima l'altro era lontano (il cinese, l'extracomunitario, il diverso da me), adesso anche chi è uguale a me è potenzialmente pericoloso. Sono cerchi concentrici che si stringono, che ti fanno sentire più perseguitato e anche più solo. E quindi sempre alla ricerca della perfezione, che diventa estenuante”.
Qual è l'aspetto che invece l'ha colpita maggiormente in positivo, durante questa fase difficile?
“Certamente la solidarietà e il risveglio della dimensione del condominio. Abbiamo ricominciato a suonare il campanello della vicina anziana, a solidarizzare esponendo le bandiere, direi che durante il lockdown ci si è conosciuti di più l'un l'altro. Abbiamo assistito alla reazione dell'italiano col cuore in mano, attraverso molte risposte di volontariato di tutti i tipi, che hanno fatto emergere lo spirito generoso, cattolico e socialista del nostro Paese”.
In rappresentanza degli studenti del terzo e quarto anno della Scuola IIPG di Milano che prendono parte al progetto “CON TEnere l'Emergenza”, che è la versione locale del progetto Ascolto Psicologico Nazionale, abbiamo incontrato Sabrina Rugarli e Alessandra Portaluppi, che già dal marzo scorso erano state promotrici di questa iniziativa:
“Il progetto è nato perché la condizione di fragilità attiva un senso di umanità, il desiderio di portare un contributo”, spiega Rugarli.
“Inoltre, esso ha coinciso con realizzazione di una sorta di camera di riflessione che ci ha permesso di osservare cosa sta accadendo, per capire la trasformazione drammatica e repentina che stiamo attraversando tutti, noi comprese. Cambierà l'idea di futuro, la concezione di vita, il modo di intendere i rapporti con l'altro. In qualche modo è una terapia di gruppo, perché negli altri vediamo cose che stanno accadendo anche in tutti noi”.
Un cambiamento che riguarda anche la pratica clinica, come sottolinea Portaluppi: “La differenza tra lo studio privato e questo servizio è che psicologo che paziente sono di fronte alla stessa paura e alla stessa fragilità. L'isolamento del paziente riguarda anche chi se ne occupa. In una terapia tradizionale c'è asimetria di posizione, perchè è il paziente che viene a chiedere aiuto a noi. Invece in questa situazione invece c'è quasi una simmetria. Il senso di abbandono e la paura della morte caratterizzano ciascun essere umano coinvolto in questa situazione”.
“Usando prevalentemente il telefono” - aggiunge Rugarli - “nella relazione a distanza terapeuta-paziente manca il corpo, ma proprio questa simmetria fa sì che invece che la connessione sia molto forte e intensa, perché quello che ti racconta l'altro risuona dentro di te”.
Questa empatia è sollecitata anche dal fatto che a ricorrere al servizio non siano prevalentamente malati di Covid, medici o infermieri, ma la popolazione generale, quindi persone con problemi comuni a tutti come il disagio provocato dal lockdown, l'isolamento e la paura del futuro: “Questi sono i problemi che spingono le persone a rivolgersi al numero verde, anche se poi vengono fuori problemi presistenti, che in questa crisi si sono slatentizzati”, spiega Rugarli.
Come si possono sostenere queste persone?
“Questo è soprattutto il momento dell'ascolto” - afferma Portaluppi - “Anche semplicemente avere qualcuno che in un momento di estrema fragilità sia disposto ad accoglierti è una cosa molto importante per chi soffre. Lo scopo è creare uno spazio di contenimento dell'angoscia. Infatti il progetto è nato dall'esigenza manifestata dai nostri pazienti di trovare uno spazio di ascolto delle nuove paure che si sono scatenate con il Covid, oppure di paure che sono sempre esistite, come quella della morte, ma che in questa fase sono emerse con più forza”.
“E' necessario verbalizzare queste paure, per attivare la capacità di riflessione della persona che ci chieda aiuto, così che col suo stesso ragionamento possa trovare la soluzione più adatta al suo problema”, chiosa Rugarli.