Medicina
Influenza stagionale: dati stabili ma preoccupa virus sinciziale tra i bambini
Da non sottovalutare, specialmente per i piccoli, può evolvere in bronchiolite
Nonostante l'incidenza rimanga quasi doppia rispetto a quella registrata nella stagione 2019-2020, dopo un inizio in corsa, in questi ultimi giorni la diffusione del virus influenzale stagionale sembra essersi stabilizzata. Si è riscontrato anche un lieve calo di nuovi contagi tra i bambini al di sotto dei 4 anni, che comunque rimangono la fascia più colpita.
Continuano a circolare però molti altri virus respiratori: oltre al temuto Sars COV-2 (i cui contagi sono in lenta e progressiva crescita anche in Italia complici le nuove varianti, le condizioni metereologiche, il fatto che stiamo sempre più al chiuso, le riaperture delle attività lavorative in presenza e la scuola), parecchi sono infatti i casi di sindrome simil-influenzale segnalati e preoccupa molto il Virus Respiratorio Sinciziale, virus che colpisce prevalentemente i bambini sotto l'anno di età.
Il virus sinciziale
Questo virus si presenta con tosse e raffreddore e non è da sottovalutare in quanto può evolvere in bronchiolite, un’infiammazione acuta di bronchi e bronchioli che può provocare ostruzione delle vie aeree con possibile comparsa di difficoltà respiratoria, e in alcuni casi sfociare in polmonite. Nella maggior parte dei casi l’infezione si risolve spontaneamente in circa 12 giorni e senza conseguenze, ma se contratta nelle prime settimane di vita e in genere sotto i tre mesi, la malattia può richiedere il ricovero e ossigenoterapia ed essere potenzialmente rischiosa. Da qui l’allarme e la paura di molti genitori per la circolazione che vede, proprio in questi giorni, un picco di ricoveri nei reparti pediatrici e nelle terapie intensive di neonati e bambini molto piccoli colpiti proprio da bronchioliti e polmoniti causate dal virus respiratorio sinciziale.
Tale virus non è comunque una novità di quest’anno. Torna ogni anno con la stagione fredda e rappresenta la prima causa di ricovero ospedaliero sotto l’anno di età. Solo che in genere la fase epidemica si verifica fra la metà di dicembre e fine gennaio, mentre quest’anno è arrivato in anticipo e in forma più violenta, complici sicuramente le misure di contenimento del Covid adottate lo scorso anno, che ne avevano bloccato la diffusione.
“Essendo stati costretti a rimanere molto in casa, i bambini hanno avuto nell’ultimo anno una minor possibilità di esposizione alle infezioni virali e tutto questo ha reso più vulnerabile il loro sistema immunitario. Da qui si spiega l’aumento dei casi non solo di Covid e influenza, ma anche di virus respiratorio sinciziale in questa fascia di età” – spiega il Prof. Fabrizio Pregliasco, Direttore scientifico di Osservatorio Influenza, Virologo, Ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario I.R.C.C.S. Istituto Ortopedico Galeazzi.
No ad allarmismi
Non bisogna comunque fare allarmismo, anche se è necessario tenere alta la guardia e non sottovalutare la comparsa dei primi sintomi. Cogliendo per tempo i segnali e con un pronto intervento pediatrico si può infatti evitare il ricovero in ospedale, che si renderebbe necessario in caso di peggioramento della respirazione. Ad oggi non è disponibile un vaccino per questo virus, ecco perché rimane fondamentale la prevenzione: gli esperti invitano gli stessi genitori a una maggior prudenza rispetto al passato, raccomando di evitare che i bambini frequentino luoghi affollati, che possono facilitare il contagio, ed entrino in contatto con persone che presentano sintomi respiratori, anche se si tratta di adulti. Questo perché, negli adulti, il virus sinciziale è responsabile di semplici raffreddori che invece nei piccoli e piccolissimi possono evolvere appunto in situazioni respiratorie anche severe. La prima protezione passa comunque dall’igiene primaria, con le stesse precauzioni che abbiamo imparato con il Covid: uso delle mascherine, se possibile anche per i più piccoli, distanziamento e lavaggio e igiene frequente delle mani.
La situazione preoccupa i medici non tanto per i sintomi: raramente la bronchiolite porta al decesso e in media i bambini ricoverati fra i 5 e gli 8 giorni guariscono. Il problema importante è l’afflusso: i bambini si ammalano anche di altro e, vista l’alta incidenza in questo momento di bronchioliti, gli ospedali iniziano ad avere difficoltà a ricoverare pazienti con altre patologie. I dati epidemiologici sulla diffusione dell’infezione influenzale indicano, tra l’altro, una tendenza ad una rapida crescita dell’epidemia influenzale tra i bambini di età inferiore ai 4 anni e anche i casi di Covid nei bambini sono in aumento. Pertanto esiste il rischio che l’andamento epidemiologico di bronchioliti, Covid-19 e influenza possa mettere in crisi la capacità di assistenza della rete sanitaria pediatrica, già in grave difficoltà per le conseguenze indirette legate alla diffusione dell’epidemia da Covid-19 nella popolazione adulta.
Ecco perché gli esperti, oltre alla prevenzione, raccomandano di vaccinare anche i bambini sia contro l’influenza che contro il Covid, vaccinazione per cui anche Aifa qualche giorno fa ha dato il via libera: l’immunizzazione per la fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni sarà possibile a partire da metà dicembre con due dosi del vaccino Pfizer a tre settimane di distanza l'una dall'altra, in formulazione specifica e con una dose ridotta pari a un terzo del dosaggio autorizzato per adulti e adolescenti.
“Fare il vaccino anticovid è fondamentale per la salute stessa dei bambini e per permettere loro di tornare a condurre una vita sociale normale, particolarmente importante per lo sviluppo psichico e della personalità in questa fascia di età. Ma, oltre ai benefici diretti, la vaccinazione dei bambini potrebbe contribuire anche a diminuire la velocità di circolazione del virus e potrebbe comportare un aumento della copertura vaccinale dell’intera popolazione e, quindi, una maggiore protezione anche per i soggetti più fragili di tutte le età, soprattutto se conviventi con i bambini” – concluse il Prof. Pregliasco.