Medicina
Invecchiare bene: la riabilitazione nella vita dell'anziano
Parola a Cristina Monti, fisioterapista presso Korian Mosaico Cure Domiciliari
L’attività fisica è fondamentale
Oggi, con il progressivo invecchiamento della popolazione, le cure di tipo riabilitativo-fisioterapico assumono un ruolo sempre più importante. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, le evidenze dimostrano che fare attività fisica regolarmente aiuta a invecchiare bene: aumenta la resistenza dell’organismo, rallenta l’involuzione dell’apparato muscolo-scheletrico e di quello cardiovascolare e anche le capacità psico-intellettuali ne traggono giovamento. Inoltre, l’esercizio fisico determina benefici simili a quelli ottenuti con interventi farmacologici nella prevenzione secondaria di patologie coronariche, nel recupero post-ictus, nello scompenso cardiaco, nella prevenzione del diabete. Anche in patologie meno severe, come il mal di schiena o l’artrosi, il beneficio dell’esercizio fisico sui sintomi e sulla qualità di vita è rilevante.
Secondo Cristina Monti, Fisioterapista presso le Cure Domiciliari Korian Mosaico, sono diverse le domande che spesso vengono poste a chi offre servizi di riabilitazione - come la frequenza e la durata della cura, la differenza tra Riabilitazione e Fisioterapia, la differenza tra le tecniche, gli obiettivi, etc - a conferma del bisogno di informazioni su questa tematica.
Quale fisioterapia ha senso proporre, ad esempio, a un paziente allettato?
“Credo che tutto vada messo in atto nella vita di un anziano con plurimorbilità, pur di non arrivare all’allettamento. Comunque, non andrebbe tenuto a letto 24 ore fermo. Si deve mobilizzare il sistema osteoarticolare, devono essere allungati i tendini così come in generale la muscolatura; che necessita di un minimo di attivazione, in cui è il paziente ad attivarsi, anche solo per cambiare postura nel letto. Si può e si deve poter posizionare il paziente in carrozzina, perché sia agevolata la vita di relazione o il semplice mangiare a tavola. A casa, in centro diurno, in RSA, l’indice indicativo di ‘fragilità’ nell’immaginario collettivo è la mobilità del paziente”.
Approcciando poi nello specifico il paziente con decadimento cognitivo?
“La fisioterapia non migliorerebbe il livello cognitivo di un paziente, ma migliorerebbe le prestazioni motorie: forza, resistenza, forma e tono muscolare; equilibrio nel cammino; tono dell’umore e collaborazione. Non si può pensare che la fisioterapia, che in tal caso non è passiva, ma attiva su imitazione (il paziente si muove se vede l’operatore o altri pazienti svolgere abitudinariamente esercizi) cambi lo stato della patologia neurologica, ma evita decisamente la sedentarietà. La memoria non viene in aiuto, né i tempi di concentrazione, ma un canale attentivo può essere aperto, e tenuto aperto, tramite il movimento programmato. Che non è ‘allenamento’, ma appunto movimento programmato dal terapista”.
Cosa si intende per Riabilitazione?
“Per spiegare cosa si intende per Riabilitazione, mi piace usare la definizione data nel 2014 dall’OMS che dice che “l’attività di riabilitazione è lo strumento essenziale per contrastare le conseguenze funzionali delle patologie e migliorare o mantenere il livello di partecipazione sociale delle persone con disabilità”. Ciò significa che la fisioterapia può diventare strumento funzionale: il paziente comprende il proprio limite, identifica le attività che non riesce più a svolgere, e col fisioterapista impara gli strumenti motori e funzionali essenziali per ovviare al limite. La Riabilitazione ha nelle premesse una conoscenza da parte del paziente dei fatti, di sé stesso, delle possibilità residue da potenziare, una memoria, una capacità di apprendimento, in modo che il programma proposto diventi movimento nel quotidiano. Con tecniche varie e con un crescendo di proposte, ma sempre con collaborazione attiva. Ciò in fondo differisce il riabilitatore fisioterapico dal massaggiatore, o dall’osteopata, che lavorano essenzialmente su parti di corpo: lo fanno certo con competenza e ottenendo grossi risultati, ma ciò è solo una parte dell’approccio riabilitativo”.
Sono necessari interventi riabilitativi nei pazienti con diagnosi di Demenza?
“Sono da prevedersi interventi riabilitativi o riattivativi, svolti in ambito territoriale e non, rivolti a persone con disturbo cognitivo e demenza con finalità di recupero, mantenimento e, ove possibile, potenziamento delle abilità cognitivo-comportamentali, psicosociali e funzionali residue. I trattamenti, orientati dalla valutazione multidimensionale e declinati secondo il grado di gravità della malattia, sono finalizzati al raggiungimento e/o mantenimento del più elevato livello di autonomia possibile e al miglioramento della qualità della vita delle persone affette da demenza e delle loro famiglie, come scritto sulle Linee di Indirizzo Nazionali sui PDTA per le Demenze. Avere un parente con questo tipo di diagnosi, mette in serie difficoltà la vita di tutto il nucleo familiare, per questo l’insieme dei servizi riabilitativi è di notevole conforto e un aiuto concreto.
Con quale frequenza/durata è necessario sottoporre i pazienti a queste cure?
“La durata di un percorso fisioterapico è in generale meno impegnativa rispetto a un percorso riabilitativo, in cui l’apprendimento richiede più tempo e più attenzione. La frequenza settimanale in realtà è sovrapponibile, e varia più a seconda di quanto è acuto il problema, di recente insorgenza, piuttosto che storico e in via di cronicizzazione. È sempre utile iniziare con una frequenza giornaliera, come accade durante i ricoveri riabilitativi. Per poi ridurre a frequenza bisettimanale o monosettimanale. La durata di un intero percorso è ancora poco standardizzabile: la riabilitazione è ancora scienza in cui dimostrare efficacia è complesso, ma non impossibile. Nel corso degli anni si sta diventando più precisi, a seconda della patologia che ha causato il deficit di mobilità”.