Milano

Renzi intervistato dai milanesi nel laboratorio Milano. Analisi

di Fabio Massa

Non può essere solo una casualità, e non può essere solo il solito refrain del laboratorio politico di Milano. Ma tre indizi fanno una prova, e qui siamo ben oltre i tre indizi. Il primo: Matteo Salvini si candida premier usando le stesse leve di Marine Le Pen, che l’anno prossimo corre per comandare in Francia. E con le stesse leve di Donald Trump, che invece ha già vinto. Viene da Milano, Matteo Salvini. E’ appannato, ha un gruppo dirigente non coeso, dopo il referendum probabilmente - per sua stessa ammissione come ha raccontato Affaritaliani.it - verrà assalito dai suoi oppositori interni. Il secondo: Stefano Parisi si candida premier, usando le stesse leve enunciate da Silvio Berlusconi in una intervista al Corriere della Sera: centralismo, democrazia, liberalismo, socialismo riformista. Insomma, moderazione. O meglio, Parisi non si candida premier, ma dice che non si deve candidare Salvini: il che è lo stesso. Visto che per adesso tertium non datur (forse Toti, ma chissà), rimane poca scelta. Anche Parisi viene da Milano, pur essendo di Roma. La campagna per le amministrative l’ha fatta qui, il suo quartier generale era in Brera e quello della sua azienda, nella quale oggi non ha più ruoli operativi (maledetta Italia che colpisce le aziende per colpire i leader politici), ecco, Chili TV ha sede in Bovisa, nella periferia più difficile di Milano. Il terzo indizio: a Milano si celebra il “congresso non congresso” di SinistraxMilano, una roba che ancora non si capisce bene che cosa è, ma che invece è abbastanza chiara: è la via milanese alla sinistra nazionale. Una via che passa per l’accordo con il Pd che oggi è Renzi, con buona pace dei più scandalizzati all’idea che Pisapia stia parlando con il premier (tipo l’ex consigliere Luca Gibillini). Svolga il tema, Gibillini e gli altri purissimi: che cosa dovrebbe fare Pisapia (che anche lui viene da Milano, e pur avendo il padre indimenticato e illustre napoletano, la milanesità ce l’ha nei geni profondi, negli istinti sanguigni), se non ripartire da Milano, e da quella sinistra delle idee e dei valori, che però non disdegna di governare? Rassegnarsi alle idee cupe e rancorose di un consigliere comunale di Roma di nome Stefano Fassina? O del brianzolo Civati, perso nelle nebbie? O allinearsi, lui garantista, avvocato durante tangentopoli, alle pretese giustizialiste di parte di Sel, di parte di Idv defunta e autostradalizzata in Pedemontana (dove l’ex grande capo Di Pietro cerca di realizzare l’opera dei sogni che diventano incubi finanziari)? A che cosa dovrebbe arrendersi? A questo? O dovrebbe andare a braccetto con D’Alema e con Bersani, con i quali pure non ebbe molto a che spartire in nessuna parte della sua vita politica? 


Ma ci sono altri segni, di questo movimento a sinistra: la sinistra sinistra che cerca di trattare, respinta con danni (di questo, parleremo domani), a Sesto San Giovanni, dove Filippo Penati pur dicendo che non vuol far perdere Monica Chittò (e lo dice on the record e off the record, come un mantra), si muove proprio in quella direzione. Destra, sinistra, centro, centrosinistra e centrodestra, e pure un po’ di 5 stelle, giacché la via pentastellata al governo ha due gambe: una è piantata a Napoli, con Luigino Di Maio, come lo chiama - sfottendolo - Vincenzo De Luca; l’altra a Milano, dove c’è Davide Casaleggio ma soprattutto una classe dirigente che sta crescendo, e che quando comprenderà di essere davvero competitiva tutti dovranno averne timore. Quanti indizi, in attesa della prova dei fatti. 

Intanto in tutto questo, acquisisce un sapore particolare la visita della Boschi a Varese, acquisisce un sapore particolare la visita della Boldrini a Milano. E acquisisce un sapore particolare il dialogo tra Pisapia e Sala, e tra Pisapia e la Cgil, e pure quello tra Renzi e i milanesi, in programma stasera all’ex Ansaldo di via Bergognone, laddove la segreteria metropolitana aveva già messo in campo le giornate aperte per Milano, con i tavoli tematici. Il titolo è evocativo: “Renzi intervistato dai milanesi”. Qualcuno potrebbe pensare - a ragione - che dopo le batoste prese dai giornalisti del pianeta con Trump, il popolo è l’unico legittimato a fare domande. Altri potrebbero affermare che Renzi arriva a Milano per fare campagna per il sì, perché non sa a che santo votarsi. Io penso che venga a Milano perché ogni tanto c’è proprio bisogno di un laboratorio pulito, accogliente, efficiente, moderato. E l’unico aperto, di laboratorio, in Italia, è quello milanese. Gli altri si rassegnino. O meglio, si attrezzino.

@FabioAMassa
fabio.massa@affaritaliani.it







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