Politica
Capitol Hill e il centrodestra: la ricaduta su Salvini, Meloni e Berlusconi...
“La notte di Capitol Hill ha una ricaduta sulla destra italiana. Ha indebolito nel mondo l’alternativa alla sinistra. Perche ha dato l’immagine di una deriva violenta, che invece con i conservatori non deva avere nulla a che fare.” La parole di Guido Crosetto, cofondatore di Fratelli di Italia e una delle menti ancora più illuminate del panorama conservatore italiano, anche dopo avere lasciato l’impegno politico attivo, mettono bene in luce il fatto che l’assalto dei trumpiani (ma sarebbe meglio dire di qualche discutibile facinoroso di difficile collocazione politica) al Campidoglio americano sia un elemento che forse debba aprire una riflessione nella destra italiana.
Ma bisogna capire se come dice Crosetto, questo fatto possa rappresentare un problema per la destra italiana, che sicuramente anche se in modi e termini differenti, ha appoggiato il percorso politico di Trump in questi quattro anni. Intanto occorrerebbe sgombrare il campo dalle pure polemiche politiche di bottega, che in molti casi risultano stonati per non dire ipocriti. Come non dimenticare infatti, gli entusiasmi di Grillo e dei suoi accoliti, il giorno delle elezioni di Trump alla Casa Bianca, definto dal guitto di Sant’Ilario come il più grande vaffa della storia, o come non dimenticare ancora l’atteggiamento dello stesso Conte dopo la vittoria di Biden, che definire tiepido appare un eufemismo.
Ma certo è che quello accaduto a Washington sembra porre alcuni spunti di riflessione sopratutto nel centrodestra italiano, che deve fare i conti con tre approcci piuttosto differenti al suo interno, che si sono riflessi anche nell’atteggiamento verso Trump e la sua presidenza. Molto morbido e piuttosto ondivago quello di Forza Italia, che da tempo sta cercando in tutti i modi di mostrarsi come forza moderata ansiosa di recuperare parte di quel grande consenso perso, proprio rivolgendo le sue attenzioni a quella parte di elettorato. Convinto senza se e senza ma quello della Lega di Salvini, che ha sempre cercato una sponda oltreoceano, senza però mai riuscire ad avere un vero accreditamento da parte della amministrazione Trump, forse anche perchè il vero stratega di politica estera del partito Giancarlo Giorgetti non ha mai manifestato gran simpatia verso il nuovo presidente Usa. Accreditamento e considerazione invece ottenuti da Giorgia Meloni, invitata per due anni a Washington dai repubblicani americani. Nel Marzo del 2019 alla Conservative Political Action Conference, la piu grande manifestazione dei conservatori del mondo, e nel Febbraio del 2020 al National Prayer Breakfast la più importante convention repubblicana, alla presenza del presidente Trump.
Questo perché Fratelli di Italia, forse, non ha seguito pedissequamente la presidenza Trump, perchè per il partito e per la sua leader, ogni popolo è sovrana e quindi i legami con altri paesi sono sempre funzionali a mettere in rimo piano l’interesse del proprio paese. Senza voler fare la esegesi dei diversi tweet di reazione ai fatti accaduti dei tre rispettivi leader del centrodestra, esercizio di pura retorica e senza nessuna utilità dal punto di vista della analisi politica, occorre dire che questi fatti di Washington potrebbero nell’immediato effettivamente porre qualche problema all’interno della coalizione, con il sicuro desiderio da parte di Forza Italia di sfruttare la cosa per presentarsi come forza moderata e cercare magari di rubare consensi sia a Fdi che alla Lega. Ma a parte la poca lungimiranza e il respiro conto di un simile atteggiamento, forse sarebbe il caso come detto da Giorgia Meloni nella sua lunga lettera al Corriere, che non sia mai troppo saggio entrare dentro alle dinamiche elettorali e politiche di un altro paese, cosa che ad onor al vero appartiene in questi ultimi decenni molto più alla sinistra italiana che al centrodestra.
Come non dimenticare gli osanna della sinistra italiana via via ai vari “paladini della democrazia” internazionale, a cominciare da Tony Blair e dal suo sogno tramontato della terza via in Inghilterra, da Clinton e da Obama, sulla cui presidenza restano moltissime ombre ancora oggi e non a caso molti commentatori sono assai dubbiosi sul fatto che Biden voglia ripercorrerne le gesta, o da Mitterand e lo scialbissimo Hollande in Francia, o a Zapatero, sicuramente più amato e osannato in Italia che a Madrid, e ora Sanchez in Spagna. Non si ricorda francamente peana simili nel campo del centrodestra, che forse perchè non ha bisogno di guardare in casa di altri, per trovare una sua legittimazione, giusta o sbagliata che si possa considerare. Forse Trump per la prima volta ha rappresentato, proprio per la sua particolarità e la sua parabola politica assolutamente unica, un primo elemento destabilizzante da questo punto di vista. Anche la destra sovranista e populista, che non per forza di cose devono rappresentare delle accezioni negative in sè, è rimasta un po' spiazzata e sorpresa dalla escalation trionfale di Trump nella più grande democrazia del mondo come a qualcosa da guardare con un certo interesse anche in casa propria. Anche perché ad onor il vero bisogna anche ammettere che la presidenza Trump, con tutte le sue ombre, ha sicuramente ottenuto buoni risultati sia dal punto di vista economico che in politica estera ( Trump è il primo presidente da quarant’anni ha non aver mai “sparato” un colpo, fatta eccezione per l’isolato episodio dell’attentato contro l’iraniano Soleimini ).
Quindi difficile limitarsi a giudicare quattro anni, con il brutto spettacolo offerto dal presidente in questi ultimi tre mesi, in cui il suo carattere “difficile” e il suo indiscutibile egocentrismo lo hanno portato ad una assurda battaglia per non riconoscere una sconfitta da parte del suo rivale Biden. Era piuttosto comprensibile e per certi versi scontato che partiti come la Lega e Fdi e anche Forza Italia, che nel loro dna hanno molte delle istanze rappresentate da Trump e dai repubblicani americani, non potessero non guardare con grande curisoista a quello che puo essere considerato come un primo vero esperimento nella storia politica internazionale.
Ma quello che è fallito non è stato il progetto in sé ( senza il Covid e la sua gestione fallimentare da parte del presidente, è opinione di tutti che Trump avrebbe stravinto le elezioni) ma i modi in cui lo stesso è stato portato avanti, che è il medesimo portato avanti da Bolsonaro in Brasile, e cioè quello di personalizzare troppo la carica e la politica ( cosa che in misura e modi diversi non dimantichiamolo è stato portato avanti per anni da Silvio Berlusconi qui in Italia). Detto ciò, essere vicino alle idee di un leader, non vuol dire appiattirsi sulle sue posizioni per adattarle in salsa italiana, come invece spesso la sinistra ha fatto in questi ultimi decenni. La globalizzazione forse in politica ancora, per fortuna, attecchito, perché ogni paese ha una storia un suo percorso e sue dinamiche che non possono essere assimilate con una unica ricetta buona per tutte le stagioni e a tutte le latitudini. Ecco perché allora il centrodestra da questa esperienza paradossalmente ne potrebbe uscire rafforzato, se sarà in grado di metabolizzare questa esperienza e farne tesoro per il futuro.
Trump ha comunque rappresentato, piaccia o no, una rivoluzione nel modo di intendere la politica ed è stata una rottura verso l’establishment, anche del suo stesso partito. Trump come per venti anni Berlusconi in Italia, ma per certi versi anche nello stesso Bolsonaro in Brasile o Boris Jhonson in Gran Bretagna, non sono tanto populisti o sovranisti, ma egocentrici megalomani, che per certi versi è l’esatta antitesi del sovranismo e del populismo. Il centrodestra dovrebbe smarcarsi da questi steccati ideologici, in cui la sinistra vorrebbe rinchiuderli, e costruire il suo percorso politico nella società civile, come sembra stia cominciando a fare Giorgia Meloni e per certi versi Matteo Salvini. Perchè l’egocentrismo, come sta dimostrando in queste ore un altro grande rappresentante di questa schiera Matteo Renzi, alla lunga non porta mai a niente di buono.