Politica
Caso Palamara, Travaglio super direttore del giornalismo italiano
Le intercettazioni che mostrano la libertà dei grandi giornali sotto scacco. Intervista a Sansonetti: "Democrazia compromessa quando i magistrati dettano..."
L’inchiesta sul sostituto procuratore Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione Nazionale magistrati, leader della corrente Unicost ed ex componente dello stesso Csm, sta mostrando le dinamiche del potere giudiziario minandone la credibilità. Secondo l’accusa una cordata composta soprattutto da magistrati pilotava le nomine dei capi delle procure di tutta Italia, dalle più ambite alle più piccole. Coinvolti anche giornalisti.
Affaritaliani.it con il direttore Angelo Maria Perrino ha pubblicato le conversazioni intercettate al fine di prestare un servizio alla verità e all’imparzialità.
La stampa di centro-sinistra minimizza o parla di singoli casi ma fa eccezione il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti che di questo sistema è stato tra i pochi a parlarne, da anni. Lo abbiamo intervistato.
Dopo la 'vicenda Palamara' ha detto che il giornalismo in Italia non esiste più. Ha parlato prima di magistratopoli e poi di giornalistopoli. Ci spiegherebbe meglio?
“Dalle intercettazioni emerge il fatto che almeno i principali giornali italiani dipendevano direttamente dalle scelte di un gruppo di magistrati e soprattutto c’è un'altra cosa che colpisce: che queste intercettazioni non vengano pubblicate dai giornali e parlo dei principali giornali, parlo di Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa. Sono giornali che hanno vissuto di intercettazioni, hanno pubblicato intercettazioni di tutti i tipi, anche prive di qualsiasi valore penale, anche di pura chiacchiera. Con le intercettazioni hanno cercato di inchiodare i principali leader politici di questo Paese, cambiando le sorti della politica. Hanno impallinato Berlusconi, hanno raso al suolo Renzi. Ma nel momento in cui le intercettazioni riguardano loro, cioè i giornalisti, queste intercettazioni scompaiono”.
La terzietà, l’indipendenza dei giornalisti dal potere della magistratura che è una delle categorie più importanti e potenti perché decide della vita di ogni persona, non sarebbe un bene imprescindibile per la libertà e la democrazia? Perché, secondo lei, non si apre un dibattito pubblico nazionale su un tema così importante? Mi sembra un elemento determinante per le sorti del nostro Paese...
“Accade perché in parte la nostra democrazia è anche compromessa, perché da vent'anni va avanti in questo modo. Sono vent'anni che il giornalismo giudiziario ha assunto un potere immenso all'interno dei giornali. I giornalisti giudiziari comandano, dettano legge sui giornalisti politici e in parte anche sui direttori. I giornalisti giudiziari sono alle ‘dipendenze’ dirette delle Procure, non hanno un rapporto privilegiato. Mi spiego. Non fanno nulla che possa anche essere inteso come una critica a quelle Procure. Tutte le loro fonti dipendono solo dalle Procure. Le loro informazioni dipendono da quegli uffici. E abbiamo scoperto che sono dentro ai giochi di potere delle Procure stesse, con una corrente o l'altra. Abbiamo anche scoperto che la magistratura italiana è fondamentalmente un luogo di potere che ha pochissimo a che fare con la giurisdizione e con la giustizia. Dalle intercettazioni si capisce che a loro non interessa della giustizia, è un argomento che neanche discutono, il tema giustizia, il tema diritto intendo. Ma si interessano di come conquistare le varie Procure, come conquistare i posti di potere, come amministrare le carriere. Comanda il magistrato, il giornalista obbedisce e basta. Questa relazione assume un potere fortissimo e inquina in maniera profondissima il funzionamento ordinario della democrazia”.
Chi si è occupato di questi temi, spesso in solitudine, questo scenario l'aveva ben presente e lo ha spiegato negli anni passati. Leggiamo oggi di come dei magistrati condizionino intere campagne giornalistiche, dettino l’agenda, diano notizie a raffica, determinino le sorti di questo o quello. La novità rispetto al passato è che c’è internet che ci permette di leggere delle connessioni in modo diffuso, al di là di qualche giornale come il suo che ha sollevato il tema?
“La novità è che sono uscite le intercettazioni e le prove che le cose stanno proprio come alcuni di noi dicevano, da molto tempo. L'altra cosa impressionante dicevo è che i giornali non pubblicano. È una cosa questa veramente eticamente insopportabile”.
Parliamo di relazioni che sono determinanti per le carriere dei singoli o c’è di più?
“Ormai le due carriere, di magistrati e giornalisti, sono strettamente connesse. Capita che 'sale' un procuratore e contemporaneamente 'sale' nella scala sociale un giornalista. 'Scende' un procuratore e 'scende' un giornalista. Sto scherzando, ma fino a un certo punto. Sono carriere strettamente connesse e c'è un problema fortissimo di inquinamento e anche di arroganza. Sono gli stessi giornalisti che chiedevano le dimissioni di chiunque avesse preso un biglietto per una partita. Adesso se ne fregano di tutto, di sé stessi e dei loro amici magistrati. Ciononostante le cose si rivelano. Ma a questo punto 'il partito dei magistrati' è un po' andato a gambe all'aria. È stato un partito molto compatto, in questi anni, anche con le divisioni che ci sono sempre state fra loro, ma compatto nel colpire. Come si dice!? Marciare divisi e colpire uniti. E loro sapevano fare molto bene questo. Ma oggi sono un po' allo sbaraglio. Io leggo anche gli editoriali di Travaglio (Marco Travaglio, il direttore de Il Fatto Quotidiano, ndr) che considero il capo vero dei pm. Anche lui adesso è in grande difficoltà. Cerca di richiamare i suoi, salva alcuni, altri li scarica. Ma...”
Come reazione alcuni leader politici parlano di nuovo di separazione della carriere, Bonafede di riforma della giustizia, ma qui mi sembra di vedere un problema più profondo...
“La separazione delle carriere non la faranno mai a meno che non succeda qualcosa di sconvolgente, la magistratura non perda il suo potere e la politica riacquisti la sua autonomia. Anche perché il terzo personaggio di questa storia è la politica che non ha una sua autonomia rispetto alla magistratura. In parte perché è coinvolta, in parte perché è impaurita e sotto ricatto. Ho visto che proprio oggi hanno nominato il nuovo Capo di Gabinetto del ministro Bonafede ed hanno fatto di nuovo un magistrato, nonostante gli era stato detto cento volte che non si può fare perché quello non è un incarico che spetta a un magistrato. Invece anche lì di nuovo si firma il ‘patto di sangue’. Io penso sempre che il ministro sia Travaglio e Bonafede sia il sottosegretario”.
La sua battuta ha come retroterra le confusioni fra piani che dovrebbero essere distinti, giornalismo e politica…
“Ero formalmente... diciamo adesso, dal punto di vista puramente formale risulterebbe ministro Bonafede, ho scoperto, ma io pensavo che fosse Travaglio, invece no...”
Le campagne moralizzatrici condotte dai giornali negli anni, che hanno descritto la nostra democrazia come irrimediabilmente corrotta e con la magistratura come unico baluardo a salvarci non hanno buttato via il bambino con l’acqua sporca? La politica negli anni è stata completamente distrutta. La qualità della classe politica oggi è per larghi strati impalpabile, una politica molto debole e molto fragile. C’è una linea guida in tutto questo?
“Anche in queste intercettazioni escono fuori cose abbastanza curiose, come l'ordine di far fuori Berlusconi per esempio che è in alcune intercettazioni che sono emerse. Non sono emerse cose su Renzi ma io penso che siano più o meno analoghe. Abbiamo avuto da queste intercettazioni la prova che la politica italiana è stata in larghissima parte condizionata dalla magistratura che ha sovvertito il potere, ha cambiato i governi, indebolito i leader ed ha sempre seguito questo disegno: indebolire la politica battendo i suoi leader più prestigiosi perché poi la politica su quello si basa. Se gli abbatti i leader più importanti la politica si indebolisce molto. L'obiettivo della magistratura sembra sempre quello: indebolire il prestigio e il potere della politica per aumentare il prestigio e il potere della magistratura”.
Questa dipendenza del Paese dal potere giudiziario, non incrina i cardini della democrazia? E questa mancanza di terzietà la vediamo anche spesso in tv dove si contruisce il consenso vero e nelle inchieste televisive unidirezionali o no?
“Anche io sono sempre stato convinto che in televisione si costruisca il consenso. Ma sicuramente la televisione è sempre stata subalterna rispetto al giornalismo della carta stampata. I grandi giornali continuano a dettar legge”.
Le tv sono degli amplificatori che rimescolano visioni già delineate?
“Sì, chi conta sono le televisioni ma chi decide i temi, chi decide le linee, chi detta le strategie, secondo me, è sempre la carta stampata e in particolare i grandi giornali, i tre grandi giornali più Il Fatto. Anche perché in questi ultimi tempi i tre grandi giornali italiani sono diventati subalterni a Il Fatto Quotidiano. Chi poi da le carte davvero, chi mena le danze intendo, è Il Fatto”.
È una subalternità ideologica? Psicologica?
“È il giornale della magistratura, Il Fatto".
Intende... che meglio interpreta la visione che la magistratura italiana ha del mondo?
“E quindi comanda. Ha il potere, diciamo. Il potere del Fatto è dato dal potere che gli deriva dalla magistratura e quindi gli altri giornali lo devono rispettare”.
I tanti magistrati fuori dal gioco e dalle logiche delle correnti che cosa pensano, secondo lei? Sanno già, sicuramente di questi scenari, ma che pensano nel complesso?
“Non credo che non lo sapessero. La magistratura è piena di gente molto per bene, sicuramente, e che prova a fare il proprio lavoro e che sa in che magistratura lavora. A me la cosa che mi ha sempre colpito, siccome penso che la parte numericamente maggioritaria della magistratura sia onesta, per bene, faccia il suo lavoro seriamente e onestamente, è come mai non ci sia mai stata una rivolta, da parte dei magistrati. In parte la stessa cosa avviene con i giornalisti perché anche gran parte dei giornalisti, la maggioranza, sono persone molto perbene che vorrebbero fare il proprio lavoro seriamente ma non ci riescono perché comunque c'è questa dittatura anche dentro i giornali da parte del nucleo giudiziario”.
A sinistra, su questi temi, lei è una mosca bianca. Non vede, soprattutto nella cultura giornalistica di sinistra, l’aver ceduto a questa egemonia dei magistrati dalla stagione di Tangentopoli? E da lì è arrivata fino a noi!? I giornali di centro destra non hanno lo stesso approccio…
“Generalmente la destra è garantista ma se hai un reddito superiore ai 2/300.000 euro, sotto quella soglia è molto meno garantista (ride)”
Ah… una battuta...
“(Ride) Con la sinistra invece non basta. Il passaggio è precedente a Tangentopoli. La svolta forcaiola, per usare questo termine, o giustizialista della sinistra e comunque il suo sottomettersi alla magistratura è precedente secondo me a Tangentopoli. Affonda le radici negli anni della lotta armata, negli anni in cui la sinistra si trovava in grande difficoltà rispetto a quei gruppi politici alla sua stessa sinistra. La sinistra italiana si è difesa dando carta bianca alla magistratura. Da quell'atto di sottomissione che avvenne intorno al 1975 non è mai più uscita”.
Molti non ricordano questo passaggio storico...
“La sinistra è arrivata preparatissima a Tangentopoli, perché era già sottomessa. Quando arrivò Tangentopoli la sinistra era già succube della magistratura e poi lo è rimasta nonostante qualche tentativo di scrollarsi di dosso questa cappa. Lei dice che io sono una mosca bianca a sinistra. Io temo di essere una mosca trasparente, non bianca. Io ho una storia di sinistra ma il garantismo non so dove sia in Italia. Di giornalisti garantisti ce ne saranno una decina. Non siamo più di 10, 15. Non scherzo. Di garantisti veri. Poi ci sono i garantisti in qualche caso. Ci sono i giornalisti di sinistra, garantisti con gli immigrati, i rom… Ma lo devi essere per tutti, il garantismo deve esserci con tutti... vuol dire per tutti”.
Ma è ancora percepibile questa differenza tra destra e sinistra? Nel nostro Paese non valgono di più le carriere? E torniamo al caso da cui siamo partiti...
“Si, ormai in questa storia qui destra e sinistra c'entrano pochissimo. C'entra il diritto e il non-diritto. Ma lo stato di diritto è minoranza assoluta in questo Paese”.