Politica
Dopo Draghi tutto torna come prima, il sistema farà di nuovo danni
Ecco perché è sbagliato il confronto tra l'Italia di Draghi e la Francia di De Gaulle
Oggi sul “Corriere della Sera” c’è un articolo di Ernesto Galli della Loggia che propone un parallelo interessante: la situazione dell’Italia e quella della Francia nel 1958, quando De Gaulle tornò al potere. Il parallelo è giustificato: in ambedue i casi i partiti hanno dato pessima prova di sé; in ambedue i casi, ad un certo momento, il Paese è apparso ingovernabile; in ambedue i casi infine un uomo, chiamato per guidare un vascello che rischiava di andare a sbattere contro gli scogli, ha governato senza tenere conto della volontà dei partiti ma, per così dire, al di sopra di loro. Dove però, a mio parere, della Loggia sbaglia, è per quanto riguarda il futuro. Il parallelo è valido per il passato, ma a mio parere non è valido per il periodo di tempo seguente l’avvento dell’“uomo forte”.
Charles De Gaulle, nel 1958, non era un cittadino qualunque, seppure benemerito. Rappresentava la Francia che aveva reagito all’asservimento, al “collaborazionismo”, al disonore di un Paese al Nadir della sua storia. E lo aveva fatto con un coraggio che rasentava la follia. Come si poteva immaginare di resistere ad una Wehrmacht che sembrava assolutamente irresistibile? Come si poteva pensare che un Paese sconfitto e occupato potesse organizzare una resistenza militare, e pianificare con gli Alleati, la riconquista del Paese, facendogli ritrovare il suo onore perduto e persino un posto fra i Grandi? Come si poteva pensare che un Paese che si era fatto irridere, essendo sconfitto in un paio di settimane (quando la Wehrmacht si decise a porre un termine alla “drôle de guerre”) avrebbe potuto chiedere ed ottenere un seggio privilegiato, nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, accanto a Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna e Cina? De Gaulle, nel 1958, era già il monumento di sé stesso, appariva tanto grande che in Italia, dimostrando ancora una volta di non capire niente della realtà, la sinistra gridò all’unisono che la Francia era divenuta una dittatura.
Non basta. Tornato al potere, De Gaulle non si preoccupò soltanto di governare meglio di come aveva fatto, fino a quel momento, la Quarta Repubblica: cominciò ad applicare un piano di riforme delle istituzioni così generale ed approfondito che non si chiamò più “riforme”, ma “Quinta Repubblica”. Come ancora oggi si definisce il regime della Francia. Dunque quell’uomo non si limitò a governare personalmente, ma pose le basi perché altri, dopo di lui, persino personaggi inconsistenti e sfuggenti come Mitterrand (spregiativamente chiamato dai francesi il “Florentin”) potessero governare seriamente la Francia. La quale ovviamente, come tutte le democrazie, ha continuato a commettere errori su errori, ma non è mai più tornata al disordine e all’inefficienza della Quarta Repubblica.
Ed ora vediamo il caso di Draghi. Che quest’uomo sia intelligente, energico, sobrio, competente, che insomma abbia molte grandi qualità, non c’è dubbio. Ma qual è il suo palmarès? È stato il Capo della Banca d’Italia, è stato il Capo della Banca Centrale Europea, ha ottenuto – sempre che sia un merito – che l’Italia potesse continuare a dilatare all’infinito il suo debito pubblico, ma oltre questo chi è, che cosa ha fatto? In un mondo di mediocri certo svetta per il suo buon senso, la sua abilità, la sua efficacia, ma è il primo dei mediocri, non l’ultimo dei Grandi della Storia. Dunque sostenere, come fa della Loggia, che dopo Draghi l’Italia non potrà tornare ad essere come prima è azzardato.
L’Italia – lo sappiamo – vive da sempre una sorta di Quarta Repubblica. Lo stesso Mussolini, che parlava tanto di “Rivoluzione Fascista”, cercava di darla a bere. Gli squadristi erano maneschi, ma non si fa una rivoluzione facendo bere l’olio di ricino a qualche onesto borghese, o andando a Roma col treno e con l’appoggio del re. La Francia al contrario non soltanto ha fatto una grandiosa rivoluzione che ha inaugurato l’Evo contemporaneo, ma ha replicato la voglia di cambiamento nel 1830, nel 1848, nel 1851, dopo il 1870 e – come vediamo – a partire dal 1958.
Ecco perché quando De Gaulle ha proposto la Quinta Repubblica, malgrado la protesta della sinistre, i francesi non si sono opposti. I nostri cugini d’Oltralpe sono convinti che quando c’è da cambiare si deve cambiare. Gli italiani invece, gattopardescamente, sono convinti che si deve cambiare, sì, ma senza cambiare niente. E soprattutto non la Costituzione. In Italia, malgrado l’evidente necessità del provvedimento, in molti decenni non si è neppure riusciti a separare le carriere dei magistrati inquirenti da quelle dei magistrati giudicanti. E della Loggia pensa che dopo Draghi nulla sarà come prima? Dopo Draghi tutto tornerà come prima. E c’è anche un perché.
De Gaulle tornò al potere perché il Paese era ingovernabile, e lo rese governabile. In Italia il Paese, qualche mese fa, era ingovernabile, Mattarella chiamò Draghi, e Draghi cominciò a governarlo, ma non perché in fondo si chiamava Charles. E neppure perché gli italiani o i partiti desiderassero un vero cambiamento: ma semplicemente perché i deputati erano disposti ad accettare qualunque cosa, salvo abbandonare il seggio parlamentare e tornarsene a casa. E appunto, posto che con Draghi si arrivi alla fine della legislatura, posto che le elezioni diano un risultato meno balordo di quello del 2018, che cosa sarà cambiato, in Italia, perché si governi in modo diverso, dal momento che la Costituzione non è stata nemmeno messa in discussione?
Draghi ci sta tenendo a galla profittando dei crediti dell’Unione Europea e sulla volontà dei parlamentari di non perdere il seggio, almeno non fino al 2023. Ma dopo quella data non c’è nessuna ragione perché le cose cambino. Anche se Draghi si rivelasse il miglior Presidente del Consiglio che abbiamo avuto, una “combine” di Palazzo potrebbe mandarlo via, e preferire un incolore Attlee al monumentale Churchill.
Signori, non ci illudiamo: in Italia non è cambiato niente. È soltanto avvenuto che i difetti dei nostri partiti sono diventati talmente grandi, da annullarsi reciprocamente, fino a fare spazio a qualcuno che, temporaneamente, governa sulla base del pragmatismo e del buon senso. Ma non ci illudiamo. Non appena le urne daranno a qualcuno abbastanza voti per fare danni, il sistema riprenderà a fare danni.
Che poi tutto questo possa continuare indefinitamente, è da vedersi.
Gianni Pardo, giannipardo1@gmail.com