Politica

Giorno dell'Unità nazionale: 17 marzo è festa antica, anzi nuova. Ecco perchè

di Enrico Passaro*

Il 17 marzo si affianca alle date delle feste nazionali civili del nostro Paese. Si ha quasi l’impressione che si accodi ad esse, ma non è così

"Giornata dell'Unità nazionale": il 17 marzo è una festa antica, anzi nuova. Ecco perchè sovrasta le altre ricorrenze

Il 2011 è stato l’anno in cui si è celebrato il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Il 17 marzo 1861 una legge del Regno di Sardegna proclamava ufficialmente Vittorio Emanuele II re d’Italia:

«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861».

La proclamazione avveniva dopo decenni di moti e guerre risorgimentali, con una rapida e imprevista accelerazione verificatasi tra il 1859 e il 1860, prima con l’adesione plebiscitaria del Ducato di Parma e Piacenza, del Ducato di Modena e Reggio e del Granducato di Toscana, poi con la spedizione dei Mille che portò all’annessione del Regno delle due Sicilie e infine con l’accorpamento di altri territori delle Marche e dell’Umbria. Restava fuori Roma e il territorio rimanente dello Stato Pontificio, oltre al Triveneto, ma ormai l’Italia dello Stivale era in buona parte compiuta.

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Di quella giornata storica lo Stato italiano ha inteso celebrare le ricorrenze più significative. Il cinquantesimo anniversario nel 1911 fu animato da una serie di celebrazioni nelle principali città, ma soprattutto dall’inaugurazione a Roma del Vittoriano e dell’Altare della Patria, del Ponte Vittorio Emanuele II sul Tevere e del Faro degli Italiani d’Argentina al Gianicolo. Un’interessante pubblicazione fu il volume scritto da Edmondo De Amicis "Le tre capitali: Torino-Firenze-Roma" Del centenario celebrato nel 1961 si evidenzia soprattutto l’Expo 1961, l’Esposizione internazionale del Lavoro svoltasi a Torino mentre il regista Roberto Rossellini con due suoi film (“Viva l’Italia" e “Vanina Vanini” rese omaggio agli anni del Risorgimento. Festeggiamenti forse un po’ in tono minore rispetto all’entità della ricorrenza.

Per il centocinquantesimo invece, sulla spinta data dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si è dato vita ad un ampio programma di manifestazioni, inaugurato il 5 maggio 2010 nel quartiere di Genova Quarto dei Mille, la località da cui partì la spedizione garibaldina delle camicie rosse, e proseguito con numerosi altri interventi fino a tutto l’anno 2011. Sono state organizzate e ravvivate importanti celebrazioni, restaurati monumenti storici ed opere d’arte, rivitalizzati musei e luoghi emblematici e simbolici della lunga storia del Risorgimento italiano.

È stato coinvolto tutto il Paese da Nord a Sud. Fra le tante opere, il restauro e recupero del Parco del Gianicolo, dedicato agli eroi della Repubblica Romana, l’inaugurazione del Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina di Porta San Pancrazio, sempre al Gianicolo, i tanti allestimenti dei Musei del Risorgimento, i restauri dei monumenti di Napoli dedicati a Garibaldi, Nicola Amore e Giovanni Nicotera, le ben 49 mostre organizzate un po’ dappertutto nel corso del 2011, le celebrazioni mazziniane e per il giuramento della Giovine Italia a Genova,  il recupero e la valorizzazione dell’area di Quarto, da cui nella notte del 5 maggio 1860 Garibaldi e i Mille, a bordo di due vapori della società Rubattino, il Piemonte e il Lombardo, iniziarono la loro straordinaria avventura che pose le basi definitive all’unificazione del Paese.

In particolare la testimonianza più significativa lasciata in eredità al Paese è stata la proclamazione della "Giornata nazionale dell'Unità, della Costituzione, dell'inno e della bandiera", avvenuta con legge dello Stato nella quale tra l’altro si afferma che

«La Repubblica riconosce il giorno 17 marzo, data della proclamazione in Torino, nell'anno 1861, dell'Unità d’Italia, quale «Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera», allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica».

L’espressione “riaffermare e consolidare l’identità nazionale” lascia comprendere come il concetto di “identità nazionale” e di appartenenza alla patria comune possa essere stato messo in discussione negli anni più recenti sia da organizzazioni indipendentiste del nord che da meridionalisti delusi dall’approccio che lo Stato ha avuto nei confronti della cosiddetta questione meridionale. Non sono mancate e non mancano, ahimè, sia in dichiarazioni pubbliche, sia in talune pubblicazioni, sia in commenti spesso infondati e incontrollati che sono sempre più diffusi sui social network, sia in veri e propri programmi di organizzazioni politiche, chiare espressioni o addirittura teoremi tesi a screditare il Risorgimento italiano, le missioni garibaldine, le figure dei cosiddetti Padri della Patria, il sacrificio di tanti uomini e donne che hanno combattuto per l’unificazione di un territorio spartito dalle case regnanti ottocentesche. Sembra un po’ l’affermarsi di una vocazione al martirio e all’autoflagellazione di una certa e diffusa mentalità italiana, per la quale bisogna continuamente mettere in discussione i propri valori, la propria identità, la propria storia incontrovertibile, le proprie certezze, per seminare il dubbio e le illazioni complottiste e antistoriche, che non fanno altro che minare inutilmente la comune appartenenza e la consolidata condivisione e indebolire il quadro d’insieme di questo Paese.

Sta di fatto, che per effetto della legge del 2012, il 17 marzo, pur non essendo stato proclamato, al pari del 4 novembre, giornata festiva, sancisce l’istituzione di una data celebrativa del momento storico ufficiale in cui nacque lo Stato italiano, raccogliendo in essa, oltre alla solennità del concetto di Unità nazionale, anche la costruzione storica, politica, sociale ed economica successiva, che ha dato vita attraverso perigliose vicende all’adozione definitiva e imprescindibile dei nostri simboli e dei baluardi di libertà e democrazia, quali il Tricolore, l’inno nazionale, la Costituzione repubblicana.

A rafforzare il messaggio di unificazione e di consolidamento delle radici storiche nazionali, una direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri a firma del Sottosegretario dell’epoca con delega alle celebrazioni del 150° anniversario Paolo Peluffo, ha ribadito i contenuti ideali della legge 222, stabilendo che nella giornata del 17 marzo si consolidano alcune incombenze protocollari volte a ricordare e promuovere i valori di cittadinanza. In una giornata, come detto, non festiva si stabilisce che il Presidente della Repubblica depone una corona d’alloro all’Altare della Patria alla presenza delle più alte cariche dello Stato, secondo il protocollo consolidato in occasione delle tradizionali celebrazioni del 25 aprile, del 2 giugno e del 4 novembre. Nel contempo viene disposto l’imbandieramento esterno degli edifici che ospitano uffici pubblici su tutto il territorio nazionale.

L’importanza della data del 17 marzo ha suggerito l’opportunità di ravvivare e consolidare in tutto il Paese la memoria e il valore della Giornata dell’Unità d’Italia, attraverso anche altre adeguate manifestazioni e celebrazioni. In particolare, ogni anno sono disposte deposizioni e momenti celebrativi presso le tombe che custodiscono le spoglie mortali di Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Camillo Benso di Cavour e Vittorio Emanuele II, rispettivamente al Cimitero Monumentale Staglieno di Genova, a Caprera, a Santena (Torino) e al Pantheon di Roma. Tali celebrazioni si svolgono alla presenza di rappresentanti del Governo e degli Enti territoriali. Analogamente, quantomeno nelle città capoluogo di provincia, si possono organizzare deposizioni, esecuzioni dell’Inno, alzabandiera e momenti rievocativi, in analogia con le celebrazioni previste in occasione delle feste nazionali civili del 2 giugno, del 4 novembre e del 25 aprile.

Come più volte ribadito nella direttiva presidenziale, il 17 marzo si affianca alle date delle feste nazionali civili del nostro Paese. Si ha quasi l’impressione che si accodi ad esse, ma non è così. A ben riflettere, è vero il contrario. In qualche modo le precede se non le sovrasta. Perché senza quel 17 marzo 1861, in cui Vittorio Emanuele assunse il ruolo di re dell’Italia finalmente unificata, non ci sarebbe mai stato il successivo 4 novembre 1918, in cui si annunciava la vittoria della Prima Grande Guerra, anche definita Quarta Guerra d’Indipendenza nell’ambito di una logica sequenza risorgimentale; non ci sarebbe stato il 25 aprile 1945, in cui si annunciò la Liberazione dal nazifascismo; e non ci sarebbe stato infine il 2 giugno 1946, in cui nasceva lo Stato repubblicano per volontà popolare a seguito di un referendum, sulle ceneri della monarchia sabauda.

E a seguire, aggiungiamo, non ci sarebbe stato il 1° gennaio 1948, in cui entrava in vigore la nuova Costituzione dello Repubblica libera e democratica, che sostituiva di fatto l’antico Statuto Albertino del 1848. Passaggi fondamentali, cardini imprescindibili della nostra democrazia, espressioni nobili della nostra storia, a cui dovremmo guardare talvolta con maggiore indulgenza e con un pizzico d’orgoglio.

* Tratto da “NON FACCIAMO CERIMONIE! A spasso nelle vicende del protocollo di Stato” di Enrico Passaro (Editoriale Scientifica Napoli - 2020)

* Enrico Passaro, già responsabile dell'Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha visto sfilare a Palazzo Chigi ben sette premier, da Silvio Berlusconi a Mario Draghi, passando per Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte.