Politica
Governo e elezioni, Salvini “pifferaio” di Hamelin?
Adesso Di Maio dice che è stanco di litigare. Ogni volta la stessa storia fra i due capi del M5S e della Lega, anzi la stessa brutta storia con minacce reciproche, riappacificazioni, nuove minacce, in un vortice senza fine. E la barca va. Anzi non va, con l’Italia che in Europa rischia di diventare un’isola, con una crisi economica inarrestabile e con un debito pubblico dilaganti, con un divario Nord-Sud crescente come dimostrano le risorse investite nel 2018 in infrastrutture economiche e sociali pari a 102 euro nel Mezzogiorno a fronte di 278 nel Settentrione (nel 1970 le stesse cifre erano di gran lunga superiori: 677 euro al Sud e 452 al Nord). Così il governo segna il passo, in fibrillazione e a rischio implosione per il braccio di ferro fra Di Maio e Salvini, i due vice premier che dopo ogni baruffa annunciano il fine match e la ripartenza con il cambio di marcia, che però non arriva. Da qui, la solita domanda: il governo dura? Sì, per il 63% degli italiani. In caso di crisi, quale soluzione?
Un Conte-bis, per il 33% degli italiani. Bocciata una eventuale alleanza M5S-Pd, auspicata solo dal 15%. Questo è quanto risulta dagli ultimi sondaggi (Pagnoncelli) in un quadro dove gli italiani non accettano più i litigi fra Lega e M5S e fra i loro leader,tant’è che oggi (sondaggio Winpoll per il Sole 24 Ore) il 72% degli elettori dice basta e vuole tornare alle urne. Il partito del voto politico anticipato è quindi in larga maggioranza nel Paese e ha ben chiaro chi premiare e chi punire, con la Lega sulla soglia del 40% (38,9%), con il M5S in caduta libera, sotto il 15%. Lo stesso Pd dato sopra il 23% non gode perché qui il secondo partito è il primo degli sconfitti, essendo isolato, senza possibilità di alleanze, in un centrosinistra desertificato (+Europa al 2,3%, la Sinistra all’1,9%, i Verdi all’1,7%).
All’opposto, sul fronte centrodestra, il potenziale alleato della Lega, Fratelli d’Italia (ma Salvini ribadisce che in caso di elezioni anticipate correrà da solo), va oltre il 7% (7,4%) superando Forza Italia (6,7%), con il rais di Arcore nelle nebbie. Se due più due fa quattro, siamo oramai al refrain del: “qui comando io” riferito a Salvini. Oggi l’asse politico italiano ha come perno, come propulsore, come cabina di regia il leader della Lega. Non il Salvini attaccabrighe e gigione accusato dagli avversari di brandire la paura, l’odio e l’invidia per guadagnare consenso e potere, definito dal Pd e dalla sinistra fuorigioco quale “fascista” e “razzista” come se fosse il prosecutore di quella destra revanscista isolata nel ghetto dei “boia chi molla”, dedita al folklore del saluto romano e dei labari col teschio e il fascio littorio.
Qui si tratta di un Salvini che, anche con la malcelata riproposizione di una cultura del muscolo fatta spesso di arroganza e disprezzo altrui, è stato capace di interpretare i timori e le aspettative popolari dando sintesi politica e dignità istituzionale al malcontento degli italianie portando la agonizzante e localistica Lega del celodurismo bossiano dal 4% a ben oltre il 30% veleggiando oramai verso il 40%, traguardo riuscito dal dopoguerra solamente alla potente DC, balurdo dell’anticomunismo in un mondo diviso in due e forte anche del collateralismo con la Chiesa. Se questa è nella sostanza la realtà con la Lega e Salvini sugli scudi, ci sarà stata e ci sarà una ragione di fondo – o più ragioni – qualche responsabilità, qualche errore degli altri, di tutti gli altri leader e partiti? Non è venuto, specie per Pd e sinistra, il momento di ragionare e di chiedersi il “perché” una parte perde e un’altra parte vince? Si vuol davvero pensare che quasi il 40% degli elettori italiani siano “razzisti”, “fascisti”, “populisti”, utili idioti in fila a seguire il pifferaio di Hamelin? Dopo il “patatrac” della prima Repubblica con la fine degli obsoleti partiti di massa (cui vanno riconosciuti non pochi meriti) sono stati i fallimenti nella prova di governo della “rivoluzione liberale” berlusconiana e della “rivoluzione del cambiamento” di un centrosinistra guidato da un PD fatto a tavolino da potentati ex Pci ed ex DC a creare le condizioni per la rivoluzione di quell’antipolitica non priva di contraddizioni e di degenerazioni, a volte persino priva di buonsenso. Un “nuovo” dove covavano e covano, aggravati, molti germi del “vecchio sistema”.
Un “nuovo” cui va però riconosciuto di aver condotto la carica del malcontento e della protesta popolare non nella irrazionalità distruttiva dell’anti sistema ma nell’alveo delle istituzioni democratiche. La mozione di sfiducia del Pd contro Salvini è un autogoal, l’ennesima dimostrazione di come non si deve fare lotta politica. Così il leader leghista ha buon gioco e prepara un nuovo “D-day” per un nuovo assolto e fare “cappotto” alle elezioni. Quali elezioni? Quando? Dopo la pausa estiva, con una manovra economica “coraggiosa”, dove l’obiettivo principale resta quello di abbassare le tasse non deludendo l’elettorato leghista e soprattutto conquistando con la rivoluzione delle tasse i tanti moderati del ceto medio chiusi nelle riserve dell’astensionismo, si voterà verso la fine 2019 e agli inizi 2020 per le regionali in Calabria, Umbria, poi Liguria, Toscana, Emilia Romagna: un test decisivo per i destini del governo, della legislatura, dei partiti, forse del Paese. Con l’eventualità di una Lega trionfatrice anche in queste regioni, di fronte al probabile ko del M5S e al Pd che perderà nuove roccaforti storiche, Salvini avrà carta bianca per chiedere la verifica elettorale, con un voto politico anticipato che può chiudere la fase dell’alleanza M5S-Lega lasciando al nuovo Parlamento l’onere della vera e inedita svolta politica e istituzionale.