Politica

Caso Guidi, incidente di percorso o fallimento del renzismo?

Massimo Falcioni


Per Matteo Renzi non è dal Colle “irritato” per il caso Guidi-Boschi che arriva la tempesta in grado di travolgere il governo. E neppure l’annunciata sfiducia delle opposizioni preoccupa il premier, sicuro che la minoranza Pd in Parlamento farà quadrato sull’esecutivo. Non ci sono piazze in ebollizione, cortei, girotondi, appelli “contro” perché comunque meglio questo governo “amico” marcato Pd che riconsegnare l’Italia al “nemico” di ieri (la destra di Berlusconi) o darla in pasto ai pupari di oggi (il M5S di Grillo&Casaleggio). E’ la cosiddetta sinistra italiana che si contorce da sempre in una propria “via” che, potata dagli orpelli ideologici e culturali di gramsciana memoria, passa dalla “doppiezza” togliattiana al più pragmatico “menopeggismo” imponendo sempre e comunque una scelta di campo: o di qua o di là. Qui non c’è più niente neppure della “diversità” berlingueriana del partito dalle mani pulite, ridotto com’è, il Pd, ad essere quello che prima era il partito avversato: partito personale, comitato elettorale, comitato affaristico, capace di chiudere nel cassetto dell’amarcord la storia controversa della sinistra (vera), isolare il sindacato, fare in parte il lavoro sporco che neppure riuscì al Cav di Arcore in 20 anni. Al punto in cui siamo non c’è più nemmeno chi – a parte le solite sparate dei cani sciolti o delle solite opposizioni dei sogni perduti – crede davvero che sulle dimissioni della ministra Guidi-trattino-Boschi si possa creare un caso, montare uno scandalo: una manciata di dichiarazioni, qualche comparsata televisiva, minacce di sfiducia. Fine. Dov’è la gente? A chi si parla? Dove sono gli italiani – in primis i militanti e gli elettori del Partito democratico - interessati a dirimere la matassa purulenta del rapporto fra etica e politica, fra politica e affari? Tornano d’attualità le parole di Massimo Cacciari di dieci anni addietro: “Il problema drammatico di oggi non è tanto che ci siano politici che abbiano rapporti con la dimensione degli affari. Il problema è che non ci sono politici. Non c’è strategia politica. Il problema non è una crisi morale. E’ la questione politica che conta: c’è un vuoto di progettualità politica spaventoso: da quando la prima Repubblica è collassata questo vuoto è stato rattoppato da ideologie populistiche e dal più colossale conflitto di interessi della storia politica occidentale”. Già. Cacciari si riferiva a Berlusconi e allora non poteva prevedere il dopo, cioè l’oggi, con Renzi al governo e il renzismo della Leopolda al potere dove la commistione fra politica e affari è la norma, fuori controllo, quasi ovunque. Renzi ha interpretato la crisi dei partiti e della politica smontando la sinistra e puntando al centro perché l’Italia è un Paese moderato che si è sempre governato partendo dal centro. Ma il Pd renziano non è la nuova Dc, partito di “centro che guarda a sinistra”, dalla raffinata cultura costituzionale, nato come mediazione tra la destra fascista e la sinistra dispotica, poi cresciuta come forza di equilibrio tra una concezione liberale e una concezione comunista, quindi con la scelta di campo occidentale, la ricostruzione democratica del Paese ecc. Renzi è un ex diccì ma la Democrazia Cristiana non ha eredi. Dopo la caduta della prima Repubblica si è passati a partiti come simboli ed espressione di potere.  La liquidazione dei partiti strutturati, l’avvento del leaderismo e dei partiti liquidi, la “semplificazione” delle istituzioni su su fino alla “rottamazione” di chi può dare fastidio al manovratore ha prodotto questo fallimento: non si sono risolti i problemi strutturali del Paese, si sono ridotti partecipazione e democrazia, è aumentata la corruzione. Cos’è oggi il Pd renziano, svuotato di valori e di programmi condivisi, sempre più in mano a gruppi dirigenti per lo più “inventati”, di modeste qualità politiche, gente senza storia e senza passione, accumunati da interessi personali e di gruppo? Sul territorio, specie al sud, sono i cacicchi a dettar legge, spesso in commistione con mafia e camorra. Da Boschi a Guidi, dal centro alla periferia, il Pd è nella palude del conflitto di interessi. Così la rivoluzione generazionale e morale della Leopolda è naufragata assommando i mali peggiori dei partiti della prima repubblica senza i valori e i pregi che pure c’erano. Non servirebbe oggi all’Italia quel senso del limite della politica e dei poteri, quell’idea delle Istituzioni come mediazione (e non negazione) dei conflitti, quella cultura personalista sedimentata nei corpi intermedi e nella Costituzione? Se c’è una Italia da ricostruire – anche sul piano morale – non si può azzerare la storia, procedere con il randello della rottamazione, puntare sul nuovismo tout-court.Le strade fra politica e affari vanno tenute separate e soprattutto va rilanciato il ruolo della politica che non invade e non occupa lo stato e la società ma che non si fa mettere la museruola e non si riduce a esecutore subalterno di chi tira le fila dei potentati economici e finanziari. E’ l’ora di ripartire dai problemi irrisolti del Paese di rimettere al primo posto gli interessi dell’Italia, non quelli della propria bottega. La questione non è tanto la telefonata senza “nessun illecito” ma “inopportuna” della Guidi – come dice Renzi – bensì la sostanza politica della concezione del partito, del proprio ruolo politico, del rapporto fra potere e affari, fra potere e cittadini. La lezione delle dimissioni della ministra Guidi può essere utile per cambiare metodi e sostanza? Con la logica di arroganza e di impunità che domina oggi il Pd, l’ottimismo è fuori luogo. E’ vero, non ci sono cortei di protesta. Ma sale nel Paese un umore sommesso e profondo di delusione e di insoddisfazione, anche di rancore. O Renzi coglie questi segnali e svolta, o il suo destino da premier è segnato.