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Politica
I fatti di Torino e la responsabilità della politica

I recenti tragici fatti di Piazza San Carlo a Torino durante la visione della finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid fanno riflettere sui rapporti tra le istituzioni.

Coinvolti, in questo caso, il comune, il questore e il prefetto in un quadro di confusione su cui sta indagando il procuratore capo di Torino Armando Spataro che segue due inchieste: la prima su cosa o chi ambia scatenato il panico e la seconda sulle eventuali carenze organizzative.

La sindaca Chiara Appendino chiama, in particolare, in causa le scelte della questura riguardanti la i venditori abusivi di alcolici e la vendita stessa di bottiglie di vetro (che hanno provocato il maggior numero di feriti) che non ricadevano sotto la competenza “territoriale” comunale.

La vicenda tuttavia è ancora oscura e non è il caso di esprimere ancora giudizi sulle responsabilità istituzionali di quanto accaduto almeno fin quando ci siano elementi certi e incontrovertibili.

Questo non esime da fare qualche considerazione sui rapporti tra politica ed istituzioni.

Finora la sindaca Appendino si era distinta per una condotta egregia della città di Torino raccogliendo anche plausi soprattutto in contrapposizione con la sua collega romana Virginia Raggi con cui si era creata una sorta di competizione a distanza indubbiamente anche alimentata dai media.

Tuttavia l’evento accaduto ripropone il discorso della responsabilità della politica soprattutto quando si tratti del campo amministrativo e non solo legislativo.

Infatti l’Appendino ha dichiarato difendendosi: “ora stretta sugli eventi” e dicendo che da ora in avanti le manifestazioni a rischio saranno assunte solo in sede di comitato Provinciale per la Sicurezza (quindi collegialmente).

Questo tipo di affermazioni -in verità non fatta solo da lei ma anche da esponenti amministrativi di altre forze politiche ed anche in ruoli di governo- pone però una problematica di prassi: in effetti è “facile” governare imponendo divieti sempre più stringenti. Al limite, se tutti i cittadini fossero “invitati” a rimanere a casa l’amministratore sarebbe al sicuro da qualsiasi rivalsa.

Ma l’arte di governare è appunto un’”arte” e non un mestiere e tantomeno una improvvisazione. Si tratta appunto di conciliare le attività pubbliche con la sicurezza.

Troppo facile vietare tutto così la gente sta a casa e non succede nulla.

Un caso tipico di cui avevo già parlato è la “trentizzazione” dei limiti di velocità sulle strade italiane e a Roma in particolare.

Da qualche tempo spuntano come funghi i divieti di superare i 30 km all’ora a causa del fatto di strade piene di buche e dissestate dalle radici degli alberi.

Ed allora l’amministrazione che fa?

Invece di riparare le buche limita la libertà di movimento.

Oppure d’inverno nevica e piove e cosa si fa ?: si invita a non uscire.

Il discorso, ripeto, non riguarda solo l’Appendino e la Raggi ma un po’ tutta la classe politica.

Governare vuol dire anche (e soprattutto) prendersi delle responsabilità e dei rischi.

C’è dunque bisogno di amministratori “forti” che non abbiano paura delle proprie scelte.

Fino a quando la politica (“il processo di selezione della classe politica”) non proporrà tali figure ci sarà sempre malcontento tra i cittadini.

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