Il legame tra sistema elettorale, riforme costituzionali e forma partito
In questo periodo estivo ci si interroga cosa succederà alla riapertura delle Camere visto l’avvicinarsi dell’appuntamento referendario di novembre sulle riforme costituzionali che sarà un formidabile test sul governo Renzi, come del resto un po’ imprudentemente lo stesso premier aveva chiesto in altri tempi.
Questi due eventi, cioè la riforma costituzionale e il sistema di voto, sono legati non tanto dal punto puramente tecnico e cioè quali siano le correlazioni tra l’attuale Italicum (che, ricordiamolo, vale ora però solo alla Camera) e la composizione delle Camere (con il Senato in futuro non più elettivo ma “regionalizzato”) quanto da condizionamenti puramente politici che trovano la loro ragione d’essere in richieste fatte soprattutto dalla minoranza dem al premier e dai piccoli partiti che lo supportano, ad iniziare dal Nuovo Centro Destra di Alfano.
Insomma, ognuno tira l’acqua al suo mulino e vuole vedere tutelato il più possibile il suo gruzzoletto elettorale per quanto piccolo e minuscolo possa essere. Tuttavia, la connessione che deve preoccupare di più gli elettori dovrebbe essere in realtà un’altra e cioè il rapporto tra il sistema elettorale vigente e la “forma partito” esistente.
Infatti, a nessuno sfugge (ed oggi ne parla lucidamente de Bortoli sul Corriere) che attualmente i partiti sono solo organizzazioni private come una bocciofila e che detti partiti in realtà, una volta avuta rappresentanza tramite le elezioni, divengono istituzioni al massimo livello possibile ed è veramente incredibile che le regole interne dei partiti non siano nomate in alcun modo dallo Stato. Questa necessità di non ingerenza statale sui partiti è figlia anch’essa (come la presenza del bicameralismo perfetto) dell’esperienza della dittatura fascista e quindi i padri costituenti ingripparono il più possibile il governo di controlli incrociati per evitare che si potesse ripresentare un dittatore come lo era stato Mussolini.
L’articolo 40 della carta costituzionale recita che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Tuttavia, nei casi concreti della politica, possiamo vedere come questa estrema libertà costituzionale possa condurre a malfunzionamenti; ad esempio nel caso dei Cinque Stelle e della totale assenza di democrazia interna.
Il decreto Letta del 2013 si muove pienamente in tal senso istituendo un quadro normativo di linee guida comune cui poi i partiti possono muoversi. Una riforma ancora più forte è in itinere (attualmente al Senato dopo l’approvazione alla Camera) ed è dovuta al deputato Matteo Richetti (Pd) che sintetizza 22 proposte di legge diverse in tal senso dando seguito concreto agli obblighi del decreto Letta.
Se poi ci fosse qualche modifica all’ Italicum e si tornasse ad un sistema elettorale del tipo mattarellum cioè collegi uninominali diverrebbe fondamentale regolamentare i meccanismi di scelta dei candidati nei collegi in termini di bontà della loro nomina non solo per il loro segretario ma di tutti i cittadini.
È dunque auspicabile che la proposta Richetti, magari migliorata con un richiamo diretto all’obbligo statutario, sia presto discussa ed approvata al Senato ed eventualmente tornare alla camera per l’approvazione definitiva. Solo così saremmo certi che una bocciofila (con tutto il rispetto) non governi l’Italia, almeno formalmente.