Politica

La partita Conte-Renzi e il futuro del governo

Massimo Falcioni

Non c’è da stupirsi che la fiducia degli italiani sul governo sia già in calo dopo appena un mese dal suo insediamento. Già aver cucito attorno al premier Conte una inedita maggioranza incentrata su M5S e Pd, cioè fra due partiti politicamente incompatibili e da sempre l’un contro l’altro armati, era ed è considerato un azzardo, l’unica scappatoia per Di Maio e per Zingaretti di evitare lo spauracchio delle elezioni anticipate e il possibile trionfo di Salvini. Negli ultimi sondaggi tiene Conte ma l’asse Pd-M5s scende ancora (i primi al 20,3% e i secondi al 19,4%) mentre la Lega resta sopra il 30% (32,5% secondo Index Reasearch per Piazzapulita de La7), con il boom di FdI al 7,3%, e FI inchiodato al 6%. Infine Italia Viva al 4,5%. E qui, proprio sul neonato partito di Renzi, si gioca la partita e si decidono le sorti del governo. Non è, come si dice, solo una questione caratteriale dell’ex Rottamatore ammalato di protagonismo: qui l’ex segretario Pd ed ex premier si gioca tutto. Non ci vorrà molto tempo per capire che nel governo non si muove foglia che Renzi non voglia. E nessuna riforma passerà senza il suo assenso.

La prossima settimana è in programma l’approvazione della riforma costituzionale, quella della crociata demagogica dei 5S contro i politici: un rospo nel gozzo che Renzi lascia al Pd che anche per questo pagherà il conto sul piano elettorale e su quello delle alleanze future. Idem per il labirinto della nuova legge elettorale, con tre dei quattro partiti di maggioranza appesi al proporzionale. Se alla fine passa la nuova legge elettorale “alla tedesca”, cioè la proporzionale con sbarramento (al 5%), Italia Viva rischia di morire ancora in fasce e Renzi e i suoi rischiano addirittura di rimanere fuori dal Palazzo. Quindi, alla vigilia della Leopolda, ecco le prime frecce avvelenate di Matteo: i tre squilli di tromba per tenere sui carboni ardenti Conte e per riattizzare la guerriglia nel Pd, per indebolirlo, che è anche quel che vuole il M5S. Conte raccoglie la sfida, rilanciando: “Se Matteo continua così il governo cade. Non abbiamo bisogno di fenomeni. Basta con i politici da social e da talk show”.

Il premier ha quindi la piena consapevolezza del rischio rappresentato da Renzi, ma al contempo, l’essere sceso sul ring in prima persona per l’alt all’ex premier, dimostra il proprio isolamento non avendo un proprio partito. Emerge anche la debolezza e il timore di Di Maio e di Zingaretti, impotenti di fronte ai diktat  e ai disegni politici dell’ex Rottamatore. Renzi ha caricato la sua trappola, usando una tattica da “stop and go” a proprio uso e consumo: sta già minando il campo, pronto ad avvelenare i pozzi, se serve. Non saranno gli appelli di Conte, né le lusinghe o le minacce di chicchessia, a fermarlo. Nell’altro governo, l’altro Matteo si è mosso come un elefante in una cristalleria, usando il suo consenso elettorale di oltre il 30% non come valore ma come zavorra. In questa maggioranza, questo Matteo può trasformare in forza la debolezza del suo partito tascabile, muovendosi da saltimbanco e colpendo ovunque e chiunque, quasi indisturbato. L’ex premier Letta, memore del famoso: “Enrico, sta’ sereno!”, avverte: “Conte e Zingaretti non facciano come me con Renzi. Un patto o si va al voto”.

E Renzi si frega le mani, contento. Chi lo fa un patto col “diavolo”?Nel Pd, il partito oggi al governo nel ruolo del vaso di coccio, c’è gran fermento, come in un pollaio quando le galline sentono l’odore della volpe che arriva. Nessuno, fra gli anti renziani, esclude niente, sapendo che l’ex segretario ex premier è il gran burattinaio che può staccare la spina al governo. “Lasciamo a Matteo l’onere di sfiduciare il governo”: pare essere questa la linea del segretario, in mezzo al guado, in affanno. Come dire, diamogli corda che poi s’impicca da solo. Sarà così? Intanto Salvini gode sperando nel patatrac vedendo che il nemico Matteo, con il suo lavoro “sporco,gli fa da apripista. Insomma, tutti sono impegnati a pararsi il proprio deretano, in cerca di consensi perché il cielo promette tempesta. Così, fra le ambiguità della maggioranza e i troppi “fratelli coltelli”, Conte balla da solo, anzi da solo rema controcorrente per non far affondare la barca con dentro tutti gli italiani.