Lega, Bossi non se ne va. Salvini pronto all'accordo con Berlusconi
Lega, ecco cosa accade alla vigilia del congresso di Parma
Che cosa sta succedendo veramente nella Lega di Matteo Salvini dopo la riconferma del segretario federale? Umberto Bossi lascerà il partito che ha fondato? Al congresso di domenica prossima a Parma si arriverà ad una dolorosa scissione modello Pd-Articolo 1/Mdp? Secondo quanto Affaritaliani.it ha appreso da fonti ai massimi livelli di Via Bellerio, il dissenso del Senatùr - in silenzio dopo le bordate anti-Salvini di domenica a primarie non ancora concluse - è rientrato.
"Bossi non lascia la Lega", assicurano fonti leghista qualificate. E, salvo colpi di scena, resterà presidente del partito, carica onorifica a vita come scritto nello statuto. A convincere il Senatùr ad evitare lo strappo sono stati principalmente due fattori. Il primo, tutto politico, è legato alla decisione di Salvini di non modificare l'articolo 1 dello statuto della Lega, quello che contiene la dicitura "per l'indipendenza della Padania". Una sorta di cadeau, più simbolico che pratico, che il segretario federale offre a chi nel Carroccio - poco più del 17% che ha votato per Gianni Fava - è ancora legato all'indipendentismo e alla secessione modello marcia sul Po del 1996.
L'altro motivo per cui Bossi ha deciso di restare all'interno del movimento è che - come spiegano fonti leghiste sia della Camera sia del Senato - nessun parlamentare del Carroccio lascerebbe il partito e i gruppi per seguire il Senatùr. Anche chi domenica scorsa ha votato e appoggiato Fava, infatti, afferma a microfono spento e senza esitazioni che "siamo un movimento democratico e non c'è alcun motivo per andarcene. Chi ha vinto il congresso ha l'onere e l'onore di guidarci, fermo restando il rispetto della dialettica interna".
E' evidente, però, che Bossi non dirà mai "viva Salvini" e resterà una voce critica in Via Bellerio, soprattutto considerando la volontà di portare la Lega anche al Sud. Salvini, dal canto suo, non attaccherà mai il Senatùr in modo diretto, ("lo rispetterò sempre per quello che ha fatto", ha detto nella conferenza stampa di lunedì dopo le primarie), ma andrà dritto per la sua strada forte dell'82,7% di consenso tra i militanti.
E Maroni? La posizione del Governatore lombardo è più sfumata di quella di Bossi. L'ex ministro dell'Interno non si è mai espresso a favore di Fava anche se lo ha chiaramente fatto intendere. Il presidente della Lombardia continuerà a rappresentare all'interno di Via Bellerio l'anima più governativa della Lega, quella che non vede di buon occhio l'alleanza con Marine Le Pen e gli altri partiti della destra europea e che spinge per chiudere un accordo con Forza Italia e Berlusconi in vista delle elezioni politiche. Salvini, d'altronde, non può nemmeno andare allo scontro frontale con il Governatore visto che in Lombardia e soprattutto a Milano ha ottenuto uno dei più bassi risultati nella sfida contro Fava.
Quanto ai rapporti con l'ex Cavaliere e gli azzurri, anche se molto dipenderà dalla legge elettorale, le fonti di Via Bellerio assicurano che "non c'è nessuna voglia di rompere" e che, seppur ribadendo di "non voler andare più ad Arcore con il cappello in mano" (come ha detto più volte lo stesso Salvini), "c'è la piena consapevolezza che l'unica possibilità di andare al governo dell'Italia passa da un'intesa elettorale e programmatica con Forza Italia". L'altro nodo da sciogliere è quello della parola "Nord" nel simbolo.
Se alle Amministrative, Regionali e Comunali, il problema non si pone, alle elezioni politiche diventa molto difficile raccogliere voti da Roma in giù presentandosi come "Nord", ma, allo stesso tempo, mettendo nel simbolo solo "Lega" (o addirittura Lega Italia) il timore è quello di perdere consensi nelle valli tra i nostalgici della Padania e della secessione. Ovviamente tutto è legato al sistema elettorale con il quale andremo alle urne, ma il tema è ben presente tra i massimi dirigenti di Via Bellerio e allo studio ci sarebbero giù soluzione tecniche per superare lo scoglio.