Politica
Manovra? No, manovrina. Così il governo Meloni tradisce le promesse elettorali
La manovra per il prossimo anno alla quale sta lavorando il governo si limiterà a 30, al massimo 32, miliardi di euro
Non si può far arrabbiare Bruxelles, altrimenti arriverà una riforma del Patto di Stabilità, tale da massacrare l'Italia e l'Europa non prenderà più nemmeno un migrante sbarcato sulle nostre coste
I leghisti - affranti, delusi e sconsolati - alzano le braccia e in coro, rigorosamente off the record, commentano: "Che cosa ci possiamo fare?". La manovra per il prossimo anno alla quale sta lavorando il governo - oggi vertice tra la premier Giorgia Meloni e i capigruppo di maggioranza - è davvero una manovrina. Solo 30, al massimo 32, miliardi di euro. Le promesse della campagna elettorale, di tutti i partiti dell'attuale maggioranza, nessuno escluso, sono lontane anni luce. Lontanissime. Completamente e totalmente disattese e, in qualche modo, tradite.
I due terzi della Legge di Bilancio serviranno per fronteggiare il caro-bollette, peccato che i due terzi di 30 miliardi fa 20 e con questa cifra ci saranno giusto la conferma degli attuali aiuti (con un Isee irrisorio) e poco altro, soprattutto a favore delle imprese. Poco, pochissimo, quasi niente, per le famiglie costrette a tenere 18 se non 17 gradi in casa, sperando che il global warming faccia sul serio e non ci porti un inverno con gelo modello Anni '80. Non parliamo poi del taglio del cuneo fiscale. Non ne parliamo, davvero.
Per l'abbattimento della pressione fiscale nella manovra di Giorgia Meloni ci saranno, forse, 4-5 miliardi di euro. Praticamente niente, visto che prima del 25 settembre si parlava di un intervento choc da almeno 20-30 miliardi solo sulle tasse sul lavoro. Una riduzione del 2% a favore soltanto delle classi meno abbienti con tutti gli altri che continueranno a pagare tasse elevatissime allo Stato italiano. Di fatto, un lavoratore dipendente medio da questa Finanziaria del Centrodestra non avrà alcun beneficio. Zero. Niente. Rien. Pas du tout (usando la lingua del carissimo amico della premier Emmanuel Macron). E l'estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100mila euro? Sparita. Forse fino a 85mila. Anche meno.
Altro capitolo imbarazzante per il governo, e soprattutto per la Lega, è quello delle pensioni. Un intervento è necessario, altrimenti dal primo gennaio 2023 torna la Legge Fornero. Un intervento sì, un intervento super super super mini. Quota 41 è diventata quota 103, che, in altre parole, vuol dire che si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi solo se si hanno almeno 62 anni di età. In sostanza, una misura che riguarda forse meno di 50mila persone.
Accidenti, che rivoluzione! Parlando sempre di pensioni, balza all'occhio come con un'inflazione superiore al 12%, certificata dall'Istat, il governo abbia deciso di aumentare le pensioni per il prossimo anno (indicizzazione e adeguamento al costo della vita) del 7,3%. Ben cinque punti in meno. Evidentemente qualcuno dovrebbe andare in Via XX Settembre a regalare una calcolatrice al ministro Giorgetti. 12 meno 7 uguale 5. Perfino al Mef dovrebbero saperlo.
Non parliamo poi delle promesse sbandierate in campagna elettorale da Silvio Berlusconi - con le sue infinite pillole sulle reti Mediaset - di innalzare le pensioni minime a 1.000 euro e di incrementare le pensioni per i disabili. Anche in questo caso, niente. Rien, pas du tout. Capitolo cartelle esattoriali. Doveva esserci la tanto evocata da Matteo Salvini, prima del 25 settembre, pace fiscale. Doveva esserci, perché la pace è solo una tregua. Anzi, un armistizio. Cartelle cancellate fino a 1.000 euro, scontate fino a 3.000. Sopra? Ciccia.
Nella Legge di Bilancio torna, magicamente, la voluntary disclosure, ovvero il rientro scontato e depenalizzato, dei capitali dall'estero. E chi favorisce? I ricchi, ovviamente. E chi in qualche modo ha "giocato" con il Fisco italiano. Non solo. Sulla contestata norma dell'innalzamento del tetto al contante fino a 5mila euro c'è stato lo stucchevole balletto. Via dal Decreto Aiuti Quater e tornerà nella manovra, a causa dei distinguo e dei dubbi di Quirinale e Banca Centrale Europea. Ennesimo pasticcio.
Fonti qualificate della maggioranza, interrogate sui motivi della manovrINA-INA-INA, parlano di "scelte necessarie visto lo Stato dei conti pubblici - debito elevatissimo - e visti i rapporti con l'Unione europea". Traduzione: non si può far arrabbiare Bruxelles (Berlino e Parigi in testa) altrimenti fanno una riforma del Patto di Stabilità che massacra l'Italia e non prendono nemmeno un migrante che sbarca sulle coste italiane con le ong battenti spesso bandiera tedesca.
Ci si chiede, francamente, dove sia finito il ministro e vice premier Salvini che solo quattro mesi fa chiedeva al premier Mario Draghi uno scostamento di bilancio da 50 miliardi di euro (richiesta ora messa nel cassetto). E ci si chiede dove siano i finiti gli anti-euro e anti-Europa Claudio Borghi, Alberto Bagnai e Armando Siri. Sono ancora nella Lega? Ah, è vero, ormai nella Lega comanda - evidentemente - il ministro Giorgetti che, d'accordo con Meloni, qualche giorno fa è andato a Bruxelles a promettere che il governo sarà ancora più draghiano di quando c'era Draghi, all'insegna della prudenza, della responsabilità e del rigore. E infatti la manovra è diventata manovrina. Con buona pace delle promesse fatte in campagna elettorale.