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Palazzi & potere
G7: verso Taormina e oltre, una roadmap

Una due giorni IAI, il 27 e 28 marzo, con Fabrizio Saccomanni - ex ministro dell’Economia - e Raffaele Trombetta - sherpa del presidente del Consiglio per il G7 e il G20.  

La riunione dei capi di Stato e di governo dei Grandi, programmata per il 26 maggio a Taormina, sarà il punto culminante del G7 sotto presidenza italiana. 

Gli spunti di interesse che essa racchiude non sono pochi, sia da un punto vista politico che economico: il Vertice sarà il primo evento di questa portata a cui parteciperà il presidente Usa Donald Trump - e segnerà pure l’esordio di Theresa May e del nuovo presidente francese, oltre che di Paolo Gentiloni - e potrebbe essere l’ultimo cui prenderà parte Angela Merkel, attesa alle elezioni di settembre dopo dodici anni di governo. 

Inoltre, per quella data, sarà stato formalmente avviato il processo che porterà alla fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, Ue. 

A questi sommovimenti politici si somma una situazione economica che richiede azioni decise che non possono più essere rimandate. L’ultima parte del 2016 e l’inizio del 2017 hanno fornito alcuni segnali positivi, confermando la ripresa in atto in diverse economie mondiali. Tuttavia, a quasi dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria globale, la crescita permane fragile e le previsioni sul futuro non sono delle più rosee. 

Questo si riflette su un livello di consumi e investimenti ancora insoddisfacente, che non aiuta alla risoluzione di problemi che rischiano di divenire ormai strutturali in alcune delle economie più mature, come una crescita sempre più anemica della produttività o un elevato tasso di disoccupazione.

Nonostante tutto ciò, la riunione del gruppo dei Sette sotto presidenza italiana non sta ricevendo la dovuta attenzione. La conferenza internazionale organizzata a Roma dallo IAI per il 27-28 marzo, che rappresenta il punto culminante del progetto di ricerca sul ruolo del G7 guidato dall’Istituto e svolto in collaborazione con i più importanti centri di ricerca dei sette Paesi membri, vuole invertire questa tendenza.

Sarà un’occasione per individuare quelli che dovrebbero essere i temi e le iniziative specifiche su cui i leader dei Sette dovrebbero concentrarsi nel prossimo Vertice, cercando di massimizzare l’impatto di queste riunioni risultate troppo spesso poco efficaci in passato.

Necessità di coordinare di più le politiche macroeconomiche
Dalla grande recessione del 2009 ad oggi l’onere dello stimolo dell’attività economica nei Paesi membri è ricaduto interamente sulla politica monetaria, limitando al minimo lo spazio di manovra delle Banche centrali nell’eventualità dell’occorrenza di un nuovo shock negativo e rischiando di creare squilibri e bolle. 

Considerando che negli ultimi anni lo spazio di manovra fiscale in alcuni dei Paesi più sviluppati è andato crescendo e che i fattori che caratterizzano la presente congiuntura economica massimizzano l’efficienza delle misure espansive di tipo fiscale, sembra sempre più opportuno un ricorso a queste ultime. 

Inoltre, è necessario che le riforme strutturali di cui molti Paesi hanno bisogno vengano completate al più presto. C’è bisogno dunque di un policy mix più equilibrato a livello interno che utilizzi tutti gli strumenti a disposizione e permetta di sfruttare le sinergie positive tra essi.

È auspicabile però che il coordinamento delle politiche economiche non rimanga solo a livello interno ma che abbia anche una dimensione internazionale. Coordinare le strategie macroeconomiche tra le principali economie mondiali permetterebbe di sfruttare al meglio i reciproci effetti di spillover positivi e minimizzare gli effetti destabilizzanti.

Un esempio di azione specifica sulla quale i Sette potrebbero accordarsi è la lotta ai paradisi fiscali e alla gara al ribasso nell’imposizione fiscale, perseguibile solo con un approccio condiviso a livello internazionale. Ciò permetterebbe di recuperare risorse ingenti per l’erario delle economie più avanzate che potrebbero essere destinate alla lotta della crescente disuguaglianza che mina sempre più la stabilità economica e politica dei Paesi più sviluppati. 

Governare la globalizzazione per resistere al protezionismo
La vittoria di Trump e del “leave” al referendum britannico sono solo due dei segnali più eclatanti di un crescente malcontento verso la globalizzazione diffusosi nella classe media delle economie più mature. Questo ha alimentato ulteriormente una spinta protezionistica già diffusasi dopo la crisi del 2009. 

Occorre che il G7, nonostante le posizioni americane, respinga con energia ogni tipo di tentazione protezionistica e crei le basi non per rifiutare o cancellare un processo ormai irreversibile come la globalizzazione, ma per governarla e migliorarla.

È vero infatti che la crescente apertura dei mercati internazionali registratasi negli ultimi 60 anni ha comportato enormi vantaggi a livello globale, ma questi vantaggi, oltre a non essere ben comunicati, sono stati distribuiti in maniera iniqua, non preoccupandosi di tutelare le classi più colpite da questi processi di globalizzazione. 

In tal senso la ratifica di accordi internazionali di nuova generazione, quale quello già firmato tra Ue e Canada o quello in fase avanzata di negoziazione tra Ue e Giappone, può risultare decisiva dato che tali accordi non mirano solo a favorire i flussi commerciali, ma anche ad assicurare alti livelli di standard qualitativi e a formare un base regolamentare che contribuisca a governare il processo di globalizzazione.

Stabilizzare la regolamentazione per garantire la stabilità finanziaria
A ciò però è necessario che si affianchi uno sforzo dei singoli Stati nell’attuare politiche redistributive e di sostegno attivo all’occupazione e alla ricollocazione che vadano a eliminare le cause del malcontento.

I Paesi del G7 dovrebbero impegnarsi per completare il processo di riforma della regolamentazione finanziaria iniziato dopo la crisi del 2009. È opportuno però che il quadro normativo internazionale venga al più presto stabilizzato, dando così maggiore stabilità ed evitando incertezza, in modo da facilitare l’erogazione di credito al settore reale. 

A questo tipo di sforzo va aggiunta la necessità di trovare un accordo in merito a una strategia internazionale efficace di gestione dei flussi finanziari internazionali, con l’obiettivo di orientare i mercati finanziari globali verso una maggiore stabilità monetaria e finanziaria.

Simone Romano

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