Il boom delle banche armate
Da Intesa Sanpaolo alla Deutsche Bank, da Unicredit fino a Banca Etruria balzata al disonore delle cronache in questi ultimi mesi. Senza dimenticare, peraltro, una marea di altre popolari, da quella di Milano a quella di Spoleto passando per quella dell’Emilia Romagna. Il tutto, per un giro d’affari che alle banche porta in cassa qualcosa come 4 miliardi. Nulla da eccepire, per carità. Se non fosse per quel piccolo particolare che questi guadagni colossali sono derivanti dallo spaventoso commercio d’armi del nostro Paese, come già documentato da La Notizia (le licenze di esportazione concesse dalla Farnesina nel 2015 hanno raggiunto gli 8,2 miliardi rispetto ai 2,8 del 2014). Armi che, spesso e volentieri, vendiamo senza colpo ferire anche a dittature, regimi militari e Paesi in guerra. Fa niente per quella legge del 1990 che vieterebbe di commerciare proprio con gli Stati che violano i diritti umani.
SVETTANO I TEDESCHI Ebbene, tutto questo è permesso proprio grazie alla presenza di banche che, non a caso, vengono eloquentemente definite “banche armate”. Mai definizione fu più azzeccata. Perché il ruolo degli istituti di credito è cruciale nella vendita militare, essendo coloro che – come spiegano dalla Rete per il Disarmo - mettono a disposizione i conti correnti per il denaro che le grandi aziende armate incassano vendendo i loro prodotti all’estero.