Italiani popolo di analfabeti (funzionali)
Il 70 per cento degli italiani è analfabeta funzionale ma ci si scaglia contro le prove Invalsi
Il 70% degli italiani è analfabeta funzionale, significa che sette persone su dieci non colgono la realtà nel suo insieme ma solo sprazzi di essa e sono incapaci di ricostruire, dandogli un senso logico, quello che hanno appena letto o ascoltato, hanno perso sistematicamente la capacità di comprendere e, spesso, non se ne rendono neanche conto.
Circa il 19% degli italiani, invece, nell'ultimo anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o a teatro e si è affidato unicamente alla televisione per quanto riguarda l'informazione sull'attualità e, perché no, per quanto riguarda la crescita culturale, a completare il tutto va detto, e c'è un recente appello firmato da 600 docenti universitari che lo denuncia, che gli italiani capaci di comporre un testo che abbia una qualche logica e segua le regole della grammatica italiana sono un'esigua minoranza.
Quello che le statistiche tracciano è un quadro impietoso e se qualcuno pensa che, nonostante tutto, queste percentuali non influiscano sul quotidiano di sbaglia di grosso, la mancata comprensione della realtà porta necessariamente all'incapacità di dar vita ad un pensiero critico ed indipendente, ossia in qualche modo limita anche la capacità decisionale (non lo sostengo io ma Zygmunt Bauman), per non parlare poi degli effetti, ancor più concreti, che si manifestano sul piano produttivo e quindi economico.
Il problema, perché di problema si tratta, ha radici profonde e contorte che affondano nel sistema educativo, ed è da lì che bisogna ripartire per poter poi rilanciare il Paese a livello socio-culturale, non è tanto il grado d'istruzione in sé o la percentuale di italiani diplomati o laureati, sono dati che non ho neppure guardo e che, in questo caso, non mi interessano, il punto non è creare un'élite culturale a cui affidarsi ma, al contrario, cercare un comune progresso, puntare a dotare ogni cittadino della piena consapevolezza del suo ruolo dotandolo quindi di una formazione minima per comprendere pienamente le varie sfaccettature dell'attualità in cui si muove.
Ho iniziato a scrivere questo pezzo dopo aver letto della mobilitazione degli studenti in vista delle prove Invalsi del 9 maggio, test necessario per valutare il grado di competenza raggiunto dai ragazzi in due macroaree, la comprensione di un testo e la padronanza della matematica in situazioni concrete, l'iniziativa si è però imbattuta nel netto rifiuto di diverse associazioni studentesche che oltre alla protesta per le prove Invalsi rivendicano una riforma della didattica che miri all'eliminazione della valutazione e a quella della bocciatura, richieste che sembrano uscite direttamente dal '68 e che andrebbero ad incrementare le percentuali sopracitate.
Da ex studente delle scuole superiori e da studente universitario mi verrebbe da gridare "Viva le prove Invalsi", non tanto perché sia un accanito sostenitore del test in sé quanto perché la valutazione delle competenze minime è sacrosanta, altrimenti, parliamoci chiaro, quale sarebbe lo scopo dell'istruzione?
La scuola va si riformata ma non trasformandola in un passatempo o in un diplomificio sistematico, va riformata puntato su capacità e merito (forse però non sotto la guida di un Ministro dell'Istruzione senza laurea e che su quella mancanza ha "giocato" borderline, permettetemi la stoccata), il sistema educativo va cambiato tenendo ben a mente che il fine deve essere la formazione di cittadini si istruiti ma allo stesso tempo consapevoli, da ciò si determinerà il futuro del nostro Paese, un futuro di cui siamo e saremo responsabili.
Giacomo Tamborini