Palazzi & potere
La strategia della demonizzazione è sempre pronta ma non è sempre utile
La guerra per smascherare le fake news è tanto facile che già adesso essa può essere affidata ai computer. Altra cosa sono le fake truth...
La guerra per smascherare le fake news (notizie false) è tanto facile che già adesso essa può essere affidata ai computer. Molto più difficile invece, scrive Pierluigi Magnaschi su Italia Oggi, è rendere evidenti le fake truth (le false verità). Se, ad esempio, scrivo (in questo caso si tratta di fake news) che l'America è stata scoperta nel 1738 o che il Pd ha preso, alle ultime elezioni politiche, il 45% dei voti, un semplice software (per non parlare di un lettore che non sia cerebroleso) è in grado di evidenziare subito l'errore, sia esso voluto o subito.
Se invece scrivo che Matteo Salvini e la sua Lega sono fascisti, il computer può darmi una risposta o un'altra, rispetto alle due possibili. Potrà dirmi, ad esempio, che lui è fascista perché lo dicono quasi tutti i media e quindi (notate il quindi) è vero. Nessun software invece potrà dirmi che Salvini ha molti difetti (come tutti, del resto) ma non ha certo quello di essere fascista. Infatti la sua storia politica viene dalla sinistra dura e pura, esageratamente marxista-leninista, quella addirittura dei centri sociali milanesi. Non solo, dopo essere diventato leghista, Salvini si era addirittura a capo presentato nel gruppuscolo dei leghisti comunisti che aveva partecipato alle elezioni del parlamento di cartapesta del Nord ai tempi delle ampolle del Po. In quella occasione, Salvini e i suoi compari avevano preso cinque seggi.
Ma la sinistra (com'è successo anche nel 1994 in occasione della scesa in campo di Silvio Berlusconi contro la cosiddetta macchina da guerra di Achille Occhetto) non è abituata a contrastare un avversario politico con un suo programma alternativo. Preferisce farlo attraverso la demonizzazione dell'antagonista. Da qui la ricerca del suo punto debole, vero o presunto che esso sia, purché abbia presa sull'opinione pubblica e quindi funzioni. Contro Salvini un argomento vistoso: il suo fascismo. Non importa che esso sia vero. L'importante è che esso sia utilizzabile per andargli addosso.
Sul fascismo è presto detto: c'è (se c'è) nelle vene di Salvini molto meno fascismo di quanto comunismo ci sia nelle vene di D'Alema, Bersani o Zingaretti. Si tratta (nel caso del fascismo e del comunismo) di due eresie politiche che hanno provocato immani tragedie nel mondo ma non si capisce perché le prime tossine (ammesso che ci siano, ripeto) siamo criminalizzabili mentre le seconde (che sono storicamente indubitabili) siano meritevoli di oblio, come io ritengo sia anche opportuno fare se si vuol guardare avanti senza ripestare sempre e compulsivamente la medesima acqua sporca nello stesso mortaio.
La politica nazionale e soprattutto internazionale (che poi è quella che conta nei tempi della mondializzazione) è una grande commedia, o una grande tragedia. Ma resta sempre e comunque una pièce teatrale nella quale le parole, anche se può spiacere, ma questa è la realtà, giocano un ruolo superiore ai fatti. Pertanto, dire che la Lega è un movimento fascista è una fake news che in Italia non prende piede (perché la gente, al netto dei suoi pregiudizi, sa di che cosa si tratta) mentre se questa affermazione viene usata sui media internazionali o negli ambienti politico istituzionali del resto del mondo, diventa immediatamente un'arma contundente che investe l'intera Italia.
È impossibile spiegare la politica italiana all'estero (che peraltro è già molto difficile da spiegare in Italia agli italiani). Per far capire al resto del mondo che cosa capita nella Penisola è quindi necessario ricorrere a delle semplificazioni che, vere o false, siano intellegibili altrove. Pertanto, se si riesce a imporre l'idea che la Lega è un movimento fascista, tutto diventa più facile. Questo fatto (vero o falso che sia) lo capiscono, non solo in Francia ma anche nell'Iowa dove la maggioranza della popolazione (non è una boutade ma è il risultato di un preciso sondaggio), dove la maggioranza della popolazione, dicevo, ritiene che l'Italia confini con la Russia e con la Turchia. Mentre se apprendono che in Italia c'è un governo fascista, tutto diventa più chiaro. E la ricetta è subito più semplice: bisogna abbatterlo.
Sempre a proposito delle parole killer a valenza internazionale è significativo notare come sia completamente scomparso dal lessico politico e in parte culturale l'attributo di nazista un regime che ha fatto scoppiare la seconda guerra mondiale, che ha realizzato i gulag e che aveva come programma – poi realizzato in parte, solo perché non gli è stato consentito di portarlo a termine – un regime che aveva come programma, dicevo, il genocidio non solo degli ebrei ma anche dei rom e di altri gruppi nazionali o etnici.
Il ruolo dell'indicibile, con questa voluta e sottilmente studiata translitterazione lessicale, è così slittato dal nazismo al fascismo: e siccome la politica vive anche di stereotipi e si nutre di semplificazioni, se si riesce a mettere la camicia di forza del fascismo a chi fascista non lo è, il gioco è fatto. Ma a livello internazionale questo gioco mette fuori area, non un partito, ma l'Italia intera. A livello nazionale invece polarizza, come successe ai tempi di Berlusconi, l'elettorato. Non (nel 2019!) tra fascisti e antifascisti. Se questa fosse la competizione vera la gara (nel 2019, ripeto) per gli antifascisti sarebbe troppo facile. Ma, oggi e in questo caso, la gara solo fra antifascisti e accusati di fascismo. In questo caso, la demonizzazione strumentale e indebita diventa evidente e dimostra che chi l'ha arbitrariamente intentata e usata non ha argomenti politici diversi da proporre e da opporre. E la storia dimostra che, in questo caso, in condizioni di democrazia e di libertà, la maggioranza degli elettori vota per gli aggrediti non per gli aggressori.