Palazzi & potere

Referendum, parla Baldassarre (Corte Costituzionale): ecco a chi fa comodo

In esclusiva per Affaritaliani il pensiero del Presidente emerito della Consulta. È in arrivo per il belpaese un progetto alla greca con lacrime e sangue per tutti? A questo serve Renzi? Non so se ciò che hanno fatto i Presidenti sia un attentato alla Costituzione ai sensi dell’art. 90 Cost.. È certo, in ogni caso, che siamo al limite massimo della tolleranza costituzionale...

Il referendum ha ad oggetto la più ampia revisione della Costituzione mai tentata: 1/3 delle norme esistenti. Il suo effetto è che, se sarà approvato risulterà modificata la forma di Stato e di governo della Repubblica italiana attraverso un accentramento dei poteri nello Stato contro le Regioni e le autonomie locali, oltreché a favore del Governo in danno del Parlamento e degli organi di garanzia costituzionale, quali il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale.
La gestione del referendum da parte di Renzi è stata quella di chi chiede al popolo italiano un’investitura plebiscitaria per potersi imporre come l’uomo forte che, dopo aver modificato sostanzialmente la Costituzione, può far valere la propria proposta politica (quale?) contro tutti. Quest’impostazione tutta politica è resa evidente dall’abbinamento della riforma costituzionale con una nuova legge elettorale supermaggioritaria (anche se gravemente sospetta d’incostituzionalità), che è stato approvato in contemporanea con la stessa riforma, nonché dall’identificazione del voto al referendum con un voto su Renzi. Di recente su quest’ultimo punto Renzi sembra aver fatto marcia indietro su consiglio dell’esperto di comunicazione americano da lui assoldato. Ma nessuno vi crede, poiché non solo il suo è un pensiero tardivo e forse insincero, ma soprattutto perché ha concepito e approvato la riforma costituzionale come un progetto suo e della maggioranza contro tutti gli altri.

Non so se è stata ispirata o no. È certo, però, che essa fa comodo alle banche internazionali che hanno finanziato l’ascesa di Renzi e ai Paesi forti (Germania, Francia) dell’Unione Europea. Non è un caso che Merkel e Obama sono intervenuti sul tema a piedi uniti e che Hollande, se pure una sola volta, si sia detto favorevole. I mercati non c’entrano nulla, se non per le ricadute derivanti dalle affermazioni dei maggiori leader politici occidentali. Anche la posizione della Confindustria conta poco per l’irrilevanza della comunità industriale italiana nel contesto globale, dove contano solo un paio di gruppi con capitale italiano (la FCA, com’è noto, è divenuta olandese e, quindi, agisce ormai prevalentemente nel contesto britannico-americano, in cui è inserita l’Olanda).
Tuttavia, nel 2017 tutti i leader politici dei principali Pesi occidentali e della stessa Italia possono cambiare, poiché tra il novembre 2016 e il 2017 vi saranno le elezioni politiche. Se al referendum vincerà il “si”, Renzi affronterà le successive elezioni politiche in carrozza e, di conseguenza, grazie alla riforma approvata, avrà il Paese in pugno. Ma, poiché a quella data nessuno dei mali che riguardano l’Italia sarà risolto (debito pubblico record, disoccupazione alle stelle, produttività la più bassa d’Europa, crescita vicina allo zero), l’Europa varerà per noi un progetto «alla greca» con lacrime e sangue per tutti. Ed allora risulterà utile per l’Europa e i c.d. mercati avere un leader politico italiano che, con le buone o le cattive, tenterà di tenere a freno il Paese. In questa prospettiva vedo l’interesse delle potenze straniere prima citate, poiché il debito pubblico italiano è una bomba a orologeria per tutta l’economia mondiale, e in particolare di quella occidentale, che non può affrontare una nuova crisi stile 2008 senza fare un grande favore alla Cina.

Considerata in modo separato dalle strategie politiche internazionali prima ricordate, il Paese non ha bisogno della riforma costituzionale di Renzi, che oltretutto non semplifica ma complica molto sia i processi legislativi, sia i rapporti tra Stato e Regioni. Ciò di cui il Paese ha primario bisogno è affrontare i problemi economici prima indicati attraverso una seria spending review, come la pensava Cottarelli (che Renzi ha mandato via proprio per non farla), la riconduzione della contrattazione collettiva e delle trattative sul costo del lavoro al livello aziendale al fine di accrescere la produttività, la semplificazione del sistema bancario (ossia il contrario di quello che Renzi ha fatto con Banca Etruria e le sue sorelle, nonché con quello che si appresta a fare con il Monte), l’istituzione di fondi finanziari pubblico-privati per lo sviluppo delle start-up italiane (che oggi finiscono tutte all’estero, dove le acquistano a buon mercato) e così via.
Rispetto a queste, che sono le vere priorità, la riforma costituzionale è un diversivo, un pericoloso diversivo.
Agevolare e supportare le riforme economiche sopra indicate: avere un’Italia economicamente risanata è un interesse di tutti, poiché, se essa diviene la causa di sobbalzi nel mercato finanziario, tutti ne subiranno conseguenze negative.

Dopo che la Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014 ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale del 2005 (c.d. porcellum), il Presidente della Repubblica Napolitano avrebbe dovuto prendere atto del conseguente effetto di delegittimazione politica del Parlamento eletto con quella legge. Avrebbe potuto/dovuto sciogliere le Camere immediatamente oppure tenerle in vita per qualche mese o un anno al massimo al solo fine di assolvere le emergenze dettate dalla crisi economica e approvare una nuova legge elettorale conforme alla costituzione. Ma, dopo che si è visto che il Governo faceva tutto fuorché affrontare la crisi economica e dopo che la maggioranza attuale ha approvato una nuova legge elettorale con gli stessi vizi della precedente dichiarata incostituzionale, tale da trasformare una minoranza elettorale in una larga maggioranza parlamentare, il Presidente della Repubblica, che nel frattempo era cambiato, per prima cosa non avrebbe dovuto promulgare la legge elettorale apparentemente affetta dagli stessi vizi della precedente e, poi, avrebbe dovuto nominare un nuovo governo di larghe intese al solo scopo di fare una nuova legge elettorale conforme alle direttive della Corte costituzionale e di assolvere le urgenze per andare a nuove elezioni nel più breve tempo possibile.

Non so se ciò che hanno fatto i Presidenti sia un attentato alla Costituzione ai sensi dell’art. 90 Cost.. È certo, in ogni caso, che siamo al limite massimo della tolleranza costituzionale, nel senso che siamo in una situazione d’«eccezione» dalla quale occorre uscire al più presto per salvare l’integrità della nostra democrazia.
Di fronte a questa situazione, l’eventuale approvazione di una riforma costituzionale che l’attuale maggioranza parlamentare, politicamente illegittima, cerca di imporre a tutto il Paese, avrebbe il significato d’uno sberleffo alla democrazia di un popolo esausto e pronto a tutto, a qualsiasi esperienza politica. Questo è il disegno populista di un leader megalomane, come Renzi, che scambia il proprio destino politico con il destino del Paese.

Gli effetti principali direttamente producibili dalla riforma riguardano gli equilibri tra i principali poteri dello Stato, ossia i checks and balances, i pesi e i contrappesi come si dice, e quindi la forma di governo. Tuttavia, come s’è appena accennato, gli effetti più gravi sono quelli indiretti, ricadenti sull’esercizio della nostra democrazia, la cui più alta espressione nata per unire il popolo, la costituzione, diverrebbe ostaggio della maggioranza parlamentare, che peraltro è minoranza fra gli elettori. Quando i rivoluzionari americani del 1797 hanno ideato il concetto moderno di costituzione hanno pensato che stavano istituendo un limite giuridico alla politica o, per dirlo con il liberale Tocqueville, un argine alla «dittatura della maggioranza». Renzi, invece, considera la Costituzione come l’esatto opposto, ossia come strumento della maggioranza parlamentare e della politica per rafforzare il loro potere.
Sottolineo questo punto poiché il modo in cui è intesa la democrazia e la maniera in cui essa viene esercitata influenzano il funzionamento delle istituzioni più di ogni altra cosa. Il conformismo e l’appiattimento di pressoché tutta la stampa e i mass media sulle posizioni del Governo Renzi ricordano alcune vecchie abitudini italiote, tipiche di chi pensa cinicamente che i mezzi di comunicazione di massa debbano manipolare le menti anziché informarle. Analogamente la campagna referendaria orchestrata da Renzi – alla quale, ahimé, ha partecipato attivamente e con pari sicumera pure il Presidente emerito Napolitano – secondo la quale o si approva la riforma o si cade nel caos e nel populismo, ricorda più gli stilemi dei dittatori che il modo di presentare referendum nei paesi democratici. Tutti vedono i populisti tra i propri avversari e in particolare questo è il marchio che è stato affibbiato ai 5 Stelle. In realtà, il populismo è molto diffuso in Italia. Non è, forse, populista una legge finanziaria (DEF) piena di mance e di pseudoriforme come quella proposta da Renzi?

Se su queste basi, per me assolutamente preoccupanti, si aggiungono gli effetti diretti sui checks and balances, le preoccupazioni non diminuiscono affatto. I poteri di controllo del Presidente della Repubblica risultano praticamente svuotati a causa del superpremio previsto dalla legge elettorale voluta da Renzi per la Camera, che fa avere alla lista che se l’aggiudica ben 340 deputati su 630. Tuttavia, i riformatori si sono dimenticati di rivedere l’art. 90 Cost., che al secondo comma prevede per la messa in stato d’accusa del Presidente la maggioranza degli aventi diritto al voto (maggioranza assoluta) del Parlamento in seduta comune. Questi sarebbero, nel “nuovo” parlamento solo 366. Sicché al partito di maggioranza alla Camera basterebbe aggiungere una modica ventina di senatori, pari a 1/5 dei componenti del Senato, per rinviare a giudizio il Capo dello Stato. Cosa che appare molto facile da realizzare. È ovvio che con questa pistola costituzionale puntata sulla propria tempia, il Presidente della Repubblica ci penserà molto prima di bloccare una legge che violi i principi supremi della Costituzione e prima di eleggere giudici costituzionali di propria nomina che risultino sgraditi al Governo. Con il che è chiaro che i principali controllori della maggioranza di governo, cioè il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, possono risultare fortemente condizionati.
Tutto ciò fa capire che la battaglia per il “no” della grandissima maggioranza dei costituzionalisti è una battaglia per la democrazia e contro l’abbruttimento della vita politica.  

Antonio Baldassarre
Presidente emerito della Corte Costituzionale