Politica

Parisi-Salvini, è rottura. Forza Italia ribolle. Aiutino a Renzi di Berlusconi

Giuseppe Vatinno

Parisi liquida Salvini. Centrodestra a pezzi


Dopo le parole di Parisi su Le Pen e gli "estremisti" il divorzio tra Berlusconi e Salvini apparirebbe scontato a meno che non si tratti di una nuova "asta" per rinumerare i pesi politici delle forze in campo.
Parisi è stato chiaro: "ho avuto un doppio mandato dal Presidente: guidare FI e fare un polo liberal - popolare"; Salvini ha subito replicato quanto aveva già detto: Parisi poteva essere un buon sindaco, un rattoppatore di buche ma non di più; la politica nazionale è altro.
In tutto questo Toti fa la parte della ragazza d'dabbene sedotta ed abbandonata dal solito "mascalzone" fascinoso.

A questo punto lo scenario che si va disegnando è una sorta di "romanizzazione" del centro - destra nazionale (del resto ampiamente prevista dopo l'esito delle comunali nella Capitale) con una separazione netta tra un'ala liberal - popolare moderata e un ala estrema, Lepenista che potrebbe anche guardare ancora a Casa Pound soprattutto in uno scenario mondiale di rivalsa delle forze populiste.
Lo scenario è chiaro ma con queste scelte  il centro - destra è destinato a sparire dalla scena politica per un ovvio motivo, lo stesso del ritornello cantato nel film di Capitan America: "Uniti si vince separati si perde"; Roma docet.
Dunque è difficile andare alle Politiche con un Italicum modificato dal voto alla coalizione e non più alla lista senza essere uniti; è per questa considerazione che lo scenario attuale appare più tattico che strategico.
L'altro punto strano dei discorsi di Parisi è quello sul fatto che Renzi dovrebbe restare al governo anche se il referendum gli va male; cosa che naturalmente ha provocato malumori in metà Forza Italia e nell'intera Lega Fratelli d'Italia.
Uno si chiede: ma che cosa c'è sotto?
Due possibilità: una profonda impreparazione a gestire le elezioni e quindi la necessità di puntare direttamente al 2018 per riorganizzarsi o peggio un "aiutino" a Renzi in cambio di qualche legge favorevole sulle industrie dell'ex Cavaliere, come del resto ha detto chiaramente Salvini.
In ognuno dei due casi non si vede perché un militante si dovrebbe impegnare al referendum per il "no", visto che il risultato sarebbe lo stesso del "sì".