Politica

Partito Democratico: la crisi dell'ex Regno Comunista dell'Italia Centrale

Giuseppe Vatinno

Nicola Zingaretti davanti alla crisi strutturale dell'ex Impero Rosso

Il Pd è in crisi dai tempi della disfatta di Matteo Renzi e cioè dall’esito disastroso del referendum sulle riforme costituzionali del 2016. Il risultato delle elezioni politiche del 4 marzo scorso ha solo formalizzato e reso evidente quanto era sotto gli occhi di tutti. Nell’analisi però ci si è soffermati raramente su un fatto ancor più importante dei meri risultati numerici: Il Pd è in crisi nelle sue roccaforti storiche e il consenso è stato perso soprattutto nelle regioni rosse centrali e cioè Toscana e Umbria, che sembravano bastioni inespugnabili. I primi segnali che avvertivano che qualcosa stava cambiando ci furono nel 2007 quando il centrodestra si prese Todi sconfiggendo proprio Catiuscia Marini, balzata di recente all’attenzione delle cronache per lo scandalo della sanità umbra. Ma nel 2017 il centrodestra si è preso il capoluogo della regione, Perugia e poi anche l’altro capoluogo Terni. Un segnale preveggente? Chissà. Da poco invece sono state perse dal Pd città come Pisa e Siena in Toscana. Resta il fatto che il Partito Democratico sta perdendo progressivamente il controllo politico e quindi amministrativo di quello che potremmo definire il suo core business, un po’ come se la Lega perdesse il Nord. E fra poco si vota in tante grandi città dell’Emilia Romagna, della Toscana, delle Marche e dell’Umbria. Una sfida da far tremare i polsi al neosegretario Nicola Zingaretti che sta cercando disperatamente di far ripartire la “ditta” dopo l’illusorio e anomalo regno renziano. Wladimiro Boccali ex sindaco di Perugia sconfitto nel 2014 da un esponente di Forza Italia, ha fatto una lucida analisi dei motivi della crisi della sinistra -riportata ne L’Espresso- nelle regioni rosse. Boccali parlò allora di un “partito di potentati”, riferendosi al Pd, in cui si era perso il senso del bene comune per inseguire solo le preferenze personali. Una analisi impietosa che però, alla luce dello scandalo della sanità a Perugia, vicenda per la quale la governatrice Marini della regione si è dimessa, acquista ora un significato raggelante e preveggente. Quello che è accaduto in Umbria non è l’esito subitaneo di un cambiamento repentino e ininfluente, come fu la parentesi del sindaco di destra Giorgio Guazzaloca nella rossa Bologna, ma è invece la cartina di tornasole di una crisi strutturale che colpisce la base stessa di quello che fu il Regno comunista dell’Italia Centrale.