Politica
Pd, “L’ipotesi federazione infondata e contraddittoria"
Intervista di Affari al deputato dem Andrea Romano: "C'è da considerare non solo la diversità con Forza Italia ma anche la qualità del cosidetto centro"
Mentre Lega e Forza Italia provano a portare avanti il progetto di una federazione, l’ipotesi comincia a fare capolino anche nel centrosinistra. Un esponente di peso del Pd come Luigi Zanda, ad esempio, nei giorni scorsi sul Foglio, sosteneva che “una semplificazione del quadro politico” sarà inevitabile, sottolineando come “il frazionismo riduce la governabilità e quindi indebolisce la democrazia". Zanda inoltre non escludeva una possibile unione da Bersani fino a Renzi purché frutto di “una riflessione politica profonda”. Non più tardi di ieri, invece, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori auspicava la nascita di una federazione tra Pd e l’area dei riformisti. A tal proposito, Affaritaliani.it ha chiesto un parere al deputato del Partito democratico Andrea Romano. Intervistato dal nostro giornale, il parlamentare dem però ha subito stroncato sul nascere l’ipotesi definendola “infondata”: “Ho molti dubbi sull’efficacia di questa ipotesi per il centrosinistra - ha spiegato -. Se nel centrodestra il progetto di una federazione è già in difficoltà, per il Pd è addirittura contradditorio con quanto sta facendo”.
Romano, per quali ragioni parla di ipotesi infondata?
Per due ordini di motivi. Il primo è che la proposta di Berlusconi e Salvini ha l’aspetto di una soluzione che sottintende il progressivo scioglimento di Forza Italia. Situazione ben diversa da quella in cui si trova il Pd, che è il caposaldo sia politico che elettorale del centrosinistra. Ma a sinistra, mi chiedo, c’è davvero qualcuno che immagina che il tema oggi sia lo scioglimento del Partito democratico? Se fosse così, sarebbe bene dirlo esplicitamente. Anche perché è molto apprezzabile l’impegno di Enrico Letta per rilanciare l’identità del Pd, e dunque la sua centralità politica ed elettorale. Ovviamente, una centralità che guarda alla necessità di costruire intorno al Pd una coalizione, che è tuttavia cosa ben diversa da una federazione.
Il secondo motivo per cui bolla come senza fondamento l’idea di una federazione?
Accanto alla diversità con Forza Italia c’è da considerare anche la qualità del cosiddetto centro, ovvero dello spazio politico che va dal Pd alla destra. Qui si fatica ad individuare un soggetto unico con cui eventualmente federarsi, mentre si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un accampamento di piccoli partiti personali. Tra l’altro, tutti in lite l’uno con l’altro. Alcuni confondono questo spazio politico con quello che fu il centro moderato e liberale degli anni Novanta, ma non è così. I Popolari, dal cui contributo fondamentale nacque l’esperienza dell’Ulivo, non erano solo uno spazio geografico ma una cultura politica, un gruppo dirigente plurale, gli eredi di una storia nobile e di una solida esperienza amministrativa di governo. Oggi non c’è davvero niente di tutto questo.
Pensa a partiti come Azione?
Dico solo che non confonderei Beniamino Andreatta o Pierluigi Castagnetti con Carlo Calenda. Il leader di Azione, del tutto legittimamente, persegue l’obiettivo di un partito radicale su base personale nel quale non c’è niente né di moderato e né di centrista. Lo dico con rispetto, naturalmente, per non urtare la sua nota suscettibilità.
In sintesi: sì alle alleanze ma no ad una federazione. E’ così?
Le alleanze sono fondamentali e vanno perseguite, con pragmatismo e aspirazione a costruire un campo ampio, inclusivo e capace di sconfiggere le destre. E’ esattamente questo l’impegno del Pd, come dimostra il nostro lavoro per le prossime amministrative. Ma una federazione equivarrebbe per il Pd a rinunciare alla propria vocazione maggioritaria e ad aprire le porte al proprio scioglimento, come infatti sta accadendo a Forza Italia.
E' questa, dunque, la ragione per cui crede che parlare di federazione sia in contraddizione con quanto sta facendo il Pd.
La nostra funzione è quella di perno di alleanze più ampie e sempre pragmatiche, fondate sulla nostra capacità espansiva. Così come la nostra missione è quella di esercitare un ruolo ‘maieutico’ nei confronti degli alleati. Come è accaduto con i Cinque stelle. Con loro c’era una grande distanza, che in gran parte è rimasta anche perché ancora si fatica a capire cosa sarà quel movimento dopo la stagione Grillo-Casaleggio. Tuttavia, siamo riusciti, proprio grazie alla funzione di condizionamento che abbiamo esercitato nel quadro dell’alleanza di governo, a portare il Movimento su posizioni - penso all’Europa e agli Stati Uniti - che fino a qualche anno fa sarebbero state inaccettabili per gli stessi M5s. Ecco, oggi sono molto diversi e questa diversità è dovuta al modo in cui noi abbiamo saputo spingerli nella direzione giusta. E dobbiamo continuare a muoverci così anche nei confronti di soggetti che occupano lo spazio del cosiddetto ‘centro’, seppure proprio là sia indispensabile capire se e cosa nascerà.