Pd, Renzi isolato. Niente elezioni a giugno, ecco perché
Pd, Franceschini e Orlando mollano Renzi
Matteo Renzi nell'angolo. Voleva correre al voto a giugno per avere la sua rivincita personale dopo la scoppola del 4 dicembre con il 60% di italiani che hanno votato No affosando la sua riforma costituzionale. Ora, invece, quasi certamente dovrà attendere il 2018 e, forse, non sarà nemmeno lui il candidato premier del Partito Democratico.
Prima di tutto i mercati, con lo spread tornato sopra quota 200 punti che stanno chiaramente dicendo 'resti Gentiloni'. Poi c'è l'Europa con la sua minaccia di procedura di infrazione che obbligherà l'esecutivo a correre ai ripari alzando le accise (pessimo biglietto da visita in campagna elettorale). Ma ci sono anche da tener presente la Corte Costituzionale, con le motivazioni della revisione dell'Italicum, e il Quirinale che remano contro il voto anticipato all'inizio dell'estate.
Ma è soprattutto la situazione all'interno del Pd che sta spostando la data del voto verso il 2018. E non è tanto la minaccia di scissione da parte di Bersani, D'Alema & C., considerati di fatto già fuori dopo il No al referendum, a pesare; quanto soprattutto le posizione di due big del calibro di Dario Franceschini e Andrea Orlando. Il ministro dei Beni Culturali, ex leader di Area Dem, ha in mano la maggioranza dei parlamentari del Partito Democratico ed è sempre più convinto che sia meglio evitare la corsa al voto, anche e soprattutto per evitare il rischio ingovernbailità e il possibile asse M5S-Lega-FdI dopo il voto.
A Franceschini si è aggiunta anche una buona fetta dei 'Giovani Turchi'. Mentre Orfini, presidente del Pd, resta allineato e vicino al segretario, il Guardasigilli si è ormai spostato sulle posizioni di Franceschini e anche lui appare convinto che sia meglio attendere il 2018 per le elezioni politiche. Insisme, i due ministri, possono contare quasi sul 50% dei parlamentari dem e sulla maggioranza in Direzione Nazionale (che si riunisce lunedì prossimo e si preannuncia infuocata).
Senza contare che contro il voto subito c'è anche la minoranza di Bersani e D'Alema. Con Renzi, a conti fatti, restano i suoi 45-50 deputati e senatori fedelissimi e quella parte di minoritaria di 'Giovani Turchi' più vicina ad Orfini che a Orlando. All'ex premier la scelta, o si adegua e rinuncia (come in parte sta facendo) a insistere sulle elezioni a giugno o verrà messo clamorosamente in minoranza. La paura di Renzi è che il congresso inevitabile del prossimo autunno, che si terrà certamente con le urne nel 2018, sia un terno al Lotto in cui si rischia seriamente di entrare Papa e di uscire vescovo.
C'è chi afferma nel Pd, per ora rigorosamente a microfono spento, che Franceschini e Orlando stiano progettando di mollare Renzi e di sostenere per la guida del partito e la candidatura a Palazzo Chigi o Graziano Delrio o lo stesso Franceschini. Ecco perché il segretario aveva stretto nelle scorse settimane un accordo con 5 Stelle e Salvini per correre alle urne. Ma poi Mattarella, lo spread, la Consulta e il suo stesso partito gli hanno rovinato i piani.