Politica
Pd: "Titolo V? Falso problema. Contro il Covid serve una bicamerale"
Intervista di Affari al dem Ceccanti: "Il nodo vero è nei rapporti maggioranza-opposizione. Da qui discendono le tensioni Stato-Regioni"
L’emergenza pandemica in Italia ha riacceso i riflettori sul rapporto tra centralismo e autonomie. La nuova impennata di contagi, in particolare, ha fatto emergere in tutta la sua evidenza un vero e proprio cortocircuito tra i vari livelli di governo. Ed ecco che sul banco degli imputati torna la riforma del Titolo V. Cosa non funziona? Il regionalismo è da archiviare? Meglio tornare all’epoca pre-federalismo? Affaritaliani.it ha affrontato la questione con il costituzionalista e deputato del Partito democratico Stefano Ceccanti che ha subito messo in chiaro: “Il vero problema non è il rapporto tra Stato centrale e Regioni, ma tra maggioranza e opposizione. E’ da qui che discende, poi, la tensione tra i due livelli governativi”.
Cosa vuol dire?
Che la questione vera è l’assenza di un punto di raccordo tra maggioranza e opposizione. Per via di tale assenza, la minoranza, che guida la gran parte delle Regioni, le indirizza per polemizzare con il governo.
E come se ne esce?
Noi abbiamo bisogno di una commissione parlamentare bicamerale ristretta tra maggioranza e opposizione che controlli l’operato del governo. Una commissione tipo il Copasir, per intenderci. Bisognava già averla istituita. Ritengo che sia una soluzione da adottare subito, molto meglio di quella proposta dai presidenti delle Camere.
Si riferisce all’ipotesi di una capigruppo congiunta Camera-Senato?
Proprio così. Ma per una ragione semplice: i capigruppo nella vita fanno altro, mentre noi abbiamo bisogno di parlamentari dedicati. La Conferenza dei capigruppo può sempre assumere un ruolo di regia politica dell’insieme, ma l’attività quotidiana, a cominciare dall’esame dei dati, può farla solo una commissione bicamerale ad hoc.
Secondo lei, quindi, attraverso questo strumento si riuscirebbe a superare lo stallo con le Regioni, che da un lato reclamano un ruolo attivo nelle decisioni e dall’altro non sempre vogliono assumersi le responsabilità delle scelte?
Se vogliamo risolvere i problemi di oggi abbiamo bisogno di istituire una commissione bicamerale che lavori quotidianamente e controlli il governo. Se vogliamo risolvere i problemi di domani dobbiamo puntare a inserire la clausola di supremazia e costituzionalizzare la Conferenza Stato-Regioni. E’ evidente, però, che quest’ultima è una soluzione di medio e lungo termine. Anche se il Senato ha già iniziato a discuterne.
Ci spiega nel dettaglio questa proposta?
L'ha avanzata il Partito democratico già a marzo scorso. E’ una proposta di legge (la n.2422, ndr) di due soli articoli che ho presentato io insieme ad altri deputati alla Camera, mentre i senatori Dario Parrini e Roberta Pinotti hanno presentato lo stesso articolato a palazzo Madama.
Qual è la ratio del provvedimento?
Il primo articolo ripropone una clausola di supremazia nazionale per rendere flessibili i confini tra le materie di competenza di Stato e Regioni, in nome di esigenze di unità nazionale, bilanciandola non con un Senato radicalmente rinnovato, ma con la costituzionalizzazione della Conferenza Stato-Regioni.
E il secondo?
Con il secondo articolo, invece, si costituzionalizza, appunto, la Conferenza Stato-Regioni, che è diventata molto importante, ma che non è ancora riconosciuta in Costituzione.
Proprio a proposito di competenze regionali e statali, Pierluigi Bersani auspicava una riforma della Carta che potesse superare la rigidità degli elenchi, prevedendo invece leggi quadro flessibili. Che ne pensa?
Questa proposta ha una risposta proprio nella clausola di supremazia che rende mobili i confini. Non si tratta, infatti, di cambiare gli elenchi delle materie, aggiornandoli. Il problema è che i paletti non debbono essere fissi. I confini prestabiliti possono andare bene per i periodi normali, ma possono verificarsi fasi e situazioni in cui si renda necessario poter spostare tali confini. E per farlo, appunto, occorre individuare una procedura, che poi è quella utilizzata anche negli Stati federali, e cioè la clausola di supremazia.
Una proposta che già era presente nella riforma Renzi del 2016. E’ così?
Era inserita anche nella riforma del 2016. Solo che allora era raccordata a una riforma del Senato in chiave decentrata. Ovviamente, quella riforma fu bocciata, per cui non è possibile riproporre un Senato delle Regioni. Le forze politiche che si sono schierate contro allora, infatti, non la potrebbero accettare adesso. Ecco perché la soluzione per bilanciare la clausola di supremazia è costituzionalizzare la Conferenza Stato- Regioni.
Nel dibattito politico sul tema, non manca chi vorrebbe un’abolizione del Titolo V e un ritorno ad una centralizzazione delle decisioni. E’ un’ipotesi che lei scarta del tutto?
Secondo me bisogna assumere un atteggiamento un po’ più equilibrato. Non è vero che il Titolo V sia sbagliato in sé. La direzione è giusta. Il problema è che è stato approvato di corsa a fine legislatura nel 2001, senza intervenire sul Senato. Quella riforma ha un buco perché il legislatore non se la sentì di inserire la clausola di supremazia. Ecco perché ritengo che vada riproposta ora con equilibrio. Ma non bisogna fare nessuna campagna per tornare agli anni antecedenti la riforma del Titolo V. Il problema non è restaurare, ma flessibilizzare.
Lei sostiene che nell’hic et nunc, comunque, una bicamerale sul modello Copasir sia la chiave per affrontare la situazione attuale. E con i tempi come la mettiamo?
Se c’è un’intesa politica la commissione parlamentare bicamerale si fa in pochi giorni. Una legge ordinaria, se condivisa, infatti, in due settimane si approva. E l’iter è veloce ugualmente qualora si adottassero come strumento due atti monocamerali identici da parte di Camera e Senato.