Pisapia in campo: per un centrosinistra di governo o per la guerra a Renzi?
Quello avviato a Roma in piazza Santi Apostoli da Giuliano Pisapia è il nuovo tentativo della sinistra di ritrovare una identità e una leadership fuori dal Pd di Matteo Renzi, il leader contestato per la concezione personalistica del partito e per la sua deriva populista e neo centrista. La difficoltà dell’ex sindaco di Milano non sta nel radunare fan anti renziani ma di ridare un’anima e un corpo alla sinistra squagliata, coprendo un vuoto politico con contenuti credibili e adeguati alla crisi e mettendo in campo leader non riciclati e con il marchio dei perdenti. Affidare il ruolo di testimonial o di “tutori” del nuovo progetto a politici di grande esperienza ma dall’immagine logorata quali D’Alema, Bersani, Bassolino ecc. significa partire con il piede sbagliato, con la zavorra.
Altra cosa è mettere tutti alla stanga, fuori dai riflettori e privi di poltrone. La sfida di Pisapia, persona competente e di tutto rispetto, è legittima anche se piena di interrogativi e incognite, un vero e proprio azzardo, con alto rischio di flop soprattutto in una compagnia di fratelli o compagni-coltelli. E’ vero che il Partito democratico è in crisi e, dopo la debacle delle comunali, i sondaggi lo danno poco sopra il 25% dei voti e che cala ancora il gradimento nei confronti di Renzi (- 7 punti nell’ultimo mese, da 39 a 32 secondo l’Atlante politico di Demos realizzato per Repubblica). Ed è altrettanto vero il calo del M5S, dato sulla stessa percentuale di voti del Pd, con un centrodestra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) rilanciato verso il 33% dal redivivo Berlusconi.
Ma la vastissima prateria degli astenuti, per lo più ex elettori di centrosinistra, è delusa e disorientata, per nulla decisa a tornare all’impegno politico e a seguire tout-court il pifferaio di turno. Fingendo di pensare che i vari Bersani-D’Alema&C riconoscano davvero, senza interferenze, la leadership di Pisapia e quindi si possa passare dalla fase uno del lancio dell’idea alla fase due della “costruzione” del partito con lista alle prossime politiche, i rischi sono sostanzialmente due. Il primo è quello di farsi prendere la mano sui contenuti, presentando un programma espressione delle varie anime del movimento, zeppo di proposte che dicono tutto e il contrario di tutto su tutto, un inutile polpettone del Sol dell’avvenire. Il secondo è quello che sotto l’ombrello di Pisapia entrino tutti quelli che hanno come primo (e unico?) obiettivo la guerra a Renzi e la fine del suo Partito democratico sino alla logica autolesionistica del: “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Ogni partito decide la propria leadership e il proprio gruppo dirigente. Persino Berlinguer si illuse di stabilire un rapporto di alleanza con il Psi escludendo Craxi segretario. Persino nel Pci togliattiano ci si illudeva di parlare con i democristiani elettori – la base diccì - escludendo la Dc-partito e i suoi dirigenti. Il confronto politico e la lotta politica o le alleanze non si fanno sulla base dei desideri personali o con interferenze in casa altrui. Si tratta o si lotta con gli amici e con i nemici che sono in campo e sono i rapporti di forza, nella competizione democratica, a decidere accettando il gioco e le sue regole. Non si comanda in casa d’altri. Qui s’impone una domanda. Pensano davvero Pisapia e i suoi nuovi e vecchi compagni di viaggio che il costituendo partito possa avere una prospettiva nella costruzione di un asse di centrosinistra di governo escludendo a priori un rapporto di alleanza con il Pd perché in questo pidì il capo è Renzi? O pensano davvero che da qui alle elezioni politiche (massimo ad inizio primavera 2018) non sia più Renzi il capo del Pd?
Se così fosse Pisapia e i suoi non avrebbero compreso nulla delle grandi lezioni del passato (dalla formazione del primo centrosinistra con Dc-Psi-laici fino al compromesso storico Pci-Dc) e soprattutto condannerebbero all’irrilevanza e al fallimento il nuovo progetto che non può nascere per cancellare Renzi ma per affrontare la crisi della politica e dei partiti, per dare una svolta alla crisi del Paese con riforme da fare con chi ci sta avendo la forza e la spinta degli italiani, non solo nelle urne. Non c’è da stanare nessuno, nemmeno Renzi con il suo aberrante esclusivismo e personalismo. Il crinale sta nella proposta politica: di qua chi accetta di confrontarsi su un programma riformista di centrosinistra in alternativa al centrodestra berlusconiano-salviniano e al M5S grillino, di là chi invece si riempie la bocca di nuova sinistra ma alla fine cerca lo sbocco per fare con il rais di Arcore il Partito della Nazione, cioè la nuova Dc riverniciata. Tutto qui.
Renzi non è il lupo cattivo da eliminare. Va incalzato politicamente: via la maschera affinchè mostri agli italiani il suo vero volto, i suoi veri obiettivi. La politica ridotta a ideologia, senza un credibile progetto unificante in grado di raccogliere consensi e tessere alleanze, porta alla sconfitta. Se va bene si riduce a testimonianza. Dopo la festa con i canti e le bandiere al vento c’è il risveglio. Come dopo una sbronza. Ora tocca a Pisapia dimostrare di essere la “risorsa” per la ricostruzione del centrosinistra che serve oggi e che, piaccia o no, ripropone la traccia di Romano Prodi. Può essere l’ultimo treno per chi non vuole lasciare l’Italia in mano al populismo grillino ma neppure al centrodestra berlusconiano.