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Politica
Prescrizione. Falso che impedisca i processi. Lo scrive il ministero Giustizia

Beati gli affamati di giustizia perché saranno giustiziati. 

Gli stessi che vivono nel mito della prescrizione come mezzo che impedisce la giustizia in Italia. Sarebbe colpa di questo istituto giuridico se i procedimenti diventano “lunghi” e i furbi e i colpevoli si salvano. Ma è falso. Lo mostrano i dati del ministero della Giustizia. Un mito, alimentato dai manettari di ogni risma. In Italia la giustizia non funziona ma non per colpa della prescrizione. E non è vero che la prescrizione impedisca i processi. Fatto confermato anche da più di un affermato giurista. Ma andiamo per gradi.

 

La “riforma” voluta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede del M5S, legge denominata “Spazzacorrotti”, fa sì che dal 1°gennaio 2020 si interrompa la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. “Configurando”, almeno per come è scritta, “la nuova disciplina come un’ipotesi di sospensione del corso della prescrizione del reato”, dice sul sito giuridico Diritto penale contemporaneo il professor Gian Luigi Gatta. “Un provvedimento incompleto”, aggiunge il giurista che ne descrive i limiti usando le parole di un altro professore, Gaetano Insolera, “stiamo vivendo un’epoca in cui ‘in modo disinvolto le questioni penali sono fiches: servono per puntare sui risultati attesi dai due partners di governo quando i consensi elettorali dovranno decidere sulla prevalenza dell’una o dell’altra forza politica”.

Così mentre la politica si gingilla al gioco del potere questo provvedimento cambierà radicalmente la vita degli italiani, facendo durare i processi anche tutta la vita. Un supplizio per chi è innocente. 

 

Guadando i dati del 2016 e degli anni precedenti del stesso ministero che Bonafede presiede si nota che non è vero che la prescrizione impedisca i processi. E l’interruzione per prescrizione si manifesta principalmente durante la fase delle indagini preliminari e per un numero limitato di procedimenti.

Le indagini preliminari sono la prima fase del procedimento penale e iniziano quando una notizia di reato perviene alla Polizia Giudiziaria o al Pubblico Ministero. Questi le svolgono al fine di verificare se sussistono elementi idonei a sostenere un’accusa e formulare una richiesta di rinvio a giudizio o se, assenti questi elementi, si possa chiedere l’archiviazione della notizia di reato.

 

Il ministero scrive che su 100 procedimenti solo 9,5 si prescrivono e 6 di questi nella fase delle indagini preliminari. Nel 58% dei casi cioè nella fase preliminare del giudizio (guarda le schede alla fine).

Una sorta di filtro dovuto alla eccessiva mole di procedimenti, causa l’obbligatorietà dell’azione penale. Tutta sulla carta ma che fa sì che si debba aprire un procedimento anche se qualcuno fa pipì sullo zerbino del vicino. Il problema per tanto non è la prescrizione ma il carico di lavoro delle Procure. 

E' legittimo valutare che nei restanti casi la prescrizione durante i vari gradi di giudizio sia una conseguenza del ritardo che si è accumulato proprio nella fase iniziale. 

Quindi la prescrizione non c’entra un bel nulla con la mancanza di giustizia.

Riporta il dato sulla sua pagina Facebook il giurista Ugo Grassi, non uno qualsiasi. Grassi è l’ex direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Parthenope" e cattedratico di Diritto civile nello stesso Ateneo, che più volte si è scagliato contro la legge bollandola come incostituzionale. Non ascoltato dal M5S, partito dove era eletto, Grassi è passato alla Lega di Salvini.

 

“Perché correre il rischio di introdurre nel sistema una norma incostituzionale quando esistono altre soluzioni non meno efficaci?”, scrive il giusrista, “Io, ad esempio, avevo proposto di abrogare la legge n. 251/2005 (c.d. legge Cirielli); di ripristinare il testo previgente dell’art. 157 c.p. (molto più chiaro e di facile applicazione) con adeguamento dei termini di prescrizione, soprattutto per evitare che possano entrare in vigore, per taluni reati, termini più brevi di quelli attuali; e di stabilire infine che la sentenza di condanna, sia essa di primo o secondo grado, valga come interruzione (e non già sospensione) della prescrizione di modo da far ripartire il decorso del termine, il quale avrebbe comunque una sua definita durata. La soluzione descritta avrebbe il pregio di assegnare comunque alla potestà punitiva dello Stato dei puntuali confini temporali, e ciò in coerenza con l’affermata natura sostanziale e non processuale della prescrizione, come tale sottoposta all’applicazione del principio costituzionale di legalità e del suo corollario qual è il principio di determinatezza. Nello stesso tempo la proposta qui formulata, determinando una vera interruzione del tempo prescrizionale trascorso, seguita dalla ripresa di un conteggio temporale di eguale durata di quello proprio del reato, consentirebbe allo Stato di disporre di tutto il tempo necessario per rendere effettive le sanzioni. Superfluo aggiungere che molte altre soluzioni egualmente efficaci sono prospettabili. Vale la pena raggiungere la meta per mezzo di un viottolo scosceso e a strapiombo quando poco più in là vi è una comoda scaletta con solido corrimano?”.

 

Immaginate in che condizioni si troverà chi per mestiere, come i giornalisti, si trova spesso nelle maglie della giustizia. Se racconti la verità e fatti scomodi ne subisci 10, 20 o 100 di processi, avendo contro personaggi potenti e con tanti avvocati a disposizione. Non li vedrai mai finire! E ogni giorno qualcuno potrebbe svegliarsi e riaprire un procedimento sepolto chissà dove.

Ma non solo per i giornalisti il supplizio potrà valere tutta la vita, varrà per tutti con l’istituzione nel Paese di una sorta di Togacrazia.

 

Bonafede sembra essersi incaponito nella difesa del suo provvedimento che avrà solo l’effetto di mettere un ulteriore bavaglio alle libertà individuali e facilitare chi usa la giustizia come una maglio distruttivo e politico.

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