Politica
Primarie Pd, tracollo dell'affluenza. Le stime Pd: meno di 1,5 milioni
Renzi vince le primarie Pd, poi lite con Mattarella sulle elezioni politiche anticipate
Su un punto nel Pd sono d'accordo: le primarie del 30 aprile saranno un clamoroso flop in termini di affluenza ai seggi-gazebo. Le stime che si fanno al Nazareno, e che Affaritaliani.it ha avuto modo di consultare, parlano di una partecipazione al voto tra 1,3 e 1,5 milioni (il dato in realtà è più vicino a 1,3 che a 1,5), comunque nettamente sotto quota 2 milioni e quindi meno della metà dell'affluenza per le primarie del 2013 (circa 3 milioni di votanti).
Come confermano i sondaggi, è praticamente certo che con questa partecipazione così scarsa si riproporranno nelle urne i rapporti di forza che abbiamo visto tra gli iscritti, e quindi Matteo Renzi si prepara a vincere con una percetuale tra il 65 e il 70%, Andrea Orlando arriverà secondo e Michele Emiliano terzo. L'ex premier ha tutto l'interesse a mantenere bassa l'affluenza e l'interesse verso le primarie proprio per cristallizzare i risultati dei circoli. Ecco perché - affermano dal fronte Orlando ed Emiliano - "Matteo continua a scappare dal confronto e non vuole pubblicizzare la sfida del 30 aprile".
Ma che cosa farà Renzi dopo le primarie? Nel Pd (e non solo) è opinione diffusa che il segretario dem, non appena ottenuta la ricoferma, punti ad accelerare sulle modifiche alla legge elettorale per poi cercare l'"incidente" in Senato per mandare a casa il governo Gentiloni e chiedere le elezioni anticipate subito dopo l'estate. Il timore, se le urne fossero all'inizio del 2018, è quello di andare in campagna elettorale con una manovra economica restrittiva (inevitabile visto il diktat di Bruxelles).
Ma la strategia di Renzi rischia di creare nuove fibrillazioni nel Pd (Orlando ed Emiliano non vogliono il voto nel 2017), tensioni con il ministro dell'Economia Padoan (garante dei rapporti con l'Unione europea) e soprattutto un braccio di ferro tra il leader del partito di maggioranza relativa in Parlamento e il Presidente della Repubblica. Mattarella, comunque obbligato Costituzione alla mano a sciogliere le Camere nel caso in cui non ci sia una maggioranza, non ha alcuna fretta di mandare il Paese ad elezioni e preferirebbe attendere il prossimo anno. Insomma, la tarda primavera rischia di essere politicamente bollente.