Politica

Le proposte dei Conservatori Riformisti per la Legge di Stabilità

  1. LE NOSTRE CRITICHE A RENZI

 

 

Premessa. Per ora, e non è certo un dato irrilevante, esistono solo le slides di una conferenza stampa del Premier, un comunicato, e le molte indiscrezioni trapelate sulla stampa. Il preciso obbligo giuridico di presentare la manovra alle Camere entro il 15 ottobre è stato disatteso. Dunque, cosa è stato inviato alle autorità Ue? Su quali basi avverrà anche la loro valutazione?

 

E – per inciso – dopo tanta enfasi sulle “riforme”, quanti sanno (in Italia e in Europa) che, nella nota di aggiornamento DEF di settembre, il Governo stima che l'impatto delle sue riforme strutturali attuate nel 2015 comporta “impulsi sostanzialmente neutrali per la crescita”?

 

Veniamo alle nostre critiche:

 

  1. Non c’è lo choc positivo sulle tasse (vedi successivo paragrafo 3). Va ovviamente bene il taglio della tassazione sulla 1° casa (ma attenzione ai rischi indicati nella successiva lettera G rispetto agli altri immobili). Noi Conservatori e Riformisti l’avevamo proposto già l’anno scorso, e Renzi ci disse no. Bene che l’abbia compreso, sia pure con un anno di ritardo. Ma complessivamente, l’alleggerimento fiscale (essenzialmente: prima casa, Imu agricola e cosiddetti “imbullonati”) è troppo piccolo per dare una “frustata” positiva all’economia.

 

  1. Spending review più che dimezzata. La vera spending review è ridotta appena a circa 4 miliardi (l’annuncio era di 10, anche se per noi sarebbe necessaria un’operazione ancora più coraggiosa). Oltre ai 4 miliardi, il resto sono essenzialmente tagli lineari a Regioni e sanità, ma con un andamento di tendenza che resta purtroppo in aumento. In sostanza, più che riduzioni di spesa, si tratta di “mancati ulteriori aumenti”…Complessivamente, quindi, la parte notevolmente più grande delle coperture (oltre i ¾!) avviene o per deficit o attraverso entrate una tantum: a nostro avviso, doveva accadere il contrario, con la parte del leone che sarebbe dovuta avvenire attraverso spending review, e quindi attraverso tagli alla spesa improduttiva.

 

  1. Resta il peso delle clausole di salvaguardia per i prossimi anni: bombe da circa 35 miliardi pronte a esplodere tra il 2017 e il 2018. Va ovviamente bene aver disinnescato le clausole di quest’anno (ma attenzione, era anche colpa di Renzi, non solo dei Governi precedenti). Però resta un carico di altre clausole, di altre “bombe” fiscali destinate a esplodere per circa 35 miliardi nel biennio 2017-2018, più altre eventuali cattive “sorprese” purtroppo sempre possibili.

 

  1. Si sottovaluta il rischio di un cambiamento dello scenario economico mondiale. E in più le cose coraggiose vanno fatte quando si è più lontani dalle elezioni…Si rinvia ai prossimi anni il peso delle scelte più difficili, proprio quando, come spiegavamo prima, la fine del QE e altri fattori (Cina, ecc.) potrebbero rendere lo scenario meno vantaggioso nei prossimi 24 mesi. Un grave errore. Proprio perché Renzi oggi è forte nel palazzo, e ha davanti un tempo non brevissimo di governo, avrebbe dovuto fare adesso le scelte più costose. Anche perché, secondo una elementare regola della politica, le cose coraggiose vanno fatte quando si è più lontani dalle elezioni: non è certo immaginabile che le misure più dure vengano prese nell’imminenza delle elezioni politiche del 2018.

 

  1. Sud, il Governo non fa (e forse “scippa”). Noi proponiamo di discutere di Zone economiche speciali. Dopo mesi e mesi di annunci sul fantomatico “masterplan”, si assiste alla totale mancanza di una visione, di una proposta, di un’idea per il Mezzogiorno. Tutti i dati confermano che proprio un ritorno del Sud alla crescita renderebbe più solidi i dati complessivi del Paese: il Governo ne parla nei convegni, ma di concreto non c’è nulla nemmeno stavolta. A tutto questo (oltre al danno, la beffa) si aggiunge il rischio di un ulteriore “scippo” ai danni del Mezzogiorno sul cofinanziamento statale rispetto ai fondi Ue. Una delle nostre proposte è quella di ragionare sull’opportunità di creare delle “Zes”, cioè zone economiche speciali a cui accordare un regime di favor fiscale e burocratico, specie ma non solo rispetto agli investimenti esteri. L’esperimento delle “zone franche urbane” non ha funzionato perché era troppo limitato e perché, nonostante le intenzioni, alla fine la burocrazia ha prevalso. Invece, il Sud (così come altre realtà, ovviamente anche al Nord!) potrebbe essere il luogo naturale di sperimentazione di un progetto più ambizioso, di “free zones” non basate sullo sperpero di denaro pubblico, ma su meccanismi di defiscalizzazione e di sburocratizzazione.

 

  1. Rai: il canone in bolletta è di dubbia costituzionalità. E Renzi vuole conservare lo status quo televisivo, lasciando ai partiti (al suo partito, ora…) il controllo della Rai. E’ giuridicamente ingiusto sostenere che chi abbia una utenza elettrica abbia necessariamente anche l’abbonamento Rai, o viceversa. E, al di là di questo, è sparita dall’orizzonte l’idea della privatizzazione della Rai (unico strumento per cacciare i partiti dal servizio pubblico) o almeno dell’abolizione del canone. Tra l'altro, anche per chi la pensa diversamente da noi e vuole invece mantenere l'assetto attuale, sarebbe almeno il caso di tramutare il rapporto del cittadino con la Rai in un vero abbonamento, libero e volontario: se lo voglio, lo sottoscrivo, senza obblighi.

 

  1. Immobili. Fondato l'allarme di Confedilizia: rischio di 2 miliardi di tasse in più, che svuoterebbero l'intervento positivo sulla 1a casa. Se fosse attribuito ai Comuni in modo esteso e indiscriminato il diritto ad aumentare le aliquote Imu-Tasi dello 0,8 per mille (possibilità che Renzi, nonostante la nostra contrarietà, introdusse già l'anno scorso, e che doveva essere vincolata alla previsione di detrazioni a favore delle famiglie sulla prima casa: ma il Governo rifiutò anche la nostra proposta di imporre ai Comuni trasparenza su questo specifico punto...), esisterebbe il rischio, giustamente paventato da Confedilizia, di un aumento fino a 2 miliardi della tassazione sugli immobili diversi dalla prima casa. E in più, ad aggravare il quadro, c’è il fatto che con la recente marcia indietro del Governo, anche molte case non necessariamente di lusso (sia pure incluse nella categoria A1), pagheranno ancora la tassa sulla 1a casa…

 

  1. LA NOSTRA PROPOSTA: CHOC FISCALE

 

 

E allora ecco il nostro piano, la cui parte essenziale avviene subito, con la prima manovra. 48 miliardi di tasse in meno: 24 miliardi immediatamente, altri 24 miliardi nei successivi 4 anni. Sappiamo che è una proposta – appunto – choccante: ma indica un ordine di grandezza necessario a dare una vera scossa all’economia. E le coperture indicate in dettaglio nel successivo paragrafo 4 mostrano che l’operazione è possibile. Chiunque può ovviamente correggere, integrare, emendare: ma non si può sostenere la tesi dell’impossibilità di un intervento fiscale fortissimo e ambizioso.

 

 

1) Per le imprese: 

  • Abolizione Imu-Tasi sui beni immobili strumentali all’attività di impresa: sui capannoni, su negozi e botteghe artigiane, su uffici e studi professionali

Costo: circa 8 miliardi (ringraziamo per la valutazione l'Ufficio studi di Confcommercio: 7,7 mld)

  • Dimezzamento dell'Irap in due anni

Costo: 12 miliardi circa (6 il primo anno, 6 il secondo anno)

  • Riduzione dell'aliquota Ires dal 27,5 al 23% nei successivi 3 anni

Costo: 6 miliardi nei successivi 3 anni

 

2) Per i lavoratori:

  • 10 miliardi di tasse in meno sul lavoro, attraverso una rimodulazione delle aliquote Irpef

Costo: 10 miliardi in 5 anni

 

3) Per i consumatori e le famiglie:

  • Iva giù di 2 punti (al 20%) in 2 anni

Costo: 8 miliardi nei primi 2 anni

  • Immediata abolizione della tassazione sulla prima casa

Costo: meno di 4 miliardi

 

Riepilogo dei costi per anno:

Totale 1° anno: 24 miliardi

Totale 2° anno: 12 miliardi

Totale 3° anno: 4 miliardi

Totale 4° anno: 4 miliardi

Totale 5° anno: 4 miliardi

 

Naturalmente, abbiamo individuato voce per voce tante possibili coperture, tutte centrate su tagli di spese. Li abbiamo inseriti in emendamenti già alla scorsa legge di stabilità. Tutti ammessi tecnicamente dalla Commissione Bilancio, proprio perché coperti. Il Governo ha detto no.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. LE COPERTURE. LA NOSTRA SPENDING REVIEW

 

 

Citiamo a titolo di esempio le nostre principali ipotesi di copertura. Come base e riferimento, è assolutamente possibile affidarsi a moltissime voci tratte dal Rapporto Cottarelli. L’errore del Governo (anche qui, in continuità con un centrodestra che non fu capace di tagliare la spesa pubblica improduttiva…) è quello di avere individuato alcune strade giuste, ma poi di non averle percorse con convinzione, oppure di essersi fermato dopo aver compiuto solo il primissimo tratto di strada.

 

Ecco le nostre proposte, con accanto una stima credibile dei fortissimi risparmi possibili, ben oltre il limitato intervento deciso dal Governo.

 

 

1) Tagli alla spesa pubblica corrente: possibili fino a oltre 20 miliardi

 

  • Riduzione spese per beni e servizi, sanità inclusa (131 miliardi l'anno): 2>7 miliardi

 

Non solo occorre una drastica riduzione del numero delle centrali appaltanti (da 32.000 a 30-40: Consip, regioni, città metropolitane) per acquisti "sopra soglia", ma servono anche controlli sui contratti in essere, con corrispondenti tagli di stanziamento basati su indicatori Consip di centri di spesa meno virtuosi.

 

Nota 1: gli acquisti effettuati su convenzioni Consip comportano in media un risparmio del 24%, ma la spesa presidiabile da Consip o altre centrali di acquisto è circa la metà del totale (cit. Piano Cottarelli). Ipotizzando un risparmio, a regime, del 15%, si potrebbe ridurre la spesa per beni e servizi anche di 10 miliardi.

 

  • Fabbisogni e capacità fiscali standard per determinare trasferimenti ai Comuni: 0,5>2 miliardi

 

  • Riduzione della spesa sanitaria (escluso acquisto beni e servizi) tramite piena applicazione dei costi standard nella sanità: 2 miliardi

 

Nota 2: nell'arco degli ultimi 20 anni, la spesa di Regioni, Province e Comuni è cresciuta di circa 38 miliardi per il personale (+118%, contro +78% delle amministrazioni centrali e +63% dell'inflazione) e di 44 miliardi per l'acquisto di beni e servizi (+213%, contro +68% delle amministrazioni centrali e +63% dell'inflazione). Basterebbe riportare queste spese ai livelli del 2005 (comunque ben superiori al 100% di aumento, contro +78% e +68% delle amministrazioni centrali e +63% dell'inflazione) per risparmiare circa 17 miliardi di euro.

 

Nota 3: Sarebbe anche possibile prevedere una quota minore di tagli alla spesa a carico delle Regioni più virtuose e una maggiore a carico delle meno virtuose sulla base dei costi standard nella spesa sanitaria (prevedere, per esempio, che siano esentate dai tagli le 5 Regioni benchmark 2013).

 

 

  • Piano Cottarelli per la razionalizzazione delle aziende partecipate da Comuni, Province e Regioni (da 8.000 a 1.000 municipalizzate): 0,5>2/3 miliardi

Tramite chiusura immediata delle partecipate che non forniscono servizi pubblici; aggregazioni per livelli minimi di bacino di utenza, efficientamento; incentivi alla liberalizzazione/privatizzazione anche nei servizi pubblici essenziali. In sostanza, incentivi all'aggregazione/alienazione delle società partecipate locali (ma anche obbligo): in caso di inadempienza, taglio dei trasferimenti e potere sostitutivo non della Regione ma del Governo.

 

 

  • Riduzione dei costi della politica e delle istituzioni (Organi Costituzionali e a rilevanza costituzionale, Regioni, Comunità montane, Finanziamenti pubblici): 0,5>1 miliardi

 

  • Riduzione della spesa per il personale pubblico: 0,8 miliardi

Riducendo spese e numero dei dirigenti per avvicinarli alle medie Ocse e Ue; riducendo consulenze, auto blu, corsi di formazione inutili; attuando le norme vigenti sulla mobilità per far emergere situazioni di scarsa produttività ed esuberi.

 

  • Altre misure di riorganizzazione ed efficientamento: 2,4-4,3 miliardi

Prefetture, Vigili del Fuoco, Capitanerie di Porto e altre sedi periferiche delle amministrazioni centrali (0,3>0,8); soppressioni/fusioni di enti inutili (0,2); digitalizzazione PA (1,1>2,5); pubblicizzazione telematica degli appalti pubblici, gestione immobili, riduzione dei costi della riscossione fiscale (0,8).

 

 

2) Riduzione dei trasferimenti alle imprese: 6,5>7,7 miliardi (ma assolutamente vincolati a corrispondenti riduzioni di tasse: guai se invece l’operazione fosse fatta solo per fare cassa…)

 

  • Taglio di trasferimenti alle imprese dallo Stato (in attuazione delle norme previste all’art. 4, comma 3, della delega fiscale): 4 miliardi
  • Taglio di trasferimenti alle imprese dalle Regioni: 2 miliardi
  • Riduzione dell'eccesso di trasferimenti al trasporto ferroviario rispetto all'Ue: 0,3>1,5 miliardi
  • Taglio dei microstanziamenti inutili: 0,2 miliardi

 

 

3) Riduzione delle agevolazioni fiscali: 10 miliardi (ma assolutamente vincolati a corrispondenti riduzioni di tasse: guai se invece l’operazione fosse fatta solo per fare cassa…)

 

Riordino e riduzione delle tax expenditures non essenziali (le agevolazioni fiscali che ammontano complessivamente a 250 miliardi annui), in attuazione delle norme previste all’art. 4, comma 3, della delega fiscale.

 

 

4) Revisione e riordino di alcuni regimi Iva agevolati: 8 miliardi

 

Revisione e riordino e di alcuni regimi Iva agevolati, che complessivamente valgono circa 40 miliardi annui.

 

5) Minore costo del debito pubblico: 5 miliardi

 

Minori interessi da pagare sul debito pubblico per effetto di una sua riduzione nell'ordine di 140/150 miliardi grazie alle entrate derivanti dal piano di dismissioni pubbliche (soprattutto immobiliari) al punto 6).

 

6) Abbattimento del debito pubblico

 

L'enorme debito pubblico accumulato è una delle principali preoccupazioni dell'Europa e dei mercati sull'Italia. Senza dimostrare una ferma volontà di ridurlo in tempi rapidi è difficile risultare credibili ai loro occhi e, quindi, proporre un piano di tagli fiscali che ci porterebbe a sforare il tetto del 3% nei primi 2 anni. Per questo, per abbattere lo stock di debito, e quindi anche la spesa per interessi, occorre un piano di valorizzazione e vendita (ma non svendita!) di asset di patrimonio pubblico, in primo luogo attraverso la costituzione di un fondo (ad esempio, secondo le diverse elaborazioni di Savona-Rinaldi, Forte, Guarino, Masera) a cui conferire beni soprattutto immobili ma anche mobili.