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Politica
RdC, la verità sulla riforma. Il testo integrale: tutte le novità. Esclusivo
 
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pari ad euro 15.318, 23. Considerato lo stanziamento previsto a legislazione vigente e le
istanze pervenute oltre il 31 dicembre 2022 e fino al 28 febbraio 2023, si evidenzia, dunque,
l’impossibilità di poter liquidare tutte le somme correttamente rendicontate, stante il
superamento del limite di spesa per l’anno 2022, per l’importo di euro 2.730.660,28 (=
142.715.342,05 + 15.318,23 – 140.000.000). Con l’articolo in esame, pertanto, si ricorre,
nei limiti del predetto importo, alle risorse previste per il 2023 dall’articolo 4 del decreto-
legge 14 gennaio 2023, n. 5, anche per le richieste di rimborso presentate al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, relativamente all’anno 2022, entro il 28 febbraio 2023. Le
somme rendicontate correttamente ed in attesa di rimborso, relative alle richieste pervenute
ai sensi dell’articolo 35 del decreto-legge n. 50/2022, sono finanziate attraverso l’utilizzo
del fondo previsto dall’articolo 4 del decreto-legge 14 gennaio 2023, n. 5, per un importo
di 2.730.660,28. In particolare, tale articolo, al comma 1, prevede un fondo nello stato di
previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con dotazione pari ad euro 100
milioni, per l’anno 2023. Tale stanziamento, previsto per il 2023, si riduce dell’importo di
euro 2.730.660,28, al fine di consentire il riconoscimento della spesa per i servizi di cui
all’articolo 35 del decreto-legge n. 50/2022, per le istanze pervenute entro il 28 febbraio
2023.
Con l’articolo 28 si dispone la possibilità di utilizzare le risorse del fondo di rotazione -
istituito presso il MLPS dall’articolo 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845 con
amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio al fine di favorire l’accesso ai Fondi
europei - per coprire eventuali spese relative a progetti a valere sui fondi europei che, pur
essendo ritenute conformi dalle Autorità competenti secondo i regolamenti comunitari,
vengano dichiarate inammissibili dagli organi di controllo (Autorità di Audit, Servizi di
Audit della Commissione Europea, Corte dei Conti europea, ecc.) comportando la
“decertificazionedi dette somme o l’impossibilità di chiederne il rimborso. La norma non
incide espressamente su eventuali responsabilità individuali a vario titolo derivanti dalla
gestione dei fondi europei e nazionali, in quanto la funzione è esclusivamente quella di
consentire di coprire spese che, sebbene non ritenute conformi alle disposizioni in materia
di ammissibilità della spesa sui fondi SIE dagli organi di controllo, siano comunque, sotto
il profilo procedurale e sostanziale, rispettose della normativa nazionale. Le risorse in
 
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parola, inoltre, in analogia a quanto previsto dall’articolo 9, comma 1, del decreto-legge n.
152 del 2021, a valere sulle risorse dei programmi operativi complementari, possono essere
altresì utilizzate anche a copertura di oneri per il supporto tecnico e operativo all'attuazione
del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) in materia di politiche attive del lavoro
e formazione.
Con l’articolo 29 si intende riconoscere la maggiorazione dell’Assegno unico universale
(AUU), di cui all’articolo 4, comma 8, del decreto legislativo 230/2021, prevista solo per i
nuclei in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro, anche per i minori
appartenenti a nuclei ove, al momento della presentazione della domanda è presente un
solo genitore lavoratore poiché l’altro risulta deceduto.
Attualmente la maggiorazione di cui all’articolo 4, comma 8, è riconosciuta per ciascun
figlio minorenne presente in nuclei in cui entrambi i genitori sono percettori di reddito da
lavoro, in misura pari, nel 2022, a 30 euro mensili per un ISEE pari o inferiore a 15.000
euro, e si riduce gradualmente per livelli di ISEE superiori fino ad annullarsi in
corrispondenza di un ISEE pari o superiore a 40.000 euro (o in mancanza di ISEE). A
seguito della modifica in argomento, tale maggiorazione verrebbe riconosciuta per ciascun
figlio minore anche per le situazioni in cui l’unico genitore presente sia titolare di reddito
da lavoro e l’altro risulti deceduto. I minori che hanno ricevuto l’assegno unico nel periodo
di osservazione per i quali risulta la presenza di un solo genitore, poiché l’altro risulta
deceduto, sono pari circa a 80mila al mese.
 
L’articolo 30 prevede, già a partire dall’anno 2023, rivestendo dunque carattere di urgenza,
tre identici termini di presentazione delle domande per il riconoscimento delle condizioni
per l'accesso all'APE sociale di cui all’articolo 1, commi da 179 a 186, della legge 11
dicembre 2016, n. 232, e per il pensionamento anticipato con requisito contributivo
ridotto per i lavoratori c.d. precoci di cui all'articolo 1, commi da 199 a 205, della legge 11
dicembre 2016, n. 232.
 
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Attualmente, infatti, per i lavoratori precoci sono previsti annualmente soltanto due -
anziché tre, come per l’Ape sociale – termini di presentazione delle domande di accesso
alla prestazione.
Con tale intervento, pertanto, i termini di presentazione delle domande per l’APE sociale
e per il pensionamento anticipato con requisito contributivo ridotto sono unificati al 31
marzo, 15 luglio e, comunque, non oltre il 30 novembre di ciascun anno, consentendo
così, oltre al contemporaneo svolgimento dei monitoraggi previsti all’articolo 1, commi
186 e 203, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, volti a verificare la capienza delle risorse
finanziarie riservate all’attuazione di tali prestazioni, anche un più tempestivo accesso al
pensionamento per i lavoratori precoci in possesso dei requisiti richiesti.
L’articolo 31 propone, al comma 1, di riconoscere sine die al lavoratore il diritto iure proprio
di costituire la rendita vitalizia con onere interamente a proprio carico, a condizione che
sia intervenuta la prescrizione del diritto del datore di lavoro di costituire presso l’INPS la
rendita vitalizia, con conseguente prescrizione del diritto del lavoratore di sostituirsi a
quello del datore di lavoro e di chiedere allo stesso il risarcimento del danno.
In tali casi, per la determinazione dell’onere derivante dalla costituzione della rendita e ai
fini probatori, si applicano le disposizioni previste dallo stesso articolo 13 della legge n.
1338 del 1962, nell’ipotesi di costituzione della rendita vitalizia da parte del lavoratore in
sostituzione del datore di lavoro.
La norma è volta ad introdurre il principio dell’imprescrittibilità del diritto del lavoratore
a chiedere il riconoscimento, ai fini pensionistici, interamente a sue spese, dei periodi di
lavoro per i quali il datore di lavoro non abbia versato i contributi e per i quali sia
intervenuta la prescrizione.
Peraltro, la norma è stata finora interpretata in tal senso; tuttavia, alla luce di alcune recenti
sentenze di diverso orientamento (in particolare, Cassazione, Sezioni unite, n. 21302/2017
e Cassazione, Sezione civile, n. 27683/2020), la modifica risulta necessaria al fine di evitare
applicazioni differenziate che generino contenzioso, stabilendo espressamente che il
diritto del lavoratore alla costituzione della rendita vitalizia non si prescrive, come accade
per altri diritti riconosciuti dalla legge, utili ai fini pensionistici (es. servizio militare, periodi
di istruzione universitaria etc.).
 
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Resta ferma, invece, come confermato da alcune recenti pronunce giurisprudenziali, la
prescrizione del diritto alla costituzione della rendita vitalizia del datore di lavoro e, in sua
sostituzione, del lavoratore, nonché del diritto al risarcimento del danno di quest’ultimo
nei confronti del primo.
Il comma 2 della disposizione prevede la modifica dell’articolo 31, comma 2, della legge
24 maggio 1952, n. 610.
Ai sensi dell’attuale articolo 31, è previsto, al comma 1 (non modificato), che per gli iscritti
agli Istituti di previdenza (esclusa la Sezione autonoma per le pensioni agli insegnanti),
nei casi in cui si accerti che il versamento dei contributi dovuti agli Istituti abbia avuto
inizio da data posteriore a quella dalla quale ricorreva l’obbligatorietà dell’iscrizione, la
sistemazione dell’iscrizione con recupero dei relativi contributi - eccezion fatta per le
sistemazioni derivanti dall’applicazione del precedente art. 19 - viene limitata soltanto ai
servizi prestati nell’ultimo decennio immediatamente anteriore alla data di inizio
dell’avvenuto versamento dei contributi.
La liquidazione del trattamento di quiescenza si effettua tenendo comunque presente
l’intero servizio utile, comprendendo anche gli eventuali servizi di obbligatoria iscrizione
non assistiti dal versamento dei contributi o dalla già menzionata sistemazione.
Il comma 2 dell’articolo 31 stabilisce che nei casi, indicati al comma 1, in cui avvenga la
valutazione in pensione di servizi in fatto non assistiti da iscrizione, l’onere dell’assegno di
quiescenza viene ripartito tra gli Istituti di previdenza e gli enti presso i quali i servizi
medesimi sono stati prestati. Il comma 2 fornisce indicazioni su come calcolare il riparto
e, a tal fine, nella versione oggi novellata, si richiama l’articolo 4 del d.lgs. 30 aprile 1997,
n. 184, in luogo del regio decreto-legge 3 marzo 1938, n. 680.
Sul punto, si precisa che l’articolo 4 del d.lgs. n. 184 del 1997 stabilisce che le disposizioni
di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 2 del medesimo decreto legislativo sono estese a tutti
i casi di riscatto per i quali, ai fini del calcolo dell’onere, si applica l’articolo 13 della legge
12 agosto 1962, n. 1338. In particolare, l’onere di riscatto è determinato con le norme che
disciplinano la liquidazione della pensione con il sistema retributivo o con quello
contributivo, tenuto conto della collocazione temporale dei periodi oggetto di riscatto.
 
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A seguito della novella, dunque, il calcolo previsto dal citato comma 2 dell’articolo 31
avverrà con il criterio della riserva matematica di cui all’art. 13 della legge n. 1338 del 1962,
proprio del sistema retributivo, ovvero con il criterio a percentuale proprio del sistema
contributivo, secondo la collocazione dei periodi omessi e secondo il criterio, retributivo
o contributivo, con cui i periodi medesimi saranno valutati ai fini del calcolo della
pensione.
L’articolo 32 modifica, ai commi 1 e 2, la disciplina della ricongiunzione dettata dalla legge
7 febbraio 1979, n. 29 e dalla legge 5 marzo 1990, n. 45, sostituendo il rendimento previsto
in favore della gestione verso cui opera la ricongiunzione, attualmente pari al 4,5% annuo,
un rendimento in linea con quello offerto dal sistema contributivo, ovvero la media
quinquennale del tasso di crescita del PIL.
Nel solo caso in cui i contributi della gestione trasferente siano soggetti al sistema
contributivo di calcolo della pensione, oggetto del trasferimento è solo il montante
contributivo accumulato, che potrebbe essere superiore a quello di cui sopra nel caso in
cui la gestione trasferente avesse deliberato di trasferire riserve nei montanti contributivi
individuali.
Laddove la gestione presso la quale si effettua la ricongiunzione delle posizioni assicurative
non preveda esclusivamente l'adozione del sistema di calcolo contributivo delle
prestazioni, la norma prevede che l’ammontare trasferito costituisca la riserva matematica
per la relativa valorizzazione ai fini previdenziali, in base a specifiche modalità definite
dall'ente cui fa capo la gestione con apposito provvedimento da sottoporre alla vigilanza
ministeriale, in questo modo garantendo che la ricongiunzione non comporti oneri
aggiuntivi né per il lavoratore né per la gestione ricevente.
Il comma 3 consente di rendere oggetto di ricongiunzione, sia ai sensi della legge n. 29 del
1979 sia della legge n. 45 del 1990, anche i periodi assicurativi posseduti presso la gestione
separata INPS contraddistinta dal sistema di calcolo contributivo della pensione.
L’articolo 33 incide sulla disciplina delle sanzioni amministrative in caso di omesso
versamento delle ritenute previdenziali. La finalità della proposta è quella di mitigare la
sanzione amministrativa da irrogare in caso di omesso versamento delle ritenute
 
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previdenziali di importo fino a euro 10.000 annui, decorsi tre mesi dalla notifica
dell’avvenuto accertamento della violazione.
La questione è stata di recente portata all’attenzione della Corte Costituzionale da parte
del giudice del lavoro di Verbania che ha dichiarato non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale, per contrarietà all’art. 3 della Costituzione, dell’art.
3, comma 6, del decreto legislativo n. 8 del 2016, che ha modificato l’art. 2, comma 1-bis,
del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito dalla legge 638 del 1983, nella parte in cui
punisce l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, con la sanzione
amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000.
In particolare, al comma 1, si modifica l’articolo 2, comma 1-bis, del decreto-legge 12
settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 1 novembre 1983, n. 638,
in base al quale - se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui - si applica la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000, sostituendo a tale ultima
previsione la sanzione amministrativa da una volta e mezzo dell’importo omesso fino a
quattro volte il medesimo importo.
La natura punitiva della sanzione amministrativa permette l’equiparazione della sanzione
amministrativa a quella penale, con conseguente applicazione del principio della
retroattività in bonam partem (articolo 2, comma 2, c.p.).
Per effetto dell’introduzione della norma, sotto il profilo sanzionatorio, più mite, si potrà
pertanto procedere direttamente all’irrogazione della sanzione così come rimodulata dalla
novella legislativa (iura novit curia), restando valido il procedimento di notifica delle diffide
già operata dall’Istituto.
Nell’ipotesi di avvenuto pagamento, nella misura ridotta e con le modalità contemplate
dall’articolo 16 della legge n. 689 del 1981, antecedentemente all’entrata in vigore della
norma sanzionatoria amministrativa più favorevole, il rapporto deve ritenersi esaurito, con
conseguente impossibilità di applicare la novella legislativa.
Inoltre, al comma 2, si prevede che l’accertamento della violazione possa essere notificato
al responsabile entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’annualità
oggetto della violazione, in deroga all’articolo 14 della legge n. 689 del 1981 (secondo il
quale “Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel
 
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comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio
della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti allestero entro il termine di
trecentosessanta giorni dallaccertamento).
L’articolo 34 apporta modifiche alla disciplina prevista per la deduzione dal reddito
complessivo, ai fini dell’applicazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dei
contributi previdenziali versati in relazione agli addetti ai servizi domestici e all'assistenza
personale o familiare.
In particolare, il comma 1, modificando l’art. 10, comma 2, terzo periodo, del Testo unico
delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, innalza da euro 1.549,37
a euro 3.000 il limite delle spese deducibili previsto in relazione a tali contributi. Tale
modifica si rende opportuna alla luce della circostanza che il limite di euro 1.549,37 è
entrato in vigore nel 2000 e che, da tale epoca, l’ammontare dei contributi dovuti dai datori
di lavoro ha subito continui e periodici aumenti.
Il comma 2 prevede che la disposizione si applica a decorrere dal periodo di imposta 2023.
 
L’articolo 35 incide sulla disciplina del contratto di lavoro a termine. Il decreto dignità
(decreto-legge n. 87 del 2018, convertito con modificazioni dalla l. 96 del 2018), in tema
di contratto a tempo determinato, ha previsto, per i contratti di durata superiore ai 12
mesi, nonché per le proroghe e i rinnovi, l’apposizione di causali stringenti, quali la
sussistenza di condizioni straordinarie, imprevedibili o comunque eccezionali rispetto
all’organizzazione produttiva.
La scelta ha creato difficoltà applicative per una forma contrattuale che può consentire di
soddisfare quelle esigenze di oggettiva incertezza prospettica nell’organizzazione
produttiva, soprattutto in periodi di transizione. La recente esperienza emergenziale ha
evidenziato che gli interventi normativi che si sono posti come obiettivo la promozione
della ripartenza dell’economia hanno avuto in comune, nell’approccio al contratto a tempo
determinato, un progressivo allentamento delle rigidità delle causali, fino alla possibilità
della loro omissione, proprio per venire incontro ad esigenze occupazionali, giocoforza
temporanee, alla luce delle incertezze fisiologiche del mercato del lavoro.
 
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L’intervento unisce alle esigenze di tutela e garanzia, richieste anche dall’Unione europea,
un fisiologico margine di discrezionalità operativa per fare fronte alle predette esigenze di
flessibilità.
La disciplina proposta è orientata al ragionevole contenimento dell’utilizzo del contratto
a termine, consentendo il controllo della sua applicazione e diffusione, nonché
assecondando la preoccupazione di evitarne una diffusione indiscriminata ed è, allo stesso
tempo, compatibile con la normativa europea in materia, considerato che la direttiva
1999/70/CE, alla cui stringente interpretazione è ascritto il tenore delle causali del decreto
dignità, nel perseguire la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione
di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, richiede, in via alternativa, che la
sua applicazione derivi da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data,
il completamento di un compito specifico oppure il verificarsi di un evento specifico.
La norma, all’articolo 19, comma 1, mantenendo l’attuale possibilità di stipulare un
contratto a tempo determinato senza il bisogno di giustificarne le ragioni in caso di durata
non superiore a 12 mesi, modifica le causali che giustificano l’apposizione di un termine
superiore, comunque non eccedente i 24 mesi, previsti alle lettere a), b) e b-bis). In
particolare, ai sensi della nuova lettera a), l’apposizione del termine superiore ai 12 mesi, e
non eccedente i 24 mesi, è giustificata dalle ragioni tecniche, organizzative e produttive,
che potranno essere riconosciute dalla contrattazione collettiva, anche aziendale (tale
ipotesi era già prevista alla precedente lettera b-bis). In caso di mancato esercizio di tale
delega da parte della contrattazione collettiva, ai sensi della nuova lettera b), le ragioni
tecniche, organizzative e produttive, giustificative dell’apposizione del suddetto termine,
dovranno essere preventivamente certificate presso una delle sedi delle commissioni di
certificazione, di cui agli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo n. 276 del 2003. Infine,
la lettera c), che sostituisce la precedente lettera b-bis), prevede quale ultima condizione
che può giustificare l’apposizione del termine superiore ai 12 mesi e comunque non
eccedente i 24 mesi, l’esigenza di sostituire altri lavoratori.
La disposizione conferma, nell’eventualità di una durata ulteriore, nel limite massimo
complessivo di 36 mesi, l’attuale previsione del passaggio innanzi ai competenti servizi
ispettivi del lavoro o, in alternativa, ad una delle sedi delle commissioni di certificazione,

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