Referendum e genio del federalismo: il 22 ottobre possono vincere tutti
Ecco perché il genio del federalismo, se il 22 ottobre uscirà dalla bottiglia, potrebbe ridare slancio al Paese stanco e sfiduciato
Di Dario Fertilio
Come a volte succede, il genio evocato sottovoce potrebbe uscire fragorosamente dalla bottiglia. Il referendum del 22 ottobre sul federalismo lombardo-veneto, benché un discreto e complice silenzio continui ad accompagnarlo, è un'occasione storica per invertire la tendenza centralistica e compromissoria che partiti e media hanno costruito e favorito negli ultimi anni. L'abbandono delle grandi riforme istituzionali liberali - dal presidenzialismo, al sistema elettorale maggioritario, al metodo delle primarie obbligatorio per legge, alla regolamentazione dei partiti, a nuove forme di democrazia diretta - hanno segnato un'involuzione e una chiusura pseudo moderata, generando nei cittadini un clima di sfiducia e rassegnazione rispetto al futuro. Lo sciagurato referendum centralista promosso da Renzi nel dicembre scorso - e fortunatamente bocciato - ha fatto il resto. Un sì massiccio al referendum del 22 ottobre, ora, potrebbe invertire la tendenza.
Non è difficile, infatti, leggere, dietro alle dichiarazioni ufficiali e alle analisi giornalistiche, il desiderio di ridurre l'evento a una semplice tappa di avvicinamento alle elezioni politiche del prossimo anno. Da un lato, assistiamo allo sforzo attivistico di Berlusconi per accreditarsi come il partner privilegiato della coalizione di centro-destra: benché i sondaggi per ora non gli diano ragione, il suo chiaro obiettivo è sopravanzare la Lega, garantendosi il diritto di "dare le carte" e determinare le posizioni di potere in un futuro governo. Dall'altro lato, il laeder della Lega Salvini, dopo aver spinto l'acceleratore su una sorta di neo-centralismo "sovranista", è costretto a spostarsi su posizioni federaliste per evitare che i due governatori interessati dal voto - Maroni e Zaia - possano minacciare la sua leadership dall'interno del Carroccio. In mezzo, fatalmente attirata dai vecchi miti nazionalisti dell'estrema destra, inclusi quelli franchisti spagnoli - la leader di Fratelli d'Italia Meloni si volta all'indietro per non perdere i consensi e i rimpianti dell'ex popolo missino.
Intanto, dall'altra parte della barricata, il Pd conferma di aver smarrito il senso del paese, criticando puerilmente il referendum per i suoi costi o la sua presunta inutilità - e fingendo di ignorare che, senza un referendum popolare vinto, qualsiasi sforzo autonomistico dei lombardo-veneti verrebbe tranquillamente ignorato e affossato dall'apparato politico romano.
E' la tipica situazione di fine regime: chi ha il potere difende i diritti acquisiti, mentre i non rappresentati hanno l'occasione di determinare una svolta forse sorprendente.
Sarebbe miope, d'altra parte, limitarsi ad appoggiare il referendum senza prevedere le immediate mosse successive. E' impossibile ignorare che un'autentica riforma in senso liberale potrà avvenire solo con l'affermazione di un vero federalismo fiscale. Ciò significa che gli enti, ai vari livelli, dovranno poter disporre di autonomia all'interno della cornice federale e poter stabilire il livello delle imposte, la loro destinazione, nonché i criteri della loro utilizzazione, con obbligo di pareggio di bilancio; pur dovendo cederne una quota a quello federale per le sue competenze. Il loro operato, parallelamente, dovrà essere sottoposto al giudizio degli elettori mediante un sistema elettorale che garantisca una scelta chiara fra maggioranza e opposizione e l'alternanza di governo.
Ma non è tutto, perché è proprio da una grande riforma istituzionale dei livelli territoriali che potranno venire in futuro le risorse destinate a un autentico rilancio di investimenti e crescita. A partire dai Comuni, accorpati oltre un certo livello di popolazione ed estensione territoriale, in modo da scendere dagli attuali 8 mila a 1500-2000. (In quelli limitrofi la facoltà di scegliere con chi unirsi potrà avvenire ancora per referendum). Ma la vera svolta, in grado di rimuovere le attuali incrostazioni burocratiche, dovrà avvenire ai due livelli superiori. Cioè dai Cantoni, istituiti per fusione obbligatoria delle attuali Province, con le stesse facoltà di accorpamento dei Comuni, in modo da non superare il limite dei 20-30 già indicato dalla Società Geografica Italiana. E, insieme con l'abolizione delle Prefetture, dalla nascita delle Tre Macroregioni, per accorpamento delle attuali Regioni (comprese quelle a statuto speciale) secondo lo stesso criterio territoriale e di popolazione. Queste Macroregioni dovranno essere strutture federali formate dai Cantoni, con funzioni di coordinamento, presumibilmente senza apparati propri (elezioni, deputati e ministri). Allo Stato federale, secondo il principio della sussidiarietà, dovrà spettare solo ciò che non può essere amministrato al livello inferiore, mantenendo l'indirizzo dei settori chiave (difesa, economia, amministrazione, politica estera, ordine pubblico, giustizia, scuola, eccetera).
Ecco perché il genio del federalismo, se il 22 ottobre uscirà dalla bottiglia, potrebbe ridare slancio al Paese stanco e sfiduciato che sperimentiamo ogni giorno.