Politica
Berlusconi: larghe intese con Renzi in caso d'emergenza
Confermato il retroscena di Affaritaliani.it: Silvio Berlusconi è pronto a un governo di larghe intese con Matteo Renzi nel caso in cui la crisi greca dovesse portare a un attacco della speculazione contro l'Italia.
"Io una mano d'aiuto a Renzi la do, ma solo se la situazione precipita, non certo per fare le riforme che vuole lui". Silvio Berlusconi dal ritiro di Arcore osserva quanto accade in queste ore tra Bruxelles ed Atene con un'interessata apprensione. Non prevede «nulla di buono» per l'Italia a trazione renziana, teme le ricadute di una Grexit ancora probabile sull'economia e le borse del nostro Paese, che tanto per cominciare colpirebbero le sue aziende. Così come segue con preoccupazione, racconta chi lo ha sentito, l'escalation delle minacce dell'Isis contro Roma, culminate con l'autobomba del Cairo contro il consolato italiano. «La mano d'aiuto che più volte abbiamo offerto al premier in politica estera non è mai stata presa in considerazione», si lamenta il Cavaliere. Il divorzio consensuale con Denis Verdini (pronto a sostenere il governo) è la conferma di quanto Forza Italia ormai vada in altra direzione. Ma solo uno scenario potrebbe invertire la rotta. «Se la situazione economica precipitasse o se ci fosse un attacco diretto contro l'Italia noi, con responsabilità, ancora una volta, potremmo dare il nostro contributo - è il ragionamento estremo di Berlusconi - Anche entrando in un governo di emergenza nazionale, se necessario». Ma con altrettanta schiettezza non nasconde il suo scetticismo sull'«umiltà di Renzi». Di quel famoso "tavolo" per gli affari esteri, offerto per affrontare nodi pesanti come l'esodo dalle coste libiche, in questi mesi il governo non ha avvertito alcuna esigenza. Figurarsi se il clima è di dialogo sui dossier interni, riforme in testa.
I mediatori che in questi tre giorni hanno cercato di convincere Denis Verdini a recedere dalla decisione ormai presa di abbandonare il partito e il leader hanno fallito. Il senatore toscano non ne vuole più sapere, l'amarezza per il rapporto logorato ha avuto la meglio su tutto. «Non ho altra scelta», è stata la risposta agli ultimi pontieri. Con una chiosa: «Spero un giorno Silvio ricordi chi gli riempì la piazza sotto casa domenica 4 agosto 2013, dopo la condanna Mediaset». I fedelissimi del toscano non fanno ormai mistero dell'imminente scissione dal gruppo al Senato. «La data spartiacque sarà il 31 luglio, il giorno in cui scade il termine per la presentazione degli emendamenti al testo delle riforme costituzionali», spiega il senatore Lucio Barani, uno dei dodici coivolti nel progetto. E si sbilancia: «Al momento siamo a 15 adesioni».
Berlusconi - che non intende più muoversi da Arcore, salvo che per qualche puntata in Sardegna, ma deciso a tenersi lontano ormai da Roma - osserva i movimenti interni senza intervenire. Giovedì Raffaele Fitto consumerà lo strappo definitivo anche alla Camera coi suoi 14 in uscita. L'ex premier passa dalla reazione stizzita («Era ora che Verdini e Fitto facessero chiarezza e ci liberassero») a momenti di preoccupazione per il futuro. «Indietro non si torna e non ci sarà più alcuna riedizione del patto del Nazareno, questo è evidente a tutti», sottolinea la portavoce Deborah Bergamini. Il leader tiene la linea dura ma manda in avanscoperta altri per tenere aperto uno spiraglio. Il capogruppo al Senato Paolo Romani parla a più riprese col collega pd Luigi Zanda e riferisce al capo di «segnali buoni per ottenere modifiche alla riforma e anche all'Italicum». Non ha sortito altrettanti effetti, a quanto risulta, l'approccio tentato con Palazzo Chigi da Gianni Letta per un paio di questioni che lo interessavano personalmente. In assenza di Verdini i ponti sono saltati del tutto.
Il leader forzista è arrivato a una conclusione, anche alla luce dei 25 dissidenti sui quali Renzi non potrà più contare al Senato. «A settembre potremmo accettare di sedere al tavolo della riforma costituzionale solo a una condizione - è la confidenza rassegnata ai più fidati - se Matteo accettasse di rivedere l'Italicum, introducendo il premio alla coalizione anziché alla lista o quanto meno la possibilità di apparentamento tra il primo e il secondo turno». I portoni di Palazzo Chigi, per adesso, restano però sprangati. E non solo per Gianni Letta.