Renzi da Obama, l’Italia come la Serbia
Di Ernesto Vergani
Domani il presidente del Consiglio Matteo Renzi con la moglie Agnese, ospiti di Barack e Michelle Obama alla Casa Bianca per la “State dinner”, massimo riconoscimento che lo Stato americano attribuisce a un leader straniero.
Tra gli italiani era toccato a Sandro Pertini, Giulio Andreotti (due volte) e Romano Prodi. Renzi porterà con sé le eccellenze: Roberto Benigni e Paolo Sorrentino, Giusi Nicolini (sindaca di Lampedusa), Fabiola Gianotti (direttrice Cern), Bepe Vio (campionessa parolimpica di scherma), Paola Antonelli (Moma New York), Giorgio Armani e Raffaele Cantone dell’Autorità anticorruzione.
Non va data troppo importanza a iniziative come questa. Lo spazio ad essa conferito sui media sa di consenso, di promozione del premier (che non è ha bisogno quando è fautore di provvedimenti che fanno il bene dell’Italia). Obama non è il Re Sole. Come il cerimoniale previsto, descritto sui media con toni retorici, è prassi codificata, che si studia sui manuali, per giunta ora facilmente reperibili via Internet.
Sorprende la scelta delle eccellenze. Esse (c’è stato un quasi totale pudore di non usare la parola genio: nella sua vignetta di oggi sul Corriere della Sera Emilio Giannelli rappresenta Roberto Benigni come Dante, lui sì un genio) sono proprie di tutti i Paesi: l’Argentina, la Serbia, la Svezia hanno le loro eccellenze, i loro artisti (importante è che non facciano i guru, maggiore rischio/tentazione che corrono gli uomini di una certa fama). L’Italia non ha bisogno di preziosità. Come biglietto da visita, basta che sia ottava potenza economica mondiale, quarta europea, fedele alleata degli Usa.