Politica
Renzi "Re Travicello"? L'effetto della virata sui voucher
Il precipitoso dietro front sui voucher di Matteo Renzi è l’ennesima giravolta, il suo ultimo flop
Il precipitoso dietro front sui voucher è l’ennesima giravolta di Matteo Renzi, il suo ultimo flop. Il governo si è limitato a eseguire il dictat dell’ex segretario-premier, abrogando in un amen voucher e appalti. La cartina del tornasole rispetto all’autonomia politica dell’esecutivo, su cui permane sinistra la spia gialla di “precarietà”, se non quella rossa di “pericolo!”. Le sorti del governo appaiono tutt’ora in mano a Renzi: è ancora lui – pur con sempre minore autorevolezza- a orientarlo (dando l’ok sulla manovra chiesta dalla Ue aumentando – dopo le primarie - le accise di tabacchi e benzina in cambio delle nomine) sperando nel plebiscito delle prossime primarie e decidere poi se e quando staccare la spina. Con Gentiloni, Matteo ripete il solito refrain: “Paolo, sta’ sereno!”, nel ruolo sempre meno convincente del “burattinaio”, usando le riforme come fuochi d’artificio per ottenere consenso elettorale e che così rischiano però di trasformarsi in boomerang per se stesso e per il Pd. L’ultima virata di Renzi è stata una scelta politico-elettorale per scongiurare il referendum promosso dalla Cgil, ben sapendo che il risultato delle urne del 28 maggio sarebbe stato catastrofico, anche per la propria leadership, il bis aggravato di quello autolesionistico del 4 dicembre scorso.
L’ex sindaco di Firenze, visti i magri risultati raggiunti nei quasi tre anni da premier e da segretario del Partito democratico (dopo l’exploit del 40% delle Europee, solo sconfitte elettorali e lo strappo della recente scissione) non ha più lo smalto e il vento in poppa del Rottamatore prima maniera, rischiando di passare dal ruolo di indiscutibile capo sempre vincente a quello di comandante degradato, la caricatura di un Napoleoncino “sfigato” che non ne azzecca più una. A dire il vero, Matteo non è cambiato da quando nove anni fa prometteva: “O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare”, insistendo cioè nel rosario degli annunci regolarmente smentiti e guardando sempre al futuro e mai al presente. Una settimana fa nella parade del Lingotto l’ex premier ha affidato il tentativo di rilancio della propria immagine ammaccata a un logo che rappresenta un trolley “per andare leggeri incontro al futuro” sbattendo duro, invece, sul presente, contro i “voucher”: un uppercut da ko.
Così, se persino la Camusso - impacciata segretaria della Cgil-gigante dai piedi d’argilla - può adesso gridare vittoria e apparire come acclamata “leader” di chi torna a credere che le minacce (più della lotta) pagano, oggi è Renzi che, perduta l’aureola dell’invincibilità, annaspa, sempre più visto in uno status privo di lucidità ideale e politica, di questo passo identificato come un “re travicello”. Una situazione di precarietà, che dovrebbe imporre all’ex segretario-premier un cambio nella sua visione della politica, che non è il gioco col pallottoliere, né tanto meno lo strumento per fare gli affari propri. Tre anni perduti? Indubbiamente scelte che non hanno sbloccato la crisi generale del Paese producendo, per altro, segnali anche inquietanti per la stessa democrazia sempre più impoverita di valori e dominata dalla ricerca di strumenti per semplificarne le procedure riducendo la partecipazione dei cittadini. La democrazia ha senso perché è capace di “complicare” la vita del potere, non di renderla più comoda. Le democrazie sono certo fondate sulla legittimità del consenso elettorale ma sono anche il frutto, sofisticato e complesso, di un equilibrio dei poteri. Questa classe politica – non solo quella di governo e non solo quella renziana – è convinta che l’unzione popolare è l’”in sé” esclusivo della legittimazione. Ma la storia insegna che non è così. C’è quindi l’esigenza di una ridefinizione identitaria e una rivisitazione dei “fondamentali”che va oltre Renzi, oltre il Pd, oltre la sinistra. Intanto, Renzi dovrà soprattutto cambiare tattica, qui e adesso.
Come dice l’ex direttore de l’Unità Peppino Caldarola: “ Renzi ha buttato via il biglietto della lotteria nel folle tentativo di farsi il suo partito personale”. Un Pd che i sondaggi danno oggi molto al di sotto del 30% dei voti, costretto – con una legge elettorale proporzionale – a una coalizione con la sinistra, iniziando proprio da chi ha appena abbandonato il Pd. Ma i Bersani&C della nuova ditta di “Articolo1” non sono per nulla propensi a una futura alleanza con un partito a trazione renziana. Allora? Se le primarie e il congresso lasceranno – come probabile – a Renzi i galloni del comando al Pd restano due strade: o quella di un nuovo governo retto da una maggioranza di centro-sinistra (con Berlusconi pigliatutto) o quella di tornare all’opposizione, con il M5S alla guida dell’Italia in una danza sul trapezio senza sotto il tappeto. Tertium non datur? La terza via è la vittoria, non impossibile, del centrodestra. Dalla padella alla brace?