Politica

La Procura affossa il "Salva Milano" ed inguaia il Sindaco Sala

L'inchiesta e gli arresti di oggi mettono la parola fine al decreto tanto voluto dal primo cittadino anche contro il suo partito

di LA TALPA

Era nell’aria. Il "Salva Milano" era un argomento radioattivo nelle ultime settimane. Se ne parlava a bocca stretta nei corridoi della politica, quelli virtuali e non, quasi in modo sussurrato. E oggi qualcuno, con le agenzie che battevano la notizia dell'arresto dell'ex manager del Comune di Milano, lo ha detto: “Cosa vi dicevo?” 
Il Salva Milano votato alla Camera, non con poca fatica, era stato mandato come da prassi al Senato per la seconda lettura e assegnato all’ottava commissione, doveva in realtà fare un altro passaggio per l’approvazione e poi in aula per il voto finale. Un processo che ­ quando non vi sono problemi politici- richiede giusto il tempo della calendarizzazione e che, a seconda dell’intasamento, richiede due settimane, massimo un mese. 

Ma tant’è, qualcosa sin da subito non marciava nella direzione giusta. Il salva Milano sembrava la “Papatencia”,  nessuno aveva intenzione di occuparsene “in chiaro”.
Certo, il centrodestra ci teneva particolarmente al disegno di legge che fu erroneamente battezzato, “salva Milano”, ma che in realtà avrebbe salvato le imprese già indebitate e ferme, i lavoratori del settore edilizio e le famiglie i cui soldi erano congelati in appartamenti acquistati sulla carta e non utilizzabili. 

Ma, si sa, con la Procura di Milano di mezzo tutti vanno con i piedi di piombo, così il presidente del Senato Ignazio La Russa ha comunicato per le vie brevi che il salva MI avrebbe trovato posto in aula solo a fronte di un voto più ampio possibile e che non poteva prescindere dall’allargamento al PD. Il partito, ca va sans dire,  del sindaco di Milano che tanto tiene al provvedimento e che negli ultimi mesi non nascondeva il suo fastidio per il suo partito che aveva votato a favore il disegno di legge nella prima lettura, prima di iniziare una sorta di ripensamento. Un'irritazione sfociata in minacce di dimissioni urlate ai suoi: “Se non passa perché il PD si sfila io mi dimetto”.

E allora ecco che la “task force salva Sala” si mette all’opera e  il suo gabinetto si trasforma in un team di sherpa  per agganciare i vertici del PD romano e fungere  da interlocutore
E vengono quindi sguinzagliati i senatori lombardi in particolare Malpezzi e Alfieri nei colloqui al gruppo del Senato per cercare di convincere a un cambio di rotta. 
Ma serve tempo e allora il capogruppo Boccia chiede di allungare i tempi in commissione per ,ufficiosamente, eseguire più audizioni possibili.
Tempo che viene concesso. Tempo che servirebbe a scrivere un emendamento. 
Iniziano così le riunioni dei senatori milanesi e lombardi del Pd e gli avvicinamenti con la maggioranza. L’emendamento sembra prendere forma. Emendamento che avrebbe dovuto dare loro  la way out per cambiare il voto al Senato rispetto a quello della camera. 

Tutto questo fino a questa mattina quando lo scenario cambia repentinamente e che  di fatto ammazza definitivamente il disegno di legge di cui per ovvi motivi nessuno vorrà più portare avanti.  Fatica sprecata.
Con il sollievo del presidente La russa che può depennare dalla lista di calendarizzazione  il disegno di legge e con buona pace delle dimissioni del sindaco Sala.