Politica

Sansonetti ultimo samurai a difendere Soumahoro: l'uso del razzismo come alibi

Di Giuseppe Vatinno

Il (forse) prossimo direttore de l'Unità butta la palla nel campo del "razzismo" sostenendo che il deputato viene attaccato solo per il colore della sua pelle

Caso Soumahoro: il razzismo in realtà è diventato da anni un modo per deresponsabilizzare, una sorta di passaporto per fare quello che si vuole

Ieri sera da Nicola Porro a Quarta Repubblica (Rete 4) c’era Piero Sansonetti direttore de Il Riformista e “ultimo samurai” rimasto a difendere l’indifendibile e cioè Aboubakar Soumahoro, il sindacalista di colore, che in questi giorni è finito nel ciclone mediatico per i noti fatti riguardanti la gestione dei migranti e delle cooperative di moglie e suocera, peraltro proprio da ieri indagata anche per truffa aggravata e false fatturazioni, oltre che malversazione. Il deputato non è direttamente indagato, anche se pure lui deve rispondere alle accuse dell’ex socio Soumaila Sambare sulla gestione dei fondi raccolti a suo tempo.

Non è ben chiaro se Sambare o altri abbiano presentato denuncia o fatto cause che potrebbero aprire un nuovo fronte, questa volta giudiziario, nei confronti di Soumahoro. Comunque il cerchio pare stringersi sempre di più intorno all’ex sindacalista. Non si capisce quindi come Sansonetti e pochi altri possano continuare a difendere Soumahoro che –dal punto di vista politico e mediatico- ha combinato un vero e proprio disastro comunicativo. È un po’ come nei film dell’orrore dove la vittima si auto – strozza ad ogni movimento che compie nello sforzo di liberarsi da un cappio al collo.

Infatti è impossibile che Soumahoro non sapesse quello che accadeva nelle cooperative gestite dalla suocera e soprattutto dalla moglie. Non pensiamo che il deputato la sera a cena parlasse di calcio o di caccia alla volpe con la consorte ed è più che ovvio che sapesse sia degli stipendi non pagati sia delle condizioni miserrime in cui versano i migranti, per il semplice fatto che lui, come diversi testimoni hanno confermato, portava da mangiare alle baraccopoli.

Sansonetti, forse prossimo direttore de l’Unità con il gruppo Romeo, butta la palla nel campo del “razzismo” e cioè dice che Soumahoro è attaccato unicamente per il colore della pelle. Che si tratti di una evidente fandonia lo dimostrano i casi di Fini e Scialoja che per questioni di case ebbero la loro carriera politica distrutta. Il razzismo è diventato da anni un comodo alibi per deresponsabilizzare e una sorta di passaporto per fare quello che si vuole, come ha detto giustamente l’altro ieri Elisabetta Gardini.

In Occidente si è creato una sorta di “razzismo alla rovescia” –di cui fa parte la cancel culture- che vuole stravolgere la Storia e i valori condivisi. Sansonetti queste cose le sa bene e sa anche come sfruttarle al meglio. Leonardo Sciascia parlò a suo tempo di “professionismo dell’antimafia” per caratterizzare quelle persone che sfruttando un sentimento popolare cavalcavano l’onda per fare carriera. Da allora molto tempo è passato, ma la tendenza è rimasta. E se i professionisti dell’antimafia ci sono ancora adesso sono stati affiancati dai “professionisti dell’anti-razzismo” e cioè chi sfrutta l’argomento per farsi strada e mettersi in evidenza, fermo restando che Sansonetti è comunque un giornalista dal solido passato professionale già acquisito.

Il fatto che non ci sia niente dietro basta vederlo come tali soggetti non rispondano mai a domande che hanno il crisma dell’evidenza. Come mai la moglie di Soumahoro “veste Prada” e risulta disoccupata all’Inps? Come mai i braccianti vivono in condizioni inumane nelle baraccopoli gestite dalle cooperative? Con quali soldi i Soumahoro si sono comprati la villa a Casalpalocco, zona residenziale di Roma? Con un libro che ha fatturato 9.000 euro?

Tutte domande che se rivolte direttamente a Sansonetti e similari non trovano mai alcuna puntuale risposta se non quella di bofonchiare qualcosa sul razzismo che, in questa vicenda, non c’entra assolutamente nulla, tranne appunto che per i professionisti dell’anti – razzismo” come li avrebbe chiamati oggi Sciascia.