Politica

Sul palco belli e sorridenti, in Aula si votano contro: maggioranza finta

di Gabriele Penna

La rottura tra i partiti di governo si è consumata sul terzo mandato per i governatori tanto voluto dalla Lega

Centrodestra spaccato sul terzo mandato

Giorgia Meloni con la simpatia che la contraddistingue ieri a Cagliari ha liquidato le difficoltà del suo governo come un sogno di “giornaloni” e opposizioni che dopo la fase onirica si svegliano tutti sudati. Ma il voto di oggi in commissione affari costituzionali del Senato sancisce una spaccatura evidente e senza precedenti per la maggioranza di Centrodestra.

La rottura tra i partiti di governo si è consumata sul terzo mandato per i governatori tanto voluto dalla Lega (argomento che scuote anche il Partito democratico con il "forte disappunto" di Bonaccini per la scelta di Elly Schlein di votare no). Matteo Salvini, che dagli errori non impara mai, si è subito affrettato a dichiarare che il governo va avanti senza problemi: excusatio non petita, accusatio manifesta (scusa non richiesta, accusa manifesta). E la parata di leader e amministratori sfilata ieri per la chiusura della campagna elettorale in Sardegna somiglia tanto a una finzione.

Giorgia Meloni è paralizzata. Il governo non marcia come dovrebbe. La propaganda per gli appuntamenti elettorali imminenti (Sardegna, Abruzzo, Europee) ingessa l'amministrazione. E i quotidiani incidenti tra le fila della maggioranza restituiscono un quadro poco promettente. Altro che i dieci anni di governo di cui parlava la premier in terra sarda. Non ci sono solo i grandi temi spinosi come l’autonomia, il premierato e la politica estera a evidenziare la dicotomia tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, ma anche quelle vicende che fanno poco rumore ma che danno l’idea di quale sia la temperatura del termometro.

Per esempio il capo di gabinetto del ministero della Giustizia che saluta Carlo Nordio, reo di aver dato troppo potere alla vice. Oppure il presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, Giorgio Palù, che lascia l’incarico in polemica con il ministro della Salute Orazio Schillaci. Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e le liti con il suo sottosegretario Vittorio Sgarbi. Ma anche le lotte su chi candidare in occasione di un appuntamento elettorale, come è accaduto per la Sardegna, con l’imposizione di Meloni del sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, a discapito del governatore uscente della Lega Christian Solinas.

Ciò che non vuole accettare Salvini è che si ridiscutano i rapporti di forza tra Lega e alleati. Il leader della del Carroccio vuole ottenere il massimo possibile dalla presenza dei suoi nella maggioranza di Centrodestra ed è convinto che, in forza di ciò che rappresenta il suo partito, ovvero un partner di minoranza indispensabile per tenere in piedi il baraccone, possa chiedere e avere più di quanto valga in termini elettorali. Ma Salvini non è Craxi che con il 10% del Partito socialista andava a Palazzo Chigi e dava le carte ai democristiani.

Il Ponte sullo Stretto, opera su cui Salvini si gioca praticamente la carriera politica, e i rapporti non ben precisati con la Russia di Putin, tornati prepotentemente sotto la lente di ingrandimento dopo la morte del dissidente Alexei Navalny, sono bombe pronte a esplodere. Dossier che fanno tremare i tavoli del governo. E ora anche Elly Schlein inizia a piazzare colpi dall’opposizione. Di Partito democratico e Alleanza Verdi e sinistra l’esposto da cui è scaturita l’apertura delle indagini sull’opera voluta da Salvini.