Politica

Toghe nel caos, tsunami sul Pd? E ora i renziani contro Zingaretti

Massimo Falcioni

Sulla inquietante bega Lotti, Zingaretti, novello Salomone, prova a spaccare il capello in quattro, limitandosi a prendere atto dell’“autosospensione” dal Pd dell’inguaiato amico di Matteo Renzi. Anzi, Zingaretti, confermata la piena estraneità personale e di partito nella controversa vicenda, ringrazia il promoter del “giglio magico” per il “nobile” gesto. Tutto qui? Tutto qui. Lotti, ex potente di matrice margheritina, imputato della procura di Roma, preso a tramare sui vertici di importanti procure non certo per interessi di Patria, s’è infilato nel “cul de sac”.

La vicenda, al di là dei risvolti giudiziari, pesa politicamente: è una mazzata per il sempre discusso clan del “ciglio magico”; un macigno sulle ali di Renzi in cerca di nuovi voli; un fardello sul Partito democratico; la cartina del tornasole della impossibilità o della incapacità del nuovo segretario di fare pulizia. Le difese di Lotti da parte di Renzi: “Festival dell’ipocrisia, quel sistema non l’ha inventato Luca”, di Marcucci e di altri compagni di cordata: “Politica e magistratura hanno sempre dialogato” sono la classica toppa peggiore del buco. Addirittura questi (e altri) ex democristiani del Pd hanno tentato un collegamento del ruolo di Lotti (e del suo collega Ferri) con quello di Ugo Pecchioli ministro degli interni ombra del Pci di Berlinguer. Negli anni 70 Pecchioli era delegato dal Pci per affermare una linea politica, non per interferire nei giochi di potere di toghe e divise, tanto meno per salvare il proprio deretano o quello di amici e compagni coinvolti in processi per questioni tutt’altro che nobili.

Lotti si è autosospeso dal Pd perché non aveva alternative. Anche perché il “bel gesto” non gli costa nulla politicamente: anzi gli consente di tirarsi fuori ergendosi a vittima della “macchina del fango” esterna e interna al partito, togliendo a Zingaretti la possibilità di ritorsioni, specie nei confronti del suo gran capo Renzi. Quel Renzi che, sul davanzale del Pd, si sente libero da ogni vincolo interno, sempre pronto a cogliere l’occasione per colpi bassi o tentare nuove avventure. Zingaretti non ha approfittato di questa vicenda e non ha affondato il colpo contro Renzi e i renziani. Perché? Per non dare a Renzi e ai suoi l’occasione di riaccendere i fuochi di guerra minando la ricostruzione da poco avviata. Zingaretti, dopo la recente “tenuta” elettorale del Pd come principale partito di opposizione, pensa che il tempo lavori per lui e per il suo nuovo corso e che Renzi sia sempre più debole, dentro il partito (abbandonato da molti parlamentari ritenuti fedelissimi fino al 26 maggio) e fuori, fino a quel che pare una resa dell’ex Rottamatore quando esclude la nascita di un suo nuovo partito perchè: “Non ci sarebbero le condizioni”.

Ovvio che l’ex segretario-premier, tutt’altro che deciso a mettersi ai remi nel Pd al comando di Zingaretti, si ritaglia un ruolo di guastatore interno e di tessitore esterno in vista di non impossibili “tempi nuovi”, ciò per la debolezza del governo e la possibilità di crisi con lo sbocco delle elezioni politiche anticipate. Elezioni, non più auspicate – al di là delle dichiarazioni di facciata – neppure da Zingaretti, cui serve tempo per portare nelle sue file i sempre più vacillanti fan di Matteo o eliminare le ultime sacche della resistenza renziana tentando al contempo di ridefinire identità, programmi, alleanze del Pd. Per Zingaretti è l’ora del salto di qualità, prendendo davvero in mano il partito, dandogli la scossa necessaria: nuova segreteria, nuovi capigruppo parlamentari, nuove idee, nuova iniziativa internazionale, nazionale e locale. Ma sul caso Lotti, tutt’altro che chiuso, Zingaretti ha perso un’ occasione importante per dimostrare nei fatti il cambio di passo e di direzione. Al di là del rilievo penale, Lotti, un ex ministro capace di dire il falso anche su un incontro al Colle, andava espulso dal Pd per il suo comportamento politico quale esponente istituzionale e dirigente di partito. La mossa di Zingaretti su Lotti&C, più che dal buon senso, è dettata dalla debolezza politica, personale e di partito. Due debolezze, si sa, non fanno una forza.