Politica

Zuppi ora va pure in Cina. Il lungo "filo giallo" della diplomazia vaticana e il comunismo

Di Giuseppe Vatinno

Cina, Vaticano e il nodo delle nomine dei vescovi

È attualmente attivo un accordo biennale “ad experimentum” siglato nel 2018 e poi prorogato nel 2020 e nel 2022. Non si tratta ancora di un livello diplomatico vero e proprio ma di un accordo “religioso” che è stato visto dalle due diplomazie come un primo livello di comunicazione, dopo anni di mancanza di interazioni. Non mancano però le tensioni. Il Papa aveva nominato –poco tempo fa- vescovo di Shanghai Giuseppe Shen Bin, nonostante le autorità cinesi lo avessero già trasferito ad Haimen. Francesco poi ha sanato l’irregolarità sulla diocesi svelando di fatto che si era trattata di una manovra diplomatica per concedere qualcosa ai cinesi prima del viaggio di Zuppi. E dietro alla Cina c’è la vicinanza storica della Comunità di Sant’Egidio e dei gesuiti, ordine di cui, non dimentichiamolo, Bergoglio fa parte.

Non a caso Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio ieri ha dichiarato: “La Cina è un interlocutore fondamentale negli equilibri geopolitici mondiali e può avere una influenza sulla Russia” a riprova di quanto avevamo scritto nei giorni scorsi sul fatto che ormai il Vaticano ha appaltato la sua politica estera alla Comunità trasteverina con buona pace del Segretario di Stato Pietro Parolin, ormai lontano dai giochi diplomatici. L’altro ieri invece il fondatore Andrea Riccardi aveva scritto una lettera al Corriere della Sera, di cui è editorialista, per supportare l’azione diplomatica vaticana, cioè la sua.