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Berlusconi: "Il Milan lo lascerò quando avrò vinto ancora"
"Me ne andrò solo quando avrò vinto un'altra volta". Pensiero e parole firmati Silvio Berlusconi. E' il titolo del capitolo che conclude "My Way", la biografia scritta Alan Friedman in libreria per Rizzoli. "Ho detto ai miei figli che quando me ne sarò andato, se credono, potranno vendere tutto tranne due cose: la maggioranza del Milan e la casa di Arcore", si legge nel libro.
E ancora. "Ho mai dettato una formazione? No. Ne ho suggerito una? Certo. Molto spesso. Discuto sempre con i miei allenatori, parliamo della formazione e di ciascun calciatore prima di ogni partita. Certe volte non sono d'accordo con l'allenatore, e in questi casi vince sempre lui. Così non ho mai abusato della mia posizione di proprietario e presidente del club. Non ho mai tentato di essere superiore al coach. Dopo tutto, è lui il responsabile dei risultati della squadra. Con Sacchi, per esempio, abbiamo inventato la formula di un Milan che avrebbe sempre comandato il gioco, abbiamo inventato una squadra che si sarebbe sempre divertita a giocare, che avrebbe rispettato gli avversari e per questo sarebbe stata applaudita dai suoi tifosi. Ecco, credo che adesso questo concetto sia ormai un elemento fondamentale del Dna del Milan".
Berlusconi parla di Sacchi: "Aveva un carattere molto deciso. Era difficile fargli cambiare idea. Era un uomo orgoglioso, determinato. Si dimostrò un'ottima scelta. Decidemmo insieme la campagna acquisti e riuscimmo a impostare un Milan molto offensivo, molto aggressivo". Galliani conferma che Sacchi aveva carattere e personalità da vendere. "Sacchi aveva il coraggio anche di lasciare fuori Marco van Basten, se per caso non si era allenato bene. Ora, da noi tifosi milanisti van Basten è considerato al pari della Madonna, è una leggenda".
Su Capello: "Avevo conosciuto Capello come giocatore e ho sempre pensato che sarebbe stato un buon dirigente di una squadra. Lo invitai a frequentare una scuola per manager d'azienda, e lui lo fece. Poi gli chiesi di diventare dirigente sportivo di altre squadre del nostro gruppo, visto che noi allora avevamo società di hockey, rugby, volley e baseball. Lui fece un ottimo lavoro, così quando ci fu bisogno di un nuovo allenatore per il Milan pensai a lui. Tutta la stampa era contro di noi: i giornali scrivevano che volevo essere io il vero allenatore e che scegliendo Capello avevo messo in campo un mio maggiordomo. Ma le cose non stavano così e Capello lo dimostrò subito con una serie di successi. È una persona molto concreta, molto positiva. È stato un piacere lavorare con lui".
Lo 'stile Milan': "Significa innanzitutto avere rispetto per gli avversari e sapersi presentare in un certo modo: oggi vediamo giocatori con tatuaggi e strane pettinature, in passato io controllavo personalmente anche il nodo della cravatta prima di un'intervista in tv. I campioni che più riconosco in questo ideale sono sicuramente Maldini e Baresi".