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Tra nodi legali, politici ed economici: il calcio italiano all'ultimo stadio

Di Lorenzo Zacchetti

L'Udinese minaccia di lasciare la Dacia Arena dopo i rilievi dell'Anac, mentre a Roma e Milano regna l'incertezza. La maggior parte degli impianti è obsoleta

Gli Europei rappresentano un test di fondamentale importanza per il calcio italiano, che vive una fase di enorme difficoltà economica. Se tutto andrà per il meglio con la parziale riapertura dell’Olimpico di Roma, unico impianto italiano coinvolto nel torneo itinerante, è possibile che nel prossimo campionato sia consentito di arrivare al 40% della capienza di ciascuno degli stadi di Serie A. 

 

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Già, ma quali stadi? La situazione dell’impiantistica sportiva italiana è ormai da decenni un pesante handicap nella competizione con gli altri Paesi europei, su tutti l’Inghilterra, che hanno fatto della gestione degli stadi di proprietà un elemento fondamentale nello sfruttamento delle potenzialità del calcio-business. Da noi, purtroppo, la situazione è ben diversa, come dimostra il clamoroso caso dell’Udinese: dopo i rilievi dell’Anac, la società minaccia addirittura di “togliere il disturbo” e traslocare nel vicino comune di Pasian di Prato. Qual è il problema? L’autorità anticorruzione ha contestato al club e al Comune di Udine una serie di elementi: la fideiussione presentata nel 2013, il naming dello stadio (che attualmente si chiama Dacia Arena, in omaggio allo sponsor) e “l’omesso controllo” della Pubblica Amministrazione sui lavori di manutenzione annuali dell’impianto. Per l’Udinese questo passaggio rappresenta “la goccia che fa traboccare il vaso” e si pensa addirittura di stracciare la convenzione firmata nel 2013, con una validità di 99 anni. Purtroppo, i temi legati alla corruzione, al rapporto con gli enti pubblici, al dribbling tra le diverse normative nazionali e locali e il dialogo con la politica rappresentano criticità ben note a ogni imprenditore impegnato nel calcio italiano. Vediamo la situazione, città per città e stadio per stadio.

1958 olimpico di romaI primi allenamenti della Roma allo stadio Olimpico: l'immagine risale al lontano 1958

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roma: da “famo ‘sto stadio” al derby tra candidati Sindaco
Di un nuovo stadio nella Capitale si parla ormai da diversi anni, anche perché il glorioso Olimpico, di proprietà del CONI, denuncia tutto il peso degli anni. In realtà, gli stadi dovrebbero diventare due (senza contare il Flaminio): anche la Lazio a suo tempo ha commissionato dei progetti, ma certamente è la Roma a spingere maggiormente. La campagna “famo ‘sto stadio”, sposata anche da Totti e altri giallorossi, non ha portato benissimo: l’iter si è impantanato nel 2018 con una serie di arresti di imprenditori ed esponenti politici, che ha portato la Procura a parlare di "una corruzione sistemica e pulviscolare". Una tegola non da poco per la Sindaca Raggi, peraltro del tutto estranea alla vicenda, che negli scorsi giorni ha deciso di revocare la concessione di “interesse pubblico” all’opera, un passaggio fondamentale per fare andare avanti il progetto su Tor di Valle. Eurnova, la società che avrebbe dovuto costruire lo stadio, si oppone alla scelta: “La delibera che si intende revocare ha avuto ad oggetto la dichiarazione del pubblico interesse alla realizzazione di un nuovo stadio; ma l’interesse considerato era quello della città di Roma e non della A.S. Roma”. Secondo i costruttori, quindi, l’iter non può essere fermato, “poiché emesso al di fuori di qualsivoglia schema normativo vigente”. Il tema sta diventando caldissimo anche per l’approssimarsi delle elezioni e non a caso Carlo Calenda, candidato Sindaco contro la Raggi, annuncia: “Stiamo lavorando alla nostra proposta per lo stadio della Roma, l’area l’abbiamo identificata, ma stiamo verificando la presenza di eventuali vincoli o di possibili intoppi”. Stefano Fassina, Deputato di LEU e consigliere comunale, sarà candidato alle primarie del centrosinistra per diventare Sindaco: anche lui parla dello stadio, spiegando che “la responsabilità della situazione che si è venuta a creare è di chi non vuole farlo, ma fare speculazione immobiliare come era ahimè il progetto a Tor di Valle. Io sono molto determinato a proporre una soluzione sia per la Roma che per la Lazio, punto a dare uno stadio ai tifosi con il massimo comfort, non mi piacciono le speculazioni immobiliari. Dobbiamo lavorare tutti insieme e il cambio di proprietà della Roma mi fa ben sperare perché mi sembrano interlocutori più seri rispetto a quelli che c'erano prima". Tuttavia, siamo quindi ancora in alto mare e chissà per quanto ancora lo saremo.

Nella prossima pagina: San Siro e lo Juventus Stadium