Finanza
Il “passporting” dopo la Brexit
Pochi giorni fa il Comitato del Tesoro della Camera dei Comuni britannica ha pubblicato una lettera a firma Andrew Bailey, Chief Executive della Financial Conduct Authority del Regno Unito, che contiene i dati sulle imprese del Regno Unito attualmente in possesso di una licenza di tipo "passport", che secondo determinate direttive UE permette di fornire servizi o stabilire succursali nei Paesi dell'Unione Europea.
In pratica il “Passporting” è l'esercizio del diritto di una società registrata nello Spazio economico europeo (SEE) di condurre il proprio business in qualsiasi altro Stato SEE senza necessità di ulteriori autorizzazioni in ogni singolo Paese. Spesso le società con sede al di fuori del SEE vengono autorizzate in uno Stato SEE e così utilizzano i diritti conferiti dal “passport” ottenuto ad esempio per collocare uno stabilimento nello Spazio economico europeo o per la fornitura di servizi transfrontalieri. Questo è importante per le aziende multi-nazionali, perché elimina un sacco di burocrazia associata a ottenere l'autorizzazione di ogni singolo Paese, un processo che potrebbe rivelarsi lungo e costoso.
Il “Passporting” è un diritto rilevante per le imprese nell'Unione Europea, in quanto consente a società di servizi finanziari (comprese le banche dell'UE, le compagnie di assicurazione, i gestori di fondi, i consulenti di investimento, le società di trading e i market maker, tra gli altri) di condurre attività transfrontaliere in altri Stati membri dell'UE, con poche formalità, da cui deriva la caratteristica più importante, quella di non dover essere specificamente autorizzate anche in campo finanziario in ogni altro Stato membro dell'UE in cui tali società desiderino operare.
Tuttavia, a seconda di come le trattative del Regno Unito con il resto degli Stati membri dell'UE progrediranno, una delle principali conseguenze della decisione di lasciare l'Unione Europea (la cosiddetta Brexit) potrebbe essere quella che le imprese con sede nel Regno Unito, che attualmente fanno affidamento sui “passport” regolarmente ottenuti in passato, possano perdere tale beneficio nel momento in cui ufficialmente il Regno Unito cesserà di essere uno Stato membro dell'UE.
Questo problema costituisce un aspetto fondamentale del negoziato per l'uscita del Regno Unito (insieme alla questione dell'immigrazione e della libera circolazione dei lavoratori).
Le cifre indicate nella lettera sono in relazione ai “passport in uscita" (cioè rilasciati dalla Financial Conduct Authority) e i “passport inbound" cioè in entrata (emessi da autorità di regolamentazione dell'UE e in possesso delle imprese autorizzate dall’UE), concesse ai sensi delle direttive UE tuttora in vigore, dalla direttiva UE Alternative Investment Fund Managers (AIFMD) alla direttiva sull'intermediazione assicurativa, a quella sui mercati degli Strumenti finanziari, sul credito ipotecario, sui servizi di pagamento, sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), moneta elettronica, requisiti patrimoniali e così via.
La lettera segnala che nel rispetto delle normative a suo tempo emanate ci sono:
5.476 aziende del Regno Unito autorizzate, che detengono uno o più “passport in uscita” per un altro Stato dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE);
8.008 aziende autorizzate in altri Stati membri dell'UE o del SEE che detengono “passport in entrata” per fare affari nel Regno Unito; e
336.421 “passport” detenuti in totale da parte delle imprese del Regno Unito per le molteplici attività commerciali negli Stati membri dell'UE.
Paolo Brambilla